Da "Don Matteo 11” a “Le indagini di Lolita Lobosco": Giulia Fiume, Carmela nella fiction serale rai, si racconta ai microfoni di Qds.it "Ho voglia di lavorare con tanti registi diversi e di recitare anche all'estero...".
In “Le indagini di Lolita Lobosco” ogni domenica sera, su Rai Uno, Giulia Fiume è Carmela Lobosco, figlia di Lunetta Savino e sorella di Luisa Ranieri. Da quando a vent’anni è volata a Roma per inseguire il sogno d’attrice, Giulia Fiume ha collezionato così tante esperienze lavorative da avere un curriculum eccellente. Ha calcato grandi palchi al fianco di artisti come Carlo Croccolo ed Enzo Garinei, Corrado Tedeschi, Fioretta Mari, Lina Sastri, Giorgio Pasotti. È stata protagonista nei panni di “Giulietta” nel “Romeo e Giulietta” di Gianni Clementi ed anche “In Love’s e Kamikaze” per la regia di Claudio Boccaccini nel ruolo di “Naomi”.
Prima della quarantena è stata in scena nella pièce “Otto donne e un mistero”, con Anna Galiena e Paola Gassman, per la regia di Guglielmo Ferro. Non solo teatro ma anche televisione. Giulia Fiume ha debuttato in veste di protagonista nelle serie “Sotto Copertura 2”, firmata da Giulio Manfredonia, in “Don Matteo 11” e in “A un passo dal cielo 5”.
Durante il lockdown, ha firmato ed interpretato una sit-com dal titolo ‘via La Spezia 127” da poco lanciata sul web.
Sei nel cast de “Le indagini di Lolita Lobosco” e interpreti la sorella della protagonista Carmela. Come ti sei preparata per questo ruolo?
“Quando c’è stata l’opportunità di farlo, il mio primo pensiero è andato al barese perché il provino andava sostenuto in dialetto con dei suoni non miei. Ho contattato gli amici pugliesi dicendo se mi rigiravano in note audio i provini così come le avrebbero dette. Carinamente loro mi hanno supportata. Ho sostenuto un provino in un dialetto verosimile ed è andata a buon fine”.
Hai preso qualcosa di Giulia Fiume per interpretare Carmela Lobosco?
“Essendo molto legata alle mie origini, al mio sud, non ho fatto molta fatica ad interpretare una donna del sud con tutte le sue connotazioni. Supportata dal mio racconto e dalle mie origini, ho tratto da me stessa”.
“Le indagini di Lolita Lobosco” è stata girata durante la pandemia e quindi dovendo rispettare le misure anticovid. Come è stato lavorare con questo “nemico invisibile”?
“Ha avuto le sue complessità nel senso che non ti potevi godere la parte bella di questo mestiere ossia la parte fisica, quindi partecipare a pranzi o cene tutti insieme o vivere insieme i giorni che noi chiamiamo off. È successo qualche volta che io abbia pranzato e cenato a casa perché sul momento non mi toccava girare. Non ho avuto paura sul set perché la produzione è stata super accorta e ha investito tantissimo perché noi fossimo estremamente in sicurezza per cui no, paura mai. Soffrivo di più la solitudine che in linea di massima nel mio mestiere non dovrebbe esserci”.
Facendo un passo indietro, ti ricordi il momento in cui hai capito che volevi fare l’attrice?
“Per me in realtà è stata più una serie di fortunati eventi perché mi accorsi che a scuola, allo Spedalieri, allestivano uno spettacolo di teatro di fine anno. Ero al secondo anno, mi informai e il cast era già chiuso. Ne parlai con mio padre che si stava occupando di una pratica che coinvolgeva l’insegnante di teatro per via traverse e me la fece conoscere. In quell’occasione mi convinsi e incontrai Gabriella Saitta con la quale cominciai un percorso che per me è stato fondamentale e necessario presso l’Accademia Atman di Catania. Sono stata con lei per i primi cinque anni di formazione. Questa è stata la condizione scatenante, ma ho sempre avuto un’attitudine in quanto assidua frequentatrice di villaggi turistici e tutto ciò che era animazione mi attirava. Però non sapevo potesse prendere questa forma. È stato un caso che poi è diventato un obiettivo e poi un mestiere”.
Cosa è per te il talento oggi?
“Il talento per me è una predisposizione ossia quando qualcosa ti viene bene senza averla studiata o faticata. È reale però che il talento non basti. Non è l’unica condizione necessaria per affrontare questo mestiere”.
Secondo te cosa non deve mancare nella valigia di un attore?
“Il copione o il testo teatrale sono fondamentali, perché bisogna sempre studiare e mai arrivare impreparati. Ci deve essere l’urgenza di farlo ossia devi avere un entusiasmo che ti sovrasta. Ci devono essere le risposte del mondo: va bene perseverare, però bisogna anche accorgersi di quali sono i propri limiti. Dunque lavorare in quella direzione e tentare di avere sempre più cartucce da giocarsi o rendersi conto che quella non è la strada. Forse anche il dubbio da portare con sé. Un attore che non si mette in discussione o che si definisce finito o che ripropone perfettamente allo stesso modo quella stessa caratterizzazione è un attore a metà. Ci deve essere una buona base e intendo proprio maquillage e quell’amore che ti sostiene a distanza quindi la famiglia o il compagno o compagna per chi ce l’ha perché è un mestiere che pretende la tua nudità e hai bisogno di essere sostenuto per affrontare il viaggio”.
Ti seguo da un po’. Sono arrivata a pensare che il teatro sia la tua seconda casa. Oggi proprio il teatro sta soffrendo a causa delle misure anticovid. Come stai vivendo questa situazione?
“Ci tengo a dire due cose. La prima: non è reale che non siamo stati sostenuti. Io personalmente sono stata sostenuta dall’IMAIE, dall’INPS e dallo Stato. D’altra parte io per prima non mi sono fermata. Muovo una denuncia più per un’altra questione: era stato richiesto che le trenta giornate di lavoro si abbassassero a sette per poter attingere al contributo. Non ero d’accordo perché se un attore in un anno lavora sette giorni probabilmente non può dirsi tale. Sono una persona estremamente pratica: per carità, il governo poteva fare molto di più e diversamente, ma io ho sbrigato tutta la burocrazia richiesta e non ho sofferto. In più adesso ci rimborsano pure i provini che sosteniamo. Mi rendo conto che per una famiglia di attori con figli, ciò che è arrivato potrebbe essere troppo poco, ma nel caso dell’attore singolo come me, non posso dire di aver sofferto una situazione di pesantezza. Sullo strillare non sono d’accordo. Concordo invece che il teatro, luogo più sicuro di tanti altri ancora aperti, è stato chiuso ingiustamente, nonostante i dati dell’Istat”.
Hai lavorato con i più grandi della recitazione italiana. C’è qualcuno di cui conservi l’insegnamento e il modo di approcciare al mestiere dell’attore?
“Ho collezionato delle ottime esperienze con persone che non sempre hanno trasmesso qualcosa, ma da cui ho tratto insegnamenti. La persona che porto più nel cuore tra tutte perché particolarmente accorta nei miei confronti a livello artistico è Anna Galiena, durante la tournée di “Otto donne e un mistero”. In Anna Galiena ho potuto apprezzare l’amore per le cose belle ossia aiutarsi perché abbiamo tutti da dare l’uno all’altro, soprattutto penso artisticamente, e il sano bisogno di soccorrere e di valorizzare l’altro”.
La prima quarantena è stato un momento di riposo per te perché eri reduce da una tournée, ma ad un certo punto a quattro mani hai firmato la sit-com “Via La Spezia 27” in cui hai anche partecipato in veste di attrice. Da dove è nata l’esigenza di metterti dal lato di chi scrive la storia?
“Ho un master in scrittura per cinema e televisione. Purtroppo non è capitata l’occasione di approfittare, nonostante io abbia scritto tanto per il teatro. Sono ancora timida da autrice, quindi ho tenuto spesso notizie per me. “Via La Spezia 127” è nata perché Francesca Anna Bellucci, una mia amica che apprezzo molto artisticamente, mi ha proposto di fare qualcosa. Non volevo farlo sulla quarantena, ma già covavo un’idea di miniserie. Lei era d’accordo, ci siamo messe a sceneggiarla a quattro mani e con l’ausilio di Andrea Tubili e di Federico Le Pera siamo riusciti a mettere su una sitcom da ben dodici episodi con tutte le difficoltà che il caso prevedesse. Alla fine siamo molto soddisfatti”.
Essere siciliana è diventato un valore aggiunto nel tuo lavoro?
“A livello energetico, vivere a un passo dal mare con un vulcano attivo che ti osserva è incredibile, ti entra dentro. La semplicità del modo in cui si vive, nel bene e nel male, il modo di interagire accogliente, una grandissima forza di volontà. Ciò si traduce nei suoi estremi ossia in ritardo e invadenza ma è una condizione di estrema semplicità. Quando vivi una condizione di semplicità riesci a stare di più con te, con le tue vere emozioni: il contatto è molto più forte. Questa cosa che è fondamentale per un attore, la Sicilia me l’ha data. E poi la Sicilia è i suoi colori, i suoi odori è il suo cibo: la Sicilia è tante cose e probabilmente non me ne sarei andata se ci fossero state le stesse chance che si avverano a Roma. Purtroppo non è così: ci riduciamo ad essere quello che siamo quando potremmo essere una potenza”.
Hai mai pensato di raccontare l’amore viscerale per la Sicilia con un progetto?
“Sarei venuta in Sicilia in tournée con “Storia di una capinera” perché ho debuttato l’anno scorso con un monologo tratto da “Storia di una capinera” di Giovanni Verga con la mirabile regia di Matteo Tarasco ed eravamo in procinto di distribuirlo giù in Sicilia. Poi è arrivato il covid e quindi chissà… ho tutta la volontà di tornare a casa”.
Sogno nel cassetto: da chi ti piacerebbe essere diretta?
“Ho voglia di lavorare con tutti e di fare tutti i personaggi che spero mi verranno proposti. Ho voglia di fare questo mestiere anche fuori dall’Italia, lavorare per qualche progetto americano o spagnolo. Per me il mondo è il mercato, non l’Italia. Ci sarebbero milioni di registi con cui vorrei lavorare. Mi potrò dire soddisfatta all’ultimo”.
Quali sono i tuoi prossimi progetti lavorativi?
“Avremmo debuttato a Teatro Lo Spazio proprio il 4 marzo per la regia di Federico Le Pera, il mio compagno, con un testo che ho scritto io e che si chiama “Il rimpiazzo”. Il DPCM non volle e quindi abbiamo deciso di farne un video per contare di distribuirlo la stagione prossima perché è uno spettacolo a cui teniamo tantissimo perché ci piace tantissimo. Sono l’unica donna circondata da uomini validi. Con me al mio fianco: Kabir Tavani ed Eugenio Mastandrea”.
Sandy Sciuto