La storia di Saikou e la sfida quotidiana della cooperativa “Trame di quartiere” per aiutare gli ultimi
CATANIA – L’odore del tè matcha e la musica latina fanno capolino da porte logore che si affacciano su vicoli ricchi di storie, colori e creatività. Racconti si intrecciano, ribaltano i luoghi comuni e mostrano un’umanità che resiste alla ghettizzazione. A San Berillo, noto quartiere a luci rosse di Catania, vivono bengalesi, cingalesi, cinesi, rumeni, senegalesi, gambiani, nigeriani, ghanesi, italiani.
L’Italia è il luogo migliore in cui vivere? “Casa propria è meglio di qualsiasi posto”, confessa Saikou senza nascondere la nostalgia per il suo Paese, dove ha lasciato i genitori, le due sorelle, i due fratelli e i nipotini che non vede da allora. Non si crede più nella “riqualificazione” promessa nel 1950, quando con il piano Istica si decise di trasferire gli abitanti in un quartiere periferico, San Leone, per creare un asse viario – mai realizzato – da piazza Stesicoro alla stazione centrale, e nemmeno nelle riqualificazioni annunciate durante le campagne elettorali dei settant’anni successivi. A San Berillo si prova a coltivare la bellezza e a credere nelle capacità umane, tra case abbandonate, murate, occupate abusivamente o regolarmente abitate: i rioni adornati di fiori, murales e opere d’arte fanno da sfondo alle diverse “trame di quartiere” di chi sceglie di provarci.
“Un viaggio che nessuno mai farebbe”
Saikou Ceesay è nato a Ferafenni, in Gambia, quasi trent’anni fa. Terzo di sei figli, è arrivato in Italia su uno di quei barconi che distrattamente occupano le pagine di cronaca dei nostri quotidiani. “Sono partito dalla Libia nel 2016 – racconta – e sono arrivato a Catania come tutti gli immigrati, dopo un viaggio molto difficile che nessuno mai farebbe. Non si rischia la vita per scelta, la verità è che gli europei hanno colonizzato l’Africa, che a loro è concesso entrarne e uscirne senza problemi; al contrario, a noi africani viene impedito dalle autorità di condurre viaggi regolari verso l’Europa: tutte le richieste per ottenere il visto d’ingresso vengono respinte, a meno che tu non possa pagare tantissimi soldi”.
Un altro suo fratello, dopo aver affrontato il suo stesso viaggio, vive invece a Malta. “Per rivedere i miei familiari – aggiunge – dovrei pagare 500 euro tra andata e ritorno”, un “lusso” che non può permettersi nemmeno dopo otto anni di lavori pesanti.
Quella di Saikou è una storia di riscatto, è uno sgambetto a chi sostiene che chi arrivi qui non possa avere futuro, un’eccezione a una regola che forse non esiste. “Ho atteso quattro anni per ottenere il permesso di soggiorno – dice –. Ho lavorato duramente dalle ore 7 alle ore 19, per 20 euro al giorno, ho fatto tanto volontariato, distribuendo pasti ai bisognosi, ho partecipato al progetto Fieri (Fabbrica interculturale ecosostenibile del riuso), dedicandomi al laboratorio di falegnameria, e tanto altro”.
Oggi la sua esperienza gli consente di aiutare quanti, come lui, approdino nella nostra terra per continuare a sperare: “Insieme ad altri quattro soci lavoratori ho messo su una cooperativa, Dokulaa, che offre l’opportunità ai migranti di ottenere un contratto lavoro e, così, poter chiedere il permesso di soggiorno o rinnovarlo”, spiega. L’iniziativa è stata molto apprezzata all’interno della comunità, che lo ha riconosciuto anche come presidente dell’associazione gambiana di Catania.
San Berillo di domani: progettualità inaspettata
Le storie di questi 240.000 metri quadri del centro storico di Catania – dove prima delle legge Merlin si trovavano cinque case di tolleranza – si incontrano nei locali di “Trame di Quartiere”, cooperativa sociale di comunità che ha riportato in vita i bassi dello storico Palazzo de Gaetani, concesso in comodato d’uso dal proprietario. Qui Carolina Paternò, educatrice e volontaria di 29 anni, sembra aver trovato “la progettualità” che avrebbe altrimenti cercato all’estero, migrando altrove, dopo la sua laurea in Scienze dell’educazione e della formazione. “San Berillo non è solo degrado, sporcizia e criminalità – racconta –. San Berillo siamo anche noi e tutte le altre persone che ci vivono, soprattutto quelle che abitano i palazzi dimenticati, tentando il possibile per salvarli dalla fatiscenza. Il quartiere è un ‘tetto’ per chi è alla disperata ricerca di un luogo in cui poter ‘stare’, per chi non ha nessuno”.
La cooperativa svolge quotidianamente un ruolo essenziale per i residenti che hanno estrema difficoltà ad accedere ai servizi e a cui offre sportello legale, ambulatorio medico, sportello di ricerca lavoro e casa, corsi di lingua e intermediazione per il conseguimento dei titoli di studio, attività sportive, laboratori creativi. “Trame di quartiere” crea relazioni e si preoccupa degli ultimi, cerca chi non è cercato da nessuno: “I problemi qui sono tanti, come le tensioni che sono aumentate negli ultimi 10-15 anni in concomitanza con la chiusura dei centri Sprar e che noi cerchiamo di alleviare, promuovendo inclusione e tolleranza – precisa l’educatrice –. E poi c’è il crack, sostanza pericolosissima, economica e facilmente reperibile dagli emarginati. Spesso chi ha bisogno di aiuto non riesce a chiederlo, così noi tentiamo di intercettarlo e avvicinarlo”.
Sicurezza e diffidenza
“Il quartiere di San Berillo mi piace ed è sicuro, non è come lo dipinge chi lo giudica senza viverlo”, afferma Saikou. Cooperative e persone rendono sicuro il quartiere più di quanto possano farlo gli interventi della polizia, almeno secondo quanto sostiene Federico Galletta, militante del centro culturale Officina Rebelde da sempre attivo nella tutela dei diritti degli abitanti di San Berillo.
“Costantemente blitz della polizia si verificano all’interno del rione – fa sapere – e si concludono con l’identificazione di lavoratrici sessuali che vengono portate in questura perché prive di documenti di riconoscimento, seppure non esista una legge che in Italia vieti la prostituzione. Vengono giustificati spesso con il tentativo di contrasto allo spaccio di droghe, nonostante i migranti rappresentino per lo più la ‘manovalanza’ della criminalità locale e la città di Catania viva seri disagi per i quali non si interviene. Durante il Covid, poi, operazioni della polizia sono state giustificate persino con il tentativo di preservare la ‘sicurezza sanitaria’ della cittadinanza, seppure agli irregolari venisse negata la vaccinazione”.
Nei giorni scorsi gli operai del Comune di Catania hanno murato gli ennesimi ingressi di edifici abbandonati e c’è chi, per questo, ha perso il tetto di fortuna che aveva trovato. “Sto malissimo nel vedere dormire in tenda chi non può permettersi una casa – confessa Saikou Ceesay –, avendo tra l’altro provato sulla mia pelle le grandi difficoltà nel trovare un proprietario disposto ad affittartela. Perché se sei straniero, di te non si fidano”.