La Corte costituzionale e il “diritto al silenzio” - QdS

La Corte costituzionale e il “diritto al silenzio”

La Corte costituzionale e il “diritto al silenzio”

giovedì 03 Giugno 2021

Cari lettori, con questo articolo inizia la mia collaborazione con il Quotidiano di Sicilia. Nella rubrica “L’angolo della Corte” cercherò di darvi ogni mese, compatibilmente con lo spazio che mi è concesso, una prima informazione su una sentenza della Corte costituzionale che ritengo di particolare interesse. Se poi qualcuno volesse approfondire, tutte le decisioni della Corte insieme ad altre notizie sulla sua attività, sono reperibili sul sito ufficiale della Corte costituzionale www.cortecostituzionale.it. Buona lettura!

La legge (art. 18 quinquiesdecies del decreto legislativo n. 58 del 1998, cosiddetto “ T.U. Finanza”) può imporre a chi sia sotto indagine della Consob, perché sospettato di aver “manipolato” il mercato finanziario (tecnicamente “market abuse”), di rispondere alle domande che gli sono fatte, a pena di pesanti sanzioni pecuniarie in caso di rifiuto, anche se ciò significherebbe per lui auto-accusarsi e incorrere in sanzioni ancora più gravi? Secondo la Cassazione, che ha posto tale quesito alla Corte, la norma in questione contrasterebbe non solo con il diritto di difesa, comprensivo del diritto di tacere, sancito dall’art. 24 Cost. ma con numerosi atti internazionali che si impongono alle leggi italiane, quali la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il Patto internazionale dei diritti civili e politici, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) tutti recanti il divieto di imporre a chi sia indagato di concorrere alla propria accusa.

La Corte nell’ordinanza n. 117 del 2019 ha condiviso le perplessità espresse dalla Cassazione ma si è trovata di fronte all’ostacolo che la stessa Suprema Corte aveva evocato: la direttiva 2003/6/CE, confermata dal successivo Regolamento n. 596/2014, dell’Unione Europea che imponevano agli Stati membri di sanzionare chi non avesse collaborato, anche mantenendo il silenzio, con le autorità statali di vigilanza sui mercati finanziari (in Italia, appunto la Consob). Le norme comunitarie sembravano non prevedere, nella loro formulazione letterale, eccezioni in favore di chi rischiava, rispondendo alle domande, di auto-accusarsi. Proprio in attuazione della direttiva 2003/6/CE era stato introdotto nel “T.U. Finanza” l’articolo contestato che sanziona “chiunque non ottempera” alle richieste Consob.

La Corte costituzionale si è quindi rivolta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che è l’interprete privilegiata del diritto dell’Unione: la direttiva e il regolamento possono essere interpretati nel senso di escludere che il soggetto indagato debba rispondere quando ciò equivarrebbe ad ammettere le proprie responsabilità? La Corte di Giustizia ha risposto fugando ogni dubbio: le direttive e i regolamenti vanno interpretati in modo da non confliggere con i diritti fondamentali quali sono proclamati negli atti fondanti delle Comunità Europee e della successiva Unione europea. In questo caso viene in gioco l’art. 48 della Carta dei Diritti Fondamentali che garantisce il diritto di difesa e quindi anche il “diritto al silenzio” non soltanto all’imputato in un processo penale ma anche a chi, come nel caso che interessa, sia sottoposto ad un procedimento formalmente amministrativo suscettibile però di condurre all’imposizione di sanzioni per somme rilevantissime, assimilabili a vere e proprie pene.

La Corte costituzionale con la recente sentenza n. 84 del 2021 ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo denunciato nella parte in cui si applica anche a chi rispondendo si sarebbe auto-accusato di un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero di un reato. Ha quindi esteso la dichiarazione di illegittimità alle successive modifiche dell’articolo che imponevano di rispondere anche nel caso di indagini condotte dalla Banca d’Italia.

Giovanni Cattarino
già Consigliere della Corte costituzionale e Capo Ufficio Stampa

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