Team dell’Unime progetta una centrale da mille megawatt - QdS

Team dell’Unime progetta una centrale da mille megawatt

Team dell’Unime progetta una centrale da mille megawatt

sabato 09 Luglio 2022

Lo studio di fattibilità è coordinato dal professore Salvatore Magazù: “Una tecnologia rinnovabile per aiutare la decarbonizzazione”

PALERMO – Mentre l’amministrazione regionale sembra ancora in una condizione di stallo in termini di investimenti nel comparto, la ricerca non si è fortunatamente fermata. è firmato UniMe, infatti, lo studio di fattibilità e di progettazione di un innovativo impianto per la produzione di energia geotermica in Sicilia, promosso da Dipartimento di Scienze Matematiche ed Informatiche, Scienze Fisiche e Scienze della Terra (Mift). Il progetto, coordinato da Salvatore Magazù, decano di Fisica dell’Ateneo peloritano che ha illustrato il progetto ai microfoni del QdS.

Professore Magazù, quali sono i primi risultati emersi dallo studio di fattibilità?
“Va detto in premessa che l’attività nasce da una sinergia basata da un lato sulla lungimiranza dell’imprenditore Gino Bartalini della Leartek s.r.l., che ha formulato il progetto Calidarium, sulle felici intuizioni del compianto Prof. Giovanni Bignami e sui dati acquisiti a partire dal 1995 ad oggi dal prof. Sergio D’Offizi, ex responsabile ambiente di Enel e Sogin, oltre che ideatore della tecnologia Deep Shaft: Hot Dry Rock; dall’altro lato si basa sulle qualificate competenze di due gruppi di ricerca, uno dell’Ingn – sezione di Palermo, coordinato dal Dr. Francesco Italiano, l’altro dell’Università di Messina che ho il piacere di coordinare. Gli esiti più significativi emersi dagli studi preliminari, ancorché necessitino allo stato attuale delle verifiche e delle analisi spettroscopiche sui materiali, mettono in chiara evidenza come l’energia geotermica, estratta da rocce calde secche della crosta terrestre, sia una fonte elettiva di energia pulita e rinnovabile. Siamo pervenuti alla conclusione che l’estrazione può realizzarsi con modalità affatto rispettose dell’ambiente ed è oggi possibile oltre che tecnicamente – come mostrato nell’esperimento condotto tra il 1974 e il 1994 dal Los Alamos Laboratory a Fenton Hill, nel New Mexico, per conto del Department of Energy Statunitense – anche economicamente, grazie alla tecnologia Deep Shaft: Hot Dry Rock. Ciò è possibile grazie alla sostituzione delle inefficienti perforazioni, lunghe 4-5 km, usate nell’esperimento di Fenton Hill, con un sistema ramificato di condutture e di mini perforazioni in prossimità di rocce secche aventi temperature medie di 150°C -200°C”.

Come funzionerà l’impianto?
“L’impianto sarà costituito da una centrale geotermoelettrica di superficie, di circa 1.000 MW, alimentata, grazie a un circuito idraulico, dall’acqua riportata in superficie ad elevata temperatura dopo essere stata immessa ad alta pressione nelle tubazioni con le quali raggiunge le zone dove avviene lo scambio termico tra le rocce calde e il fluido termico. Una volta tornato in superficie, il fluido termico cede, senza alcun contatto con l’ambiente circostante, il calore ad un fluido freddo tramite un apposito scambiatore e questo fluido viene poi inviato alle turbine per generare elettricità. Come sottoprodotto di questo processo, lo stesso fluido può cedere una quantità di calore residuo a un circuito ancillare che può provvedere a scaldare abitazioni, uffici, industrie o aziende agricole”.

Vi è già un’idea approssimativa di tempi e costi per la realizzazione dell’impianto e, eventualmente, della sua collocazione in Sicilia?
“Sì, possiamo stimare che occorrano circa cinque anni a partire dall’individuazione del sito più adatto e dall’ottenimento dei necessari permessi e 1,5 – 2,0 miliardi di euro. La Sicilia, e la sua zona orientale in particolare, è tra le regioni particolarmente vocate per un impianto di questo tipo”.

Come mai in Italia e, soprattutto in Sicilia, si investe ancora così poco nel settore dell’energia geotermica?
“L’Italia ha investito molto nella ricerca sull’energia geotermica che è stata avviata proprio nel nostro paese, a Larderello, in Toscana. Gli studi, condotti da Enel, in alcune zone con la collaborazione di Agip, hanno riguardato varie regioni italiane, tra cui la Sicilia, con particolare attenzione alle isole Eolie. Tuttavia, finora ci si è limitati alla ricerca di serbatoi geotermici naturali dove la Natura ha creato combinazioni rare facendo sì che nel sottosuolo si abbiano delle rocce calde, permeabili, attraverso le quali scorre acqua di falda e ricoperte da formazioni impermeabili che intrappolano il vapore che si viene conseguentemente a creare e che può essere estratto con apposite perforazioni dalla superficie. A far differenza con questo, la nuova tecnologia Deep Shaft: Hot Dry Rock apre un campo di ricerca nuovo, posto che non si cercano serbatoi già esistenti, rari in natura, ma se ne creano di nuovi, artificialmente, a partire da rocce calde secche, cioè prive di fluidi naturalmente circolanti”.

Quale energia e quanta energia si può produrre partendo dal calore conservato nel sottosuolo? Possiamo considerarlo un passo significativo verso la decarbonizzazione e l’abbattimento di emissioni inquinanti?
“Il calore delle rocce calde secche può produrre energia elettrica o essere impiegato direttamente per scaldare abitazioni, uffici, industrie e aziende agricole. L’energia che si può estrarre è immensa ed è fruibile in tutto il pianeta; solo in Italia si potrebbero alimentare dalle 300 alle 500 centrali geotermiche da 1000 MWe ciascuna. L’energia richiesta dalla rete nel nostro paese raggiunge in totale una potenza compresa tra i 40.000 e i 60.000 MW e, quindi, con questa tecnologia si può compiere un passo significativo verso la decarbonizzazione e si può alimentare il parco auto che dal 2035 non potrà più essere che elettrico”.

L’energia geotermica si può definire “pulita” e “rinnovabile”?
“Premesso che le energie solare ed eolica non sono completamente pulite e prive di impatto, la geotermia da rocce calde secche si configura come una tecnologia ‘pulita’ e ‘rinnovabile’. Necessita solo di grandi quantità di acqua per riempire e reintegrare il circuito. Nella fase inziale di allargamento delle fratture crostali esistenti, si possono generare micro terremoti, la cui entità tuttavia è così modesta da non essere percepibili se non strumentalmente. Per il resto questa tecnologia presenta vantaggi incomparabili, quali un costo di produzione e di distribuzione per usi diretti bassissimi. Inoltre, l’energia geotermica così prodotta è stazionaria e può funzionare come energia di punta per sopperire ai picchi improvvisi di domanda sulla rete elettrica”.

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