La Cassazione ha reso definitive le condanne al processo Talea contro capi e gregari della cosca di Resuttana e San Lorenzo. L'inchiesta ha messo in luce il sistema delle estorsioni
Duro colpo per la mafia a Palermo. La quinta sezione della Cassazione ha infatti reso definitive le condanne al processo Talea contro boss e gregari della cosca di Resuttana e San Lorenzo. Il procedimento fa seguito al blitz dei carabinieri del 5 dicembre 2017.
L’inchiesta aveva messo luce sulle dinamiche del pizzo, chiesto anche ai gestori della nota pizzeria La Braciera, i quali aveva denuncia e fatto arrestare gli estorsori. Ma non sono gli unici imprenditori ad aver fornito informazioni agli investigatori.
Mafia, chi sono i condannati al processo Talea
Come scrive oggi il Giornale di Sicilia, la Cassazione ha confermato quasi per intero la sentenza della prima sezione della Corte d’appello.
Fra i condannati c’è anche Maria Angela Di Trapani, moglie del killer Salvino Madonia, alla quale già in appello erano stati inflitti quattro anni. Gli altri condannati sono Pietro Salsiera (14 anni), Giovanni Niosi (10 anni), Giuseppe Biondino (9 anni e 2 mesi) Filippo Bonanno (9 anni e 4 mesi), Antonino Catanzaro (2 anni e 8 mesi), Francesco Paolo Liga (10 anni e 4 mesi), Salvatore Lo Cricchio (8 anni), Francesco Lo Iacono (2 anni e 8 mesi), Corrado Spataro (11 anni e 8 mesi), Lorenzo Crivello (8 anni e 8 mesi). E ancora Ahmed Glaoui, Antonino La Barbera, Salvatore Ariolo (condannati a 5 anni), Massimiliano Vattiato (per lui 8 anni e 2 mesi), Ignazio Calderone (4 anni) e Antonino Tumminia (2 anni e 2 mesi).
Per Stefano Casella (2 anni e 2 mesi) dovrà decidere la Corte d’appello dopo l’annullamento della sentenza impugnata solo per valutare se concedergli le attenuanti generiche. Sentenza annullata per Pietro Salamone (10 anni) solo per decidere se dargli un aumento di pena per la continuazione. Pena da ricalcolare, con rinvio in appello per Sergio Napolitano che era stato condannato a 12 anni e 8 mesi.
Sergio Macaluso (11 anni, 5 mesi e 10 giorni) e Domenico Mammi, collaboratori di giustizia, erano stati condannati in appello rispettivamente a 11 anni, 5 mesi e 10 giorni e 7 anni e 6 mesi, ma ora non erano più tra gli imputati.