La media nazionale è ferma all’11,3% mentre nell’Isola si tocca il 16%: a pesare è anche l’elevata pressione fiscale. Secondo l’Istat nel Paese i soggetti in assenza di un regolare contratto ammontano ad almeno 2,8 milioni
PALERMO – Il 16% dei lavoratori siciliani è irregolare, un esercito di oltre 242 mila persone. Si tratta dei dati relativi al 2021, i più recenti messi a disposizione dell’Istat. Poco meno del 10% del totale italiano. Con queste percentuali, la Sicilia si trova al terzo posto, dietro alla Campania, che arriva al 16,5%, e alla Calabria, al 19,6%.
Lavoro nero, la cosiddetta “economia non osservata”
La cosiddetta “economia non osservata” raggruppa una serie di manifestazioni differenti, definite da un grado variabile di illegalità, a partire dal lavoro in nero fino alla sottodichiarazione e affitti e mance in nero.
In termini assoluti, la Sicilia è superata dalla Lombardia, dove si contano 439 mila irregolari, ma con una percentuale che scende al 9,1%; ancora, il Lazio, con 366 mila irregolari, e una percentuale che sale al 13,6%.
In ultimo la Campania, dove si contano 308 mila lavoratori non in ordine con la legge. I lavoratori completamente o parzialmente irregolari presenti in Italia, secondo una stima dell’Istat riferita al 2021, ammontano ad almeno 2,8 milioni.
Si tratta di persone completamente sconosciute al fisco o che, sebbene parzialmente in regola, omettono di versare una parte delle imposte e dei contributi previdenziali, violando così le norme fiscali e contributive.
Una contraddizione con ciò che succede a coloro che sono fedeli alla Stato e che pagano le tasse, che si ritrovano a lavorare per l’erario per quasi metà dell’anno. Nel 2023, il cosiddetto “giorno di liberazione fiscale” è stato il 5 giugno.
In linea meramente teorica, pertanto, a partire da queste settimane anche nel 2024 si lavorerà per soddisfare i propri bisogni e non più per pagare le tasse, le imposte, i tributi e i contributi sociali previsti nel 2024.
Un gettito che per l’erario dovrebbe garantire 909,7 miliardi di euro. Risorse che sono indispensabili allo Stato per far funzionare le scuole, gli ospedali, i bus, i treni, gli uffici pubblici e per pagare le pensioni, gli stipendi agli statali e ai dipendenti degli enti locali.
In altre parole, sono soldi che le amministrazioni pubbliche prima incassano, poi investono nei servizi, nel welfare, nelle infrastrutture sociali ed economiche per migliorare la qualità della vita di ognuno di noi. Da una parte, quindi, tantissimi irregolari, dall’altra una pressione fiscale non indifferente, anzi.ù
In Italia livello di pressione fiscale tra i più elevati in Ue
L’Italia continua ad avere un livello di pressione fiscale tra i più elevati all’interno dell’Unione europea. Nel 2023, infatti, solo la Francia, il Belgio, la Danimarca e l’Austria hanno registrato un peso fiscale superiore al nostro.
Se a Parigi la pressione fiscale era al 45,8% del Pil, a Bruxelles si è attestata al 45,3%, a Copenaghen al 44,5% e a Vienna al 42,9%. La media dei Paesi europei è stata del 40,3%, 2,2 punti in meno della media italiana.
Al netto dei contributi previdenziali, se analizziamo il gettito 2021 delle principali imposte versate in termini assoluti dai contribuenti di ciascuna regione scorgiamo che le più “pagatrici” sono la Lombardia con 87,9 miliardi di euro, il Lazio con 43,5, l’Emilia Romagna con 34,2 e il Veneto con 33,8.
Ovviamente, questi risultati risentono del fatto che queste realtà sono tra le più popolate d’Italia, i livelli di reddito sono tra i più elevati del Paese e la presenza del sistema economico è concentrato proprio in questi territori.
Dalla Sicilia, invece, arrivano appena 18,5 miliardi di euro, che corrisponde al 4,9% del gettito totale nazionale, un tasso estremamente basso considerata la popolazione della regione.