A Catania la quinta edizione della manifestazione che esplora investimenti capaci di ridurre le disparità
CATANIA – L’imprenditoria sociale e l’impact investing possono cambiare il mondo, costruendo un’economia più equa e sostenibile. Questa la lezione del Social Enterprise Open Camp che ha scelto Catania per la sua quinta edizione, dal titolo “Beyond inclusion for a fair economy and a healthy planet”, all’esplorazione di modelli d’impresa capaci di disegnare nuove prospettive. L’evento, su quattro giorni dal 24 al 27 ottobre, ha aperto il suo sipario al teatro Sangiorgi con un video che ha messo in chiaro le contraddizioni della Sicilia: 30.500 persone morte nei mari che la circondano; Ong, imprese sociali e società civile accoglienti che intervengono ogni giorno a favore dei più vulnerabili, nonostante i governi ostili; le amare previsioni della comunità scientifica, che ritengono che entro il 2050 metà dell’Isola diventerà arida e deserta a causa del riscaldamento globale; il primato dei Neet in Europa; il 10% della popolazione emigrata negli ultimi 20 anni.
“Le sfide più grandi possono essere vinte, creando nuove alleanze, contiamo su voi per un’economia più giusta sul pianeta”, ha detto Antonio Perdichizzi, ceo e presidente di Isola Catania, che ha collaborato al progetto con l’intento di aprire un dialogo tra esponenti della filantropia, accademici e protagonisti dell’industria e della finanza. Inclusione è opportunità di partecipazione attiva per la costruzione di un nuovo futuro. Questa la convinzione di Peter Holbrook, amministratore delegato di Social Enterprise Uk, che auspica una nuova leadership sostenibile. “Dobbiamo assumere la parità come impegno comune, perché l’uguaglianza può spingerci verso la qualità – ha detto –. Intanto, dobbiamo sostenere i più deboli, ridurre le disuguaglianze”. Holdbrook ha raccontato di avere un passato da attivista e di aver compreso che il modo migliore per ottenere dei cambiamenti nel mondo risieda nel dialogo con il potere e nel business sociale. “Solo mettendo al centro del processo l’umanità e il cuore possiamo definire l’economia del futuro – ha aggiunto – e ridisegnare il concetto potere, secondo i 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile”. Se nessuno degli obiettivi è ancora stato raggiunto, occorre chiedersi perché. Per Holbrook le difficoltà principali risiedono nella cattiva distribuzione della ricchezza, nelle ingenti tasse richieste, nel cambiamento nella relazione tra ricchezza e politica che comporta situazioni paradossali, nel mercato libero del capitalismo, nella disparità nell’accesso alle risorse, nell’etica ambigua dei più ricchi del pianeta come Putin, Trump ed Elon Musk. “I rifugiati non hanno fatto nulla di tutto questo – ha continuato – hanno paura, affrontano rischi per trovare una comunità in cui possano essere i benvenuti, offrendo talvolta valide soluzioni. Tutti noi dobbiamo cercare di cambiare il mondo e di risolvere questi problemi, perché con la cooperazione possiamo fare la differenza”.
Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati, ce lo ha insegnato Einstein. Un grande leader, dunque, dovrebbe essere capace di cogliere le nuove sfide: “Deve aiutare gli altri a fare di più, deve ispirare, senza mai perdere la speranza e ampliare le idee, su suggerimento di Stacey Abrams – ha specificato l’amministratore di Social Enterprise Uk –. Oltre al profitto, dobbiamo pensare alla salute umana. L’obiettivo deve essere quello di migliorare la qualità della vita e gran parte del profitto non è correlata al benessere”. Un esempio di leadership coraggiosa e virtuosa? “Il primo ministro del Bangladesh Muhammad Yunus – ha fatto sapere – che è stato capace di salvare dalla povertà milioni di famiglie”.
Al teatro Sangiorgi anche la testimonianza di Sophia e Paul Grinvalds, co-founder di AFRIpads, che hanno raccontato la loro avventura imprenditoriale nata per caso in Uganda, quando una ragazzina con cui si confrontavano smise di andare a scuola, sostenendo di aver contratto la malaria. In realtà, la giovane non aveva soldi per comprare degli assorbenti che le consentissero di frequentare la scuola durante il ciclo mestruale. “Ogni donna in media ha le mestruazioni per 3.000 giorni e consuma 15.000 assorbenti nell’arco della sua vita – ha spiegato Sophia Grinvalds –. In assenza di assorbenti, in Africa si usano la carta igienica e le fibre di banana, sospendendo scuola e lavoro. Così abbiamo deciso di creare qualcosa per consentire alle ragazze di partecipare alla vita di tutti i giorni, che fosse riutilizzabile, di un tessuto che si lavasse e asciugasse facilmente e senza rischi, che fosse il 70% meno caro degli assorbenti classici. Il nostro primo modello? Ricavato dalla coperta del nostro letto. Poi abbiamo affittato un luogo per la produzione e abbiamo venduto i primi prodotti”. Grazie agli investitori, i due fondatori di AFRIpads hanno potuto ampliare la produzione e migliorare la qualità del prodotto. Resisi conto delle difficoltà nella vendita in negozio, hanno compreso la necessità di fare rebranding, di elettrificare la produzione e di impegnarsi in campagne di sensibilizzazione sul tema. Grazie a queste strategie, oggi festeggiano più di 20.000 giorni di scuola guadagnati dalle ragazze, la formazione di 30.000 insegnanti sull’argomento, la creazione di centinaia di posti di lavoro, per lo più destinati a donne con un basso livello di istruzione. Consigli per gli aspiranti imprenditori sociali? “Chi vuole fare impresa deve essere consapevole di dover correre dei rischi, di dover sempre prendere delle decisioni. Ma deve puntare soprattutto a un buon work-life balance che salvaguardi la sua salute mentale, che gli consenta di avere tempo per le cose importanti. E poi deve trovare gli investitori giusti, che condividano gli stessi valori e la stessa visione”, ha concluso Sophia Grinvalds, mostrando la foto dei suoi bambini in fabbrica con i genitori.
Tra gli speech di Social Enterprise Open Camp, quello di Kresse Wesling, co-funder e director di Elvis & Kresse, che ha fatto della sua “passione” per i rifiuti un business. “Sono canadese ma mi sono trasferita a Londra. Quando sono arrivata nella mia nuova città, ho avuto modo di visitare una discarica e di realizzare che dietro ai rifiuti si nascondessero grandi opportunità – ha raccontato –. Oggi sul pianeta ci sono abbastanza vestiti da soddisfare anche le necessità delle generazioni future, quindi non abbiamo bisogno di produrne di nuovi, piuttosto possiamo usare la creatività per riutilizzare ciò che esiste già. Così quando mi sono trovata davanti agli idranti dismessi dei vigili del fuoco, ho deciso di portarne a casa uno e di farne un lavoro. Ho realizzato la mia prima borsa colorata e ignifuga, fuori dal Regno unito per mancanza di budget, e dalla prima vendita ho ottenuto le risorse per continuare. Sembra strano? Eppure si tratta dello stesso materiale usato da Louis Vuitton”. Oggi Elivis & Kresse ritira idranti in disuso da diversi Paesi del mondo e i residui di pelle di Burberry, realizzando anche oggetti di arredamento. “Nel Regno Unito vengono accumulate ogni anno 60 milioni di lattine, il nostro prossimo obiettivo è riuscire a riutilizzarle con le giuste tecnologie”, ha concluso Elvis Kresse che, durante la pandemia, ha acquistato un grande terreno agricolo per contribuire alla riforestazione e alla biodiversità del pianeta.
“In questo viaggio sulla sostenibilità iniziato nel 2015 le sfide sono aumentate – ha detto Uli Grabenwarter, direttore di Equity Investments –. Abbiamo perso la sfida? Consideriamo noi stessi come se fossimo fuori dal sistema pianeta, sostenendo di volerlo migliorare ma continuando a vivere come facciamo. In realtà, ignoriamo che l’unica cosa che andrebbe sistemata siamo noi e non il pianeta. La natura si evolve e in ogni passaggio da un sistema a un altro elimina gli ostacoli che creano uno squilibrio. Cosa farà la natura di noi?”. L’altro atavico problema, secondo Grabenwarter, riguarda l’economia nera: “Per molti l’attuale emergenza sarebbe dovuta al capitalismo, ma io penso l’opposto, ovvero che non siamo abbastanza capitalisti – ha continuato –. Il capitalismo si basa sul principio di un vincitore e un perdente che noi non rispettiamo, creando addirittura sistemi economici per ciò che vogliamo ‘tenere fuori’, continuando a ‘rubare’, a consumare quattro volte la capacità rigenerativa del pianeta, pensando che qualcuno pagherà per noi. Tuttavia, non possiamo sostenere questi ulteriori costi, perché vanno a discapito dei nostri modelli di business. La comunità di impact investing vuole andare oltre il mero ritorno finanziario ed esplorare luoghi che nessuno ha mai visto”.