In Italia lo spettacolo “La vegetariana” e il libro “Non dico addio”
COREA DEL SUD – È un momento pieno di significato e di soddisfazioni per la scrittrice sudcoreana Han Kang che, negli scorsi giorni, ha vinto il premio Nobel per la letteratura 2024. Proprio questo autunno, uno dei capolavori della scrittrice, verrà messo in scena in Italia.
Lo spettacolo teatrale “La vegetariana”, tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice sudcoreana Han Kang, vincitrice del Nobel per la Letteratura 2024, andrà in scena in prima assoluta dal 25 al 27 ottobre al Teatro Arena del Sole di Bologna. L’adattamento del testo è di Francesca Marciano e Daria Deflorian che ne cura anche la regia ed è anche sul palcoscenico con Paolo Musio, Monica Piseddu e Gabriele Portoghese.
“Un testo sensuale, provocatorio e violento, ricco di immagini potenti, colori sorprendenti e domande inquietanti” così Daria Deflorian, ideatrice del progetto “La vegetariana”, ha descritto il romanzo.
L’interprete e regista, insieme alla sceneggiatrice Francesca Marciano e al gruppo di attori in scena, realizza un adattamento teatrale che mira a ricreare sul palcoscenico quell’“esperienza straordinaria” che è la lettura del romanzo.
“La vegetariana” racconta la storia di una donna che, a causa della sua scelta alimentare, si imbatte in conseguenze disastrose: la storia della protagonista, Yeong-hye, viene sempre descritta attraverso le percezioni di un’altra persona: prima il marito, poi il cognato e infine la sorella. È come se Yeong-hye stessa fosse privata del diritto di avere una propria identità, e la sua esistenza fosse giustificata solo in quanto funzionale alle esigenze di un’altra persona.
La decisione di non mangiare più carne è l’atto di ribellione, è la necessità di Yeong-hye di riaffermare la propria esistenza in quanto individuo a sé. Al tempo stesso però, è anche negazione di quel corpo che è memoria e testimone di una violenza fisica e psicologica. Il disgusto per la carne della protagonista, reso palpabile dalla natura grafica dei suoi sogni, si identifica con la rinnegazione di quel corpo stesso e con la ricerca di una rinascita, di una liberazione dal trauma.
La protagonista Yeong-hye, è una casalinga diligente, una giovane non del tutto infelice, ma senza nessuna grande passione. Suo marito è un impiegato mediocre, non molto ambizioso. I due conducono una vita ordinaria, finché Yeong-hye non butta via tutta la carne dal congelatore e annuncia che d’ora in poi diventerà vegetariana. L’unica spiegazione che dà al marito è: “Ho fatto un sogno”.
Una storia in tre atti, la perturbante dissezione di un’inattesa crisi familiare. Lo spettacolo è allestito all’interno del focus Opening – Showcase Italia ed è in coproduzione con Emilia Romagna Teatro Ert / Teatro Nazionale; La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello in corealizzazione con Romaeuropa Festival, T – Teatro Piemonte Europa, Triennale Milano Teatro, Odéon-Théâtre de l’Europe, Festival d’Automne à Paris, théâtre Garonne, scène européenne – Toulouse, con la collaborazione di Atcl / Spazio Rossellini, Istituto Culturale Coreano in Italia con il supporto di MiC Ministero della Cultura.
La scrittrice sudcoreana Han Kang, 53 anni, è considerata un’autrice estremamente coraggiosa, che ha deciso di fare dell’esplorazione della violenza, individuale e collettiva, il soggetto della propria arte. Nata a Gwangju il 27 novembre 1970, figlia dello scrittore Han Seungwon, ha vinto il Yi Sang Literary Award come il padre. In Italia i suoi romanzi sono pubblicati da Adelphi. Tra i suoi libri oltre “La vegetariana”, vincitore del Man International Booker Prize nel 2016, anche “Atti umani” (2017), “Convalescenza” (2019) e “L’ora di greco” (2023).
Tra gli altri riconoscimenti ricevuti, spicca il Premio Malaparte che è stato consegnato a Kang il 1° ottobre 2017 a Capri, dove aveva presentato “Atti umani”, allora in uscita in traduzione italiana, con la giuria presieduta da Raffaele La Capria. Ispirato a un episodio di rivolta urbana realmente avvenuto nella Corea del Sud nel maggio 1980, “Atti umani” è un lungo dialogo tra i vivi e i morti su una carneficina mai veramente narrata in Occidente.
Ma non finisce qui il contributo che questa grande donna e scrittrice avrà verso il nostro Paese. Il 5 novembre Adelphi pubblicherà, con la traduzione di Lia Iovenitti, “Non dico addio”, il romanzo della scrittrice sudcoreana uscito in edizione originale nel 2021. Nel catalogo della casa editrice che fu animata da Roberto Calasso figurano già i romanzi “La vegetariana” (2016), “Atti umani” (2017), “Convalescenza” (2019) e “L’ora di greco” (2023).
Apparso nel 2021 “Non dico addio” – che in Francia ha ricevuto il Prix Médicis étranger 2023 e il Prix Émile Guimet 2024 – è l’ottavo romanzo di Han Kang. È una sorta di arduo e doloroso viaggio d’inverno, quello che compie la protagonista, Gyeong-ha, quando, senza esitare, accetta la pressante richiesta dell’amica Inseon, ricoverata in ospedale a Seul, di andare sull’isola di Jeju per dare da bere al suo pappagallino, che è rimasto da solo e rischia di morire.
A Jeju, infatti, la accoglie una terribile tempesta di neve, e poi un sentiero nel buio dove si perde, cade e si ferisce. Ma niente riesce a fermarla. Gyeong-ha si rialza e prosegue, perché sa che deve assolutamente raggiungere la casa di Inseon e salvare il pappagallo. Quando arriverà, potrà soltanto seppellirlo, scavando a fatica nella neve e nella terra gelata. Poco dopo, però, lo vedrà di nuovo svolazzare nelle stanze buie e fredde – e insieme a lui comparirà anche l’amica, che aveva lasciato all’ospedale.
Sotto la sua guida, Gyeong-ha compirà un altro viaggio: una discesa agli inferi, questa volta, nella storia della famiglia di Inseon e di uno dei massacri più infami che la Corea abbia mai conosciuto – quello perpetrato, tra la fine del 1948 e i primi mesi del 1949, ai danni di trentamila civili accusati di essere comunisti. E il lettore, a sua volta, non potrà che lasciarsi guidare dalla virtuosità narrativa di Han Kang, dalla sua scrittura al tempo stesso lirica e implacabilmente precisa, nell’itinerario onirico e memoriale di Gyeong-ha, dove la frontiera tra visibile e invisibile sembra svanire. Ma non può svanire la realtà atroce della violenza.