Don Ugo Di Marzo, parroco di Palermo, racconta la sua visione su come provare a risolvere il problema della povertà.
“La gente chiede il lavoro, non il reddito. Questa pioggia di contributi che ogni tanto arriva non è una soluzione al problema della povertà, ma un ‘tampone’ a un’emergenza, che forse si vuole lasciare tale. Perché non si pensa a un sistema più stabile di sostegno alla persona, creando i presupposti per un lavoro stabile, un accompagnamento serio alla formazione?”. Don Ugo Di Marzo, parroco della comunità pastorale Roccella-Sperone a Palermo, con l’Adnkronos lo dice senza giri di parole: “La povertà si risolve dando opportunità lavorative, spazi nuovi, non con contributi una tantum”. Il riferimento è alla misura annunciata nei giorni scorsi dal presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, durante la convention nazionale di Forza Italia a Santa Flavia, nel Palermitano.
La misura, finanziata con 30 milioni di euro e che sarà presentata sotto forma di emendamento al ddl sulle variazioni di bilancio in queste ore all’esame dell’Assemblea regionale siciliana, servirà a erogare un contributo massimo a fondo perduto di 5mila euro a quelle famiglie residenti nell’Isola da almeno cinque anni e che dichiarino un Isee inferiore a 5mila euro. “L’80 per cento delle famiglie dello Sperone è sotto quella soglia – dice il parroco -. Quanto daremo loro e cosa otterremo di fatto? Se arrivasse a dicembre permetterà di avere la fetta di carne in più per Natale, bene. E poi? Una boccata di ossigeno, ma dopo? Paradossalmente durante l’emergenza Covid c’era un’attenzione maggiore alla povertà con aiuti, sempre occasionali, ma più seri ed efficaci”.
“Retate non bastano, Stato proponga alternativa a illegalità”
Al quartiere spesso al centro delle retate antidroga quello che serve per il prete che ‘guida’ le parrocchie di Maria Santissima delle Grazie Roccella e San Marco Evangelista Sperone è “un accompagnamento costante”. “Ben vengano arresti e operazioni – sottolinea -, ma lo Stato non può pensare solo alla repressione. All’economia mortale dello spaccio che va stroncata occorre sostituire un’economia legale, proporre un’alternativa, una realtà nuova. L’antimafia non può essere solo le retate. Invece, sembra ci sia un ascensore sociale che non vuole scendere ai piani bassi a riprendere chi ha bisogno di salire. C’è una volontà dietro? Non lo so. Quello che so è che molto è affidato al terzo settore, alle associazioni, alla Chiesa”.
Desiderio di cambiamento
Nel quartiere nell’area sud-orientale della città don Ugo è arrivato nove anni fa, nel 2016. “Da allora molto è cambiato”, ammette. Soprattutto tra la società civile. “C’è un desiderio di cambiamento, è cresciuto il numero di ragazzi che proseguono gli studi e c’è un netto calo della formazione professionale a vantaggio dei licei e degli istituti professionali e tecnici. C’è, insomma, un desiderio di cambiamento e la consapevolezza che questo cambiamento passa dalla cultura“. In parrocchia spesso arrivano le lettere dei detenuti, di chi è finito in carcere proprio perché dello spaccio ha fatto il proprio ‘lavoro’. “Ci dicono di aiutare il figlio a studiare, ci ringraziano per le borse di studio o per i libri donati ai ragazzi”. Insomma, per don Ugo a essere cambiata è “la mentalità delle famiglie”. “Si rendono conto che lo spaccio è una strada sbagliata, ma spesso non riescono a capire quali alternative hanno per cambiare stile di vita e nessuno, se non il terzo settore o le parrocchie, li guida e li sostiene in questo tentativo di cambiamento”.
Alle istituzioni don Ugo lancia un appello. “Dico di smetterla con passerelle e interventi occasionali, serve una progettualità costante. Noi siciliani per cultura siamo bravi a vivere nell’emergenza, invece occorre creare un sistema diverso di vita”. Passando da una maggiore attenzione proprio ai più piccoli. “Abbiamo un territorio con tantissimi bambini con disabilità più o meno gravi, eppure l’Asp impiega un anno per visitarli perché manca il personale. Non è normale, né giusto. Per noi come Chiesa è una missione essere accanto a chi ha bisogno, ci crediamo e continuiamo a farlo, ma c’è un’anomalia: non dovremmo sostituirci alle Istituzioni, come di fatto avviene tante volte. Troppe”.