Il sindaco al QdS: “Nessuna indicazione sullo smaltimento dei rifiuti industriali, si paventa lo stop delle attività. Circa 10mila posti di lavoro a rischio”
SIRACUSA – Ben 77 tonnellate all’anno di sostanze nocive (fra cui alcune sostanze cancerogene come il benzene) e oltre 2500 tonnellate di idrocarburi in mare negli anni fra il 2016 e il 2020: è lo sconvolgente numero di materia inquinante immessa nel territorio dall’impianto biologico consortile gestito da Ias (Industria acque siracusane) a Priolo Gargallo, sequestrato, lo scorso giovedì, dagli agenti del Nictas (Nucleo ambientale) della Procura di Siracusa e del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza.
La gestione della struttura è stata affidata a un amministratore giudiziario ed è stata disposta la sospensione per un anno “dall’esercizio di qualsiasi mansione all’interno delle società coinvolte nell’indagine” dei vertici dell’Ias e delle società “grandi utenti” (Versalis, Sonatrach Raffineria Italiana, Esso Italiana, Sasol Italy, Isab, Priolo Servizi) che nel depuratore immettono i loro reflui industriali.
Nel polo che ruota attorno alla Isab, controllata del big dell’energia Lukoil, viene raffinato il 22 per cento del petrolio nazionale che arriva via mare e dalla Russia, un giro d’affari che vale metà dell’economia del siracusano e un punto percentuale del Pil isolano.
Come disposto dal Gip, i reflui dei centri urbani di Melilli e Priolo Gargallo continueranno ad essere immessi e depurati dall’impianto in sequestro, mentre non vi è ancora nessuna notizia sulla gestione di quelli provenienti dalle industrie del polo.
“Per quanto concerne lo smaltimento dei rifiuti industriali – ha dichiarato al QdS il sindaco di Priolo Gargallo, Giuseppe Gianni – siamo ancora in attesa di sapere se permarrà questo stato di cose o se, invece, ci sarà un intervento degli avvocati delle aziende del polo industriale per confrontarsi con il Pm in merito alle strategie da attuare nel più breve tempo possibile”.
“Stando alle stime dei tecnici, i rifiuti provenienti dalle industrie locali – ha aggiunto – possono essere immagazzinati per non più di 3 o 4 giorni. Oltre tale termine si paventa l’ipotesi dello stop delle attività della zona, con conseguenze dirette sui lavoratori del comparto che saranno costretti a rimanere fermi a casa”. Numeri alla mano, sono circa 10 mila gli addetti ai lavori del polo industriale aretuseo, di cui 500 solo dal comune di Priolo.
“Se non si dovesse trovare una soluzione nell’immediato, io credo che vi possa essere il serio rischio – ha evidenziato Gianni – di una rivoluzione civile. I danni saranno immani. Il polo petrolchimico siracusano è il più grande d’Europa e lo stop della produzione avrebbe immediatamente un effetto negativo sul Pil comunale, considerato che ne possediamo una piccola parte ma, ancor più, di quello isolano e nazionale. La Isab Lukoil, insieme con le altre realtà del polo, partecipa al gettito fiscale per 15 miliardi di euro all’anno”.
A preoccupare il primo cittadino e l’intera comunità, però, non sono solo le ripercussioni economiche ma anche le conseguenze dirette sulle 10 mila famiglie coinvolte. “Il Governo locale e quello nazionale dovranno attivarsi nell’immediato – ha dichiarato – per paventare qualsiasi possibile licenziamento di massa di tutti i lavoratori impiegati. Di certo non è possibile, a parer mio, immaginare un’ipotesi di cassa integrazione perché significherebbe sprecare denaro pubblico che finirebbe solo per temporeggiare a fronte di una chiusura definitiva dell’intero polo”.
Quella del danno ambientale connesso alle attività industriali dell’area, tra l’altro, non è una novità per un territorio più volte ribattezzato come “triangolo della morte”. Come evidenziato dal sindaco Gianni, “si tratta di una storia che va avanti, come si sa, da oltre 70 anni e si contano numerosissimi morti per tumori o patologie connesse all’inquinamento della zona”. A fronte dell’emergenza esplosa negli ultimi giorni, come paventato dal primo cittadino, “vi è la possibilità che si verifichi una condizione di danno e, allo stesso tempo, ‘beffa’. Nel momento in cui le aziende dovessero decidere di chiudere battenti, è ovvio che non ci sarà più alcuna volontà di investire per risanare il territorio dai danni subiti. Al momento, in qualità di Amministrazione comunale, siamo impossibilitati a muoverci finché la Procura non ci indicherà i passi da seguire. Ci servono indicazioni e tempistiche precise”.
C’è da chiedersi, poi, quale sarà il futuro della zona a fronte degli ultimi risvolti connessi alla guerra russo-ucraina. “Già due mesi fa, all’esordio del conflitto – ha concluso Gianni – abbiamo lanciato l’allarme per le conseguenze dell’embargo del petrolio russo. Come dichiarato recentemente anche da Cingolani, una possibile soluzione a breve termine potrebbe essere quella di nazionalizzare l’azienda, nell’attesa di rivenderla a qualche società internazionale interessata alle potenzialità dell’aerea in termini di posizione e dimensione. Il Governo ha il dovere di intervenire per evitare che quello che è un disastro ambientale, come già emerso, si trasformi anche una tragedia sociale e occupazionale”.