Intervista a Giuseppe Busia, vertice dell’Autorità nazionale anticorruzione: “Diverse criticità" per il progetto del Ponte, ecco quali sono.
Il progetto riguardante la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 30 maggio 2023, della Legge n. 58 del 26 maggio 2023, di conversione con modifiche del decreto-legge 31 marzo 2023, n. 35, recante “Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria”, sembra aver preso il suo avvio. Il provvedimento contiene disposizioni volte a riavviare l’iter realizzativo del cosiddetto “Ponte sullo Stretto di Messina” attraverso la prosecuzione del rapporto concessorio con la Società Stretto di Messina S.p.A., la ripresa dei rapporti contrattuali tra la medesima società concessionaria, il contraente generale e gli altri soggetti interessati.
L’unico punto non chiaro dell’intera operazione che, nel suo complesso durerà circa dieci anni, è quali saranno le risorse economiche che permetteranno di tener aperto il rubinetto di alimentazione economica. Le stime attuali, rilasciate ovviamente con beneficio di inventario, stimano una spesa di circa 10 miliardi cui dovrebbero aggiungersi circa un miliardo e mezzo per l’adeguamento strutturale di ciò che permetterà al ponte di interconnettersi alla rete autostradale sia calabrese sia siciliana. Trattandosi di appalti enormi, anche dal punto di vista economico, da più parti sono scattati campanelli di allarme riguardanti gli appetiti delle mafie che troverebbero nella realizzazione del ponte una tavola imbandita con moltissime portate. Anche a questo proposito, il QdS ha intervistato Giuseppe Busia, presidente di Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione.
Ponte sullo Stretto e legalità, l’opinione dell’Anac
Presidente Busia, sulla Gazzetta Ufficiale del 30 maggio è stata pubblicata la Legge n. 58/2023, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n. 35/2023, recante disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. La durata complessiva del progetto, tra riprogettazione ed esecuzione dei lavori, si prevede sia di circa dieci anni. A suo giudizio quali sono le strategie che è necessario mettere in atto per evitare che gli appetiti delle mafie siano soddisfatti da quest’opera che, si stima, costerà intorno ai 10 miliardi di euro?
“Di fronte a investimenti di tale portata, è evidente che i rischi di corruzione e di infiltrazioni delle mafie sono altissimi. Da tempo, le mafie cercano di orientare la propria azione verso l’ingresso nell’economia legale, piuttosto che dedicarsi a reati di sangue. E questo – occorre sempre ricordarlo – ben oltre i confini delle regioni in cui più tradizionalmente tali organizzazioni criminali hanno operato. In considerazione di tali rischi, sarà in ogni caso necessario pensare a misure di prevenzione straordinarie, con il contributo di tutte le istituzioni a vario titolo coinvolte, dalle procure alle prefetture e a tutte le forze di polizia. Più specificamente per quanto attiene alla gestione dei contratti, sarà certamente necessario il massimo sforzo nel segno della trasparenza di ogni fase ed elemento delle procedure, prevedendo anche alcune limitazioni rispetto alla possibilità di subappaltare. In questi casi, anche il nuovo Codice dei contratti prevede che si possano fissare limiti in tale direzione. E questo, non solo per evitare i rischi di infiltrazione criminale, ma anche per il fatto che la complessità tecnica delle opere da realizzare e il grado di competenze richieste possono richiedere che a svolgere gli interventi siano direttamente le imprese aggiudicatarie o quelle da queste specificamente individuate per taluni interventi specialistici, rifuggendo da pratiche quali il subappalto a cascata, che potrebbe diventare non solo il terreno di elezione per le infiltrazioni criminali, ma che metterebbe anche a rischio la qualità delle lavorazioni e quindi la sicurezza dell’opera”.
“Tuttavia, adesso siamo in una fase ancora molto preliminare rispetto a tale momento, e i rilievi che abbiamo mosso hanno riguardato le modalità con le quali si è arrivati a riattivare tale percorso ed i contenuti del decreto legge”.
Quali sono allora le obiezioni più generali di Anac sul Ponte e sul decreto legge che ne ha riattivato il processo di realizzazione?
“Mi faccia fare una premessa: come è noto, sulla stessa opportunità di realizzare il ponte, da più parti sono stati mossi rilievi riguardanti l’impatto ambientale di tale opera, in una delle zone più belle del nostro Paese, nonché considerazioni relative alla scelta delle priorità, evidenziando che tutti questi miliardi potrebbero essere spesi per realizzare interventi molto più urgenti e utili in aree che hanno quanto mai bisogno di investimenti, anche in materia di trasporti e mobilità. Come Anac, ci siamo volutamente e doverosamente astenuti da entrare in tale dibattito, essendo aspetti che esulano dalle nostre competenze istituzionali in senso stretto, e ci siamo invece concentrati sugli aspetti contrattuali, che in parte sono stati trasfusi nel decreto legge 35/2023″.
“Al riguardo, ci sono almeno quattro elementi critici. Innanzi tutto, va detto che non si è voluta fare una nuova gara per il ponte, e questo ci inchioda ad un progetto vecchio. Negli ultimi anni, la tecnologia ha fatto passi da gigante in tutti i campi e ogni giorno macchinari, prodotti e materiali che fino a ieri sembravano all’avanguardia, vengono superati da altri molto migliori e performanti. Di fronte a questo, siamo davvero sicuri che convenga affrontare una sfida ingegneristica di tale portata restando agganciati a quanto si conosceva e si sapeva fare ben dieci anni fa? Secondo: tale progetto è di proprietà di una impresa privata e, essendo stato approvato il decreto prima che fosse chiuso il contenzioso, di fatto le è stato fatto un regalo. Fino a ieri, essa aveva in mano un progetto vecchio e aveva perso in primo grado nel giudizio per il risarcimento dei danni che chiedeva per la sospensione dell’opera. Improvvisamente, si è vista riconoscere, addirittura per legge, non solo che il progetto è ancora attualissimo, ma anche che è quello migliore per realizzare l’opera: è evidente che di fronte ad ogni possibile futuro contenzioso avrà molte armi in più per chiedere cifre ben superiori a quelle che aveva posto alla base del suo ricorso”.
E le altre due critiche?
“Terzo elemento: esistono vincoli europei, anche di spesa, e rischiamo un contenzioso futuro. Avendo voluto evitare la gara e mantenere in piedi il contratto con l’impresa selezionata tanti anni fa, siamo tenuti a rispettare quanto previsto dall’articolo 72 della direttiva europea, che pone un limite invalicabile, e cioè che l’aumento dei costi non debba superare il 50% di quanto messo a gara originariamente. Quindi, la decisione di non fare la gara sta in piedi solo se non si aumentano i costi oltre il 50% di quanto originariamente previsto: 4 miliardi e 300 milioni nel 2002, saliti a 8 miliardi nel 2011″.
“Quarto, il decreto non specifica a sufficienza gli obblighi dell’impresa privata e non mette adeguatamente a suo carico il rischio varianti. E il vecchio contratto ha già dimostrato di non essere sufficientemente blindato, perché ha portato a raddoppiare il suo importo con le varianti del 2011. Come Anac abbiamo rilevato uno squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata, a danno del pubblico, sul quale rischia di essere trasferita la maggior parte dei rischi. Per tale ragione, avevamo
proposto alcuni interventi emendativi volti a rafforzare le garanzie della parte pubblica, non accolti, tuttavia, dal Governo in sede di conversione del decreto”.
Servirà un nuovo modello ispettivo?
I protocolli e i controlli previsti per le grandi opere saranno sufficienti o si renderà necessario istituire un nuovo modello ispettivo che non incida sui tempi di esecuzione dell’opera?
“Ove dovessero essere superate le altre difficoltà alle quali facevo riferimento, occorrerà adottare protocolli di legalità particolarmente stringenti, così da garantire controlli adeguati. Come Anac abbiamo una notevole esperienza in questo, e lavoriamo sempre in sinergia con le procure, le prefetture e le forze di polizia. Nel caso in cui, durante l’esecuzione dell’opera, dalle attività di indagine risulti che alcuni operatori impegnati nei lavori sono coinvolti in reati di corruzione o vi siano infiltrazioni mafiose, occorre estromettere tali soggetti, senza per questo compromettere la realizzazione dell’opera e il rispetto della relativa tempistica”.
“Per tale ragione, secondo il modello che a suo tempo è stato adottato con Expo Milano, si è previsto che il presidente dell’Anac possa proporre al prefetto di nominare dei commissari che sostituiscano gli imprenditori coinvolti nelle indagini, in modo che l’opera possa comunque proseguire, congelando
nel frattempo gli utili, perché i possibili eventi corruttivi non portino in ogni caso vantaggio a chi li ha commessi. Nella scorsa legislatura il Parlamento ha accolto alcune proposte di modifica che avevamo avanzato: grazie a questo, oggi tali istituti sono ancora più performanti e flessibili, così da garantire la sufficiente adattabilità al caso concreto. Occorrerà inoltre introdurre misure straordinarie per garantire trasparenza su tutte le attività legate all’attività contrattuale, anche con riferimento alla fase esecutiva, nonché attivare sistemi di controllo avanzati. Penso, fra gli altri, alle esperienze legate ai cosiddetti “cantieri digitali”, che consentono di controllare puntualmente i mezzi che vengono impiegati nelle lavorazioni e i loro spostamenti, nonché di tracciare i materiali ed i rifiuti, verificare le persone che operano al loro interno anche al fine di garantire il pieno rispetto della normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. Di tutto questo, purtroppo, non vi è nulla nel decreto legge”.
Le criticità del nuovo Codice appalti
Le recenti modifiche al “Codice degli Appalti” saranno sprone positivo alla realizzazione di tale grande opera o potrebbero rappresentare una scorciatoia verso l’illegalità?
“Il nuovo Codice contiene tanti elementi positivi, alla cui stesura anche noi abbiamo lavorato come Anac. Penso in particolare alla digitalizzazione dell’intero ciclo delle procedure contrattuali, incentrato sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici costituita presso la nostra Autorità. Grazie a essa, non solo è possibile controllare e verificare ogni passaggio, ma si introducono notevoli semplificazioni sia per le stazioni appaltanti che per le imprese, aumentando la concorrenza e quindi il migliore utilizzo dei denari pubblici. Si tratta di una buona semplificazione, perché coniuga insieme il fare in fretta e il fare bene. Trovo invece meno felice la scelta di innalzare alcune soglie, riducendo la trasparenza laddove si prevede che i lavori fino a oltre cinque milioni di euro possano essere effettuati senza bandi o avvisi e, ancor di più, laddove si prevede che i servizi e le forniture, fino a 140mila euro possano essere acquistati con affidamento diretto, senza neanche fare un semplice confronto fra preventivi”.
“Non vi è solo il rischio che si finisca per privilegiare le imprese amiche, o comunque più vicine, rispetto a quelle più meritevoli e in grado di offrire servizi migliori all’amministrazione. E neanche solo quello di sprecare soldi, in quanto chi viene chiamato a svolgere un servizio o a fornire un bene, sapendo che non vi sarà alcun confronto concorrenziale con altre offerte, rispetto a qualcosa che vale introno ai 100mila euro, è più probabile che chieda 120 piuttosto che 80. Il rischio ulteriore, specie in contesti esposti alla minaccia mafiosa, è che il dirigente o l’amministratore pubblico, abbiano più difficoltà a resistere a talune pressioni, in quanto non potranno più neanche trincerarsi verso il dovere di confrontare quanto propone con insistenza il loro interlocutore con altre offerte più vantaggiose per l’amministrazione”.
No comment Traspare con chiarezza l’irresponsabilità,l’arroganza e l ‘enorme favore ai privati di questo governo.NOPONTE