Il ministro prende tempo e annuncia un nuovo “dibattito pubblico”. Basta, serve un sì per lo sviluppo del Sud
PALERMO – “Non c’è la cattedrale e resta il deserto”, titolava questo giornale il 15 dicembre del 2017. Sono passati più di tre anni e nulla è cambiato tra Messina e Reggio Calabria. Il Ponte sullo Stretto continua a restare un miraggio, il simbolo di un Paese incapace e sprecone (perlopiù quando si tratta di Mezzogiorno), mentre di tutte le altre opere – le strade, le ferrovie, l’ammodernamento dei porti (le alternative prioritarie che da almeno vent’anni promettono i politici benaltristi di oggi come quelli di ieri) – non c’è alcuna traccia. Per esempio nell’ambito ferroviario, in Sicilia ci sono 1.267 km a binario singolo su 1.490 km totali di rete (l’85%), il 46% delle linee non è ancora elettrificato e l’alta velocità (quella vera a 300-350 km/h) non è nemmeno in programmazione. Una situazione che, al netto del Ponte, è rimasta praticamente identica considerando solo l’ultimo triennio.
Intanto, la lunga telenovela italiana vede ora il destino “dell’attraversamento stabile”, come di questi tempi va di moda chiamare il collegamento tra Scilla e Cariddi, appeso alla “sentenza” di una fantomatica commissione istituita presso il Ministero delle Infrastrutture. Per fare che? Per continuare, di fatto, “a riflettere” su una scelta strategica per il futuro del Sud, quella che esperti di svariate università e centri di ricerca hanno definito, in buona sostanza, l’ultima chiamata per intercettare le merci in transito da Suez. Ma sì, pensiamoci un altro po’. Come se settant’anni di analisi, studi, gare non fossero sufficienti. E a quanto pare nemmeno basterà. Il novello ministro, Enrico Giovannini, ha dichiarato candidamente che “in tempi brevi” presenterà al Parlamento l’esito di tale lavoro, “così da aprire al più presto un dibattito pubblico”.
La prima volta che si iniziò a dibattere del Ponte correva l’anno 1866, quando il governo del neonato Regno d’Italia era guidato da Alfonso La Marmora e ai Lavori pubblici era preposto il ministro Stefano Jacini. Da allora di acqua sotto il Ponte non ne è passata manco una goccia; i progetti invece si sono sprecati. Da quello dell’ingegnere statunitense di fama mondiale, David B. Steinman, datato 1952, fino al più recente di Eurolink, l’associazione temporanea di imprese guidata da Impregilo Spa che nel 2005 vinse la gara d’appalto. Un progetto arenatosi nel passaggio dall’ultimo Governo Berlusconi all’esecutivo tecnico di Mario Monti, che decise di stoppare definitivamente l’opera nonostante fossero già stati spesi 300 milioni di euro.
Ma quel progetto, che prevede la struttura a campata unica sospesa più lunga del mondo, è ancora valido ed è stato acquisito da Webuild, il gruppo leader delle costruzioni che ha realizzato in due anni il ponte San Giorgio di Genova. In totale il costo dell’investimento, aggiornato al 2021, ammonterebbe a 8,56 miliardi. In sei anni verrebbe realizzato un Ponte lungo 3,66 chilometri, sostenuto con due torri da 400 metri, che sarebbero gli edifici più alti del Paese. Per lo Stato si avrebbero circa 8 miliardi di nuove entrate nella sola fase di costruzione, mentre nei trent’anni di gestione, sarebbero generate da tutto l’indotto entrate erariali per 107 miliardi, oltre a 118 mila nuovi occupati tra assunzioni dirette e indotto, con un incremento dello 0,5 del tasso di occupazione nazionale e un incremento dello 0,2% del Pil italiano.
I presidenti delle Regioni Sicilia e Calabria spingono affinché non si perda più altro tempo prezioso. “Esiste un percorso procedurale già avviato e poi sospeso – ha dichiarato l’assessore alle Infrastrutture Marco Falcone in un recente incontro con i tecnici di WeBuild – che, oggi, può essere riattivato in tempi celeri per evitare di partire da zero”.
È questa la strada più veloce per avviare in tempi brevi il “cantiere dei cantieri”. “In sei-sette mesi – hanno sottolineato i tecnici del Gruppo guidato da Pietro Salini, intervenuti alla videoconferenza con gli assessori regionali di Sicilia e Calabria – possono compiersi tutte le azioni necessarie per cantierare l’opera. Il solo Ponte vale circa 2,9 miliardi, cifra inferiore a tutti i costi che sopportano le Regioni e l’Italia nel non realizzare questa infrastruttura così strategica”.
Recovery o non recovery (secondo il ministro Giovannini il Ponte verrebbe rigettato se inserito nel Pnrr in quanto non potrebbe entrare in esercizio entro il 2026 come richiesto da Bruxelles), l’opera è indispensabile per la ripresa del Paese. Peraltro costa meno o quanto altre infrastrutture già realizzate in Italia o in corso di realizzazione. Per il Terzo valico, una linea ad alta capacità che dal 2023 potenzierà i collegamenti del sistema portuale ligure con le principali linee ferroviarie del Nord Italia e con il resto d’Europa, sono stati stanziati quasi 7 miliardi di euro.
Per la Galleria del Brennero, tra Bolzano e Innsbruck, che si stima di completare entro il 2028, sono programmati finanziamenti per oltre 8 miliardi (ripartiti equamente tra Italia e Austria). Il Mose, un sistema di dighe mobili che salvaguarda Venezia dall’acqua alta, fino ad ora è costato quasi 6 miliardi. E circa 8,6 miliardi di euro è il costo previsto per la tratta principale del Tav Torino-Lione, una linea ferroviaria per il trasporto di merci e persone lunga 270 chilometri, anello centrale del Corridoio Mediterraneo, uno dei nove assi della rete di trasporto europea Ten-T. Quella stessa rete da cui la Sicilia, senza Ponte, resterà di fatto tagliata fuori.
Il ministro Cingolani dice “no”, ma senza aver studiato il progetto
ROMA – Sono passati settant’anni dai primi studi per realizzare il Ponte di Messina, ma Roberto Cingolani, nocchiere della Transizione ecologica, che ha ammesso di “non aver studiato il progetto” , per ora “aspetterebbe”. Sono bastate poche parole del ministro, intervenuto alla trasmissione “The Breakfast club” su Radio Capital, per rinfocolare il dibattito sull’attraversamento stabile dello Stretto. Per Cingolani “lì da un lato c’è una situazione di sismicità critica, dall’altro penserei più a potenziare le infrastrutture fondamentali per Sicilia e Calabria”.
Dichiarazioni contro le quali si è scagliata Matilde Siracusano, deputata di Forza Italia, secondo cui “il ministro sbaglia a liquidare con poche parole e senza aver approfondito tutti i dossier disponibili – per sua stessa ammissione – il tema della realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Anche da questa affrettata presa di posizione emerge come sul collegamento stabile tra Sicilia e Calabria esista ormai una sorta di pregiudizio ideologico assai difficile da superare. Forza Italia ribadisce la necessità di inserire l’opera nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, sostenendo nei tavoli europei la necessità di una deroga al vincolo temporale, ovvero finanziando con il Recovery Fund le opere infrastrutturali terrestri e completando l’attraversamento dello Stretto con i Fondi di sviluppo e coesione, e con quelli strutturali”.
Il “vincolo temporale” di cui parla Siracusano è il limite posto da Bruxelles ai Paesi membri per portare a compimento i progetti che verranno finanziati. In altre parole, ogni Stato dell’Ue può inserire nel Pnrr solo opere realizzabili entro il 2026, un tetto troppo breve per il Ponte (servono circa sei anni e solo qualora si optasse per il progetto immediatamente cantierabile di WeBuild). “Gli ostacoli materiali non sono assolutamente insormontabili – afferma la deputata azzurra – auspichiamo che non lo siano neanche quelli culturali di chi deve compiere le scelte di governo. Il Ponte rappresenta una priorità fondamentale per il Sud e per il suo sviluppo economico”.
Sulla vicenda interviene anche Silvia Vono, parlamentare di Italia viva, che accusa il ministro di “cedere alle sirene populistiche del ‘rinfreschiamo l’esistente invece che costruire’, paventando dubbi sismici già risolti e relegando l’intero mezzogiorno a essere schiavo di un sistema ‘a binario morto’”. Secondo Vono, “la questione del Ponte, che porta con sé lo sviluppo di due città metropolitane, l’ampliamento dell’offerta di business dei porti di Augusta e Gioia Tauro, e tutta la questione del trasporto ad alta velocità, non merita più di essere rimandata. Il mio augurio, così come quello di tutto l’intergruppo per il Ponte e il rilancio del Sud, che vede coinvolti parlamentari di tutti gli schieramenti, sia che il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani possa rendersi edotto sul progetto esistente e condividere con il Governo, con noi parlamentari e con il ministro Giovannini quella che è una delle più grandi occasioni di sviluppo per tutto il meridione”.
Plaude a Cingolani, invece, il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli: “La Sicilia, la Calabria e le regioni del Sud hanno bisogno di treni per i pendolari, acquedotti, depuratori, di interventi contro il dissesto idrogeologico, di costruire distretti industriali legati all’innovazione tecnologica e alla conversione ecologica che potrebbero realizzare decine di migliaia di posti di lavoro”.