Reti idriche colabrodo, nell’Isola morta di sete si arriva a disperdere anche il 65% dell’acqua - QdS

Reti idriche colabrodo, nell’Isola morta di sete si arriva a disperdere anche il 65% dell’acqua

Reti idriche colabrodo, nell’Isola morta di sete si arriva a disperdere anche il 65% dell’acqua

mercoledì 14 Agosto 2024

Il rapporto della Cgia su dati Istat: nella provincia di Siracusa il record di spreco, segue Messina con il 56%

Non basta la siccità a rendere difficile questa estate torrida in Sicilia. Una estate fatta di razionamenti, di lavori in emergenza per migliorare il flusso d’acqua, di snellimento delle procedure per permettere alle aziende agrozootecniche di accedere al prezioso liquido per i propri animali e campi. Eppure, non è soltanto un problema di cambiamento climatico in atto. Buona parte dell’acqua disponibile, infatti, si perde lungo le tubature.

Il 51,6% dell’acqua distribuita ogni giorno viene persa in Sicilia

Secondo i dati messi a disposizione dall’Istat ed elaborati dalla Cgia, l’associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, ben il 51,6% del totale, dell’acqua distribuita ogni giorno viene persa in Sicilia. Su un totale di 3.273 litri d’acqua distribuiti a persona ogni giorno nella regione, ben 1.495 si disperdono nell’ambiente. I valori peggiori si registrano nella provincia di Siracusa, dove si arriva ad una percentuale di dispersione per il 65,2%, seguita da Messina, al 56,5%. Sempre al di sopra della media regionale, Agrigento, al 52,4%. Al contrario, ottimi risultati si registrano nel territorio di Trapani, dove i litri persi sono “appena” 58 su 338, per un valore percentuale del 17,2%. Sempre ben al di sotto della media regionale (42,4%) la provincia di Enna, al 27,4%.

La dispersione è riconducibile a più fattori

In linea di massima, la dispersione è riconducibile a più fattori: alle rotture presenti nelle condotte, all’età avanzata degli impianti, ad aspetti amministrativi dovuti a errori di misurazione dei contatori e agli usi non autorizzati, cioè gli allacci abusivi. Senza dimenticare che, sia in Sicilia che a livello nazionale, si registrano consumi molto elevati: in Italia, in merito all’uso civile della risorsa idrica, si consumano 25 milioni di metri cubi al giorno. I destinatari di questa risorsa non sono solo le famiglie, ma anche le piccole imprese, gli alberghi, i servizi, le attività commerciali, produttive, agricole e industriali collegati direttamente alla rete urbana.

La mancanza di acqua, quindi, sta mettendo in seria difficoltà l’intera popolazione e l’economia dell’Isola. Il 22 luglio scorso è scattato il razionamento a Palermo, una misura d’emergenza che si rende necessaria decisa dall’Amap, il servizio idrico integrato nel capoluogo e in altri 50 Comuni della provincia. Le misure di razionamento sono pensate per ridurre al minimo i disagi per i cittadini e con l’obiettivo di non coinvolgere utenze pubbliche o sensibili, come gli edifici pubblici, le case circondariali, gli ospedali. Una condizione che però può avere conseguenze non da poco sul turismo, vista l’alta affluenza di presenze nel mese più caldo dell’anno.

Dichiarato lo stato di calamità naturale da siccità

Le istituzioni hanno iniziato a muoversi nello scorso mese di febbraio, quando il governo guidato da Renato Schifani ha dichiarato lo stato di calamità naturale da siccità severa nell’intero territorio regionale su proposta dell’assessorato all’Agricoltura. L’autorità di bacino del distretto idrografico Sicilia ha deciso di intervenire, adottando misure urgenti di semplificazione delle procedure per il prelievo di acqua dai corsi d’acqua. Tali provvedimenti servono proprio a fronteggiare la carenza idrica, salvaguardare gli allevamenti zootecnici, le produzioni delle aziende agricole e garantire sufficienti volumi d’acqua per l’irrigazione delle colture.

Si sta lavorando all’efficienza delle dighe

In parallelo, si sta lavorando all’efficienza delle dighe, in modo da essere pronti nel caso in cui dovesse arrivare piogge di maggiore portata. Con questo obiettivo, l’Autorità di bacino ha chiesto con una lettera a tutti gli enti gestori degli invasi, perché procedano con maggiore celerità negli interventi di ripristino e ristrutturazione delle strutture. Tutto nella considerazione che oltre la metà degli invasi siciliani sono soggetti a limitazioni che ne riducono la capacità. La condizione di assoluta emergenza è comprovata dal fatto che la Sicilia si mantiene al di sopra della media nazionale in termini di perdite dell’acqua immessa in rete.

In Italia ogni 100 litri di acqua immessa nella rete per usi civili ne arrivano all’utente poco meno di 58; gli altri 42, pari a un valore assoluto di 3,4 miliardi di metri cubi, si perdono lungo la rete idrica che in molte parti del Paese è datata e in cattivo stato di salute. Le differenze a livello territoriale sono evidentissime. Se nel Comune di Potenza non arriva nei rubinetti delle abitazioni il 71% di quanto immesso in rete, a Chieti si tocca il 70,4%, a L’Aquila il 68,9%, a Latina il 67,7% e a Cosenza il 66,5%. Per contro, a Milano le perdite idriche raggiungono il 13,4%, a Pordenone il 12,1%, a Monza l’11%, a Pavia il 9,4% e a Como, la città più virtuosa d’Italia, il 9,2%.

I fondi per la realizzazione di nuove infrastrutture idriche primarie, la riparazione, la digitalizzazione e il monitoraggio integrato delle reti idriche per diminuire le perdite d’acqua, il potenziamento e l’ammodernamento del sistema irriguo nel settore agricolo e per la depurazione delle acque reflue da riutilizzare in agricoltura e nel settore produttivo ci sono: il Pnrr ha messo a disposizione ben 4,3 miliardi di euro. A queste risorse va aggiunto un altro miliardo che nello scorso mese di maggio è stato assegnato al ministero delle Infrastrutture per ridurre le perdite nelle reti di distribuzione.

Secondo la Cgia, “soluzioni miracolistiche non ce ne sono, ma se vogliamo dare acqua a una parte importante del Paese che nei prossimi anni rischia la desertificazione potrebbe non essere sufficiente creare nuovi invasi, razionalizzare i consumi e mettere a nuovo la rete di distribuzione”. Come hanno fatto con successo l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait, Israele e in parte anche la Spagna, non è da escludere che anche l’Italia debba puntare sull’utilizzo dei dissalatori. “Certo – ammette la Cgia – le controindicazioni non mancano: come l’elevato consumo di energia elettrica che contraddistingue questi impianti; l’impatto che queste strutture hanno sul paesaggio e i problemi di smaltimento dei prodotti chimici che sono utilizzati per desalinizzare l’acqua. Tuttavia, gli impianti di ultima generazione hanno, almeno in parte, superato molti di questi problemi ambientali”.

LEGGI L’INTERVISTA ALL’ASSESSORE REGIONALE ALL’ENERGIA ROBERTO DI MAURO

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