Centri antiviolenza e case rifugio accompagnano le vittime in un percorso di consapevolezza. Ma i numeri da soli non ci restituiscono le reali proporzioni di quella che è una piaga sociale
PALERMO – Tra gennaio e settembre 2021, sono state complessivamente 674 le richieste di aiuto giunte dalla Sicilia al numero 1522 contro la violenza sulle donne e lo stalking.
A fotografare la situazione è l’Istat che monitora il trend a partire dal 2018 quando le richieste, sempre con riferimento alla nostra Isola, sono state 564.
Dopo il leggero calo del 2019 (524), La Sicilia ha registrato un tragico boom legato all’emergenza pandemica: 815 segnalazioni al numero di pubblica utilità promosso e gestito dal Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO) presso la Presidenza del Consiglio.
I numeri sulla violenza domestica sono eloquenti ma da soli non ci restituiscono le reali proporzioni di ciò che è in realtà una vera e propria piaga sociale. I numeri non riescono e non potrebbero, da soli, a spiegare il dramma vissuto da tutte quelle donne che subiscono violenza.
Proprio per questo, il Quotidiano di Sicilia ha lanciato “La Voce delle Donne”, un progetto pensato per le donne e dedicato a tutte coloro che subiscono abusi ma che non hanno il coraggio di denunciare.
Per farlo, abbiamo coinvolto sia il mondo dell’associazionismo che ogni giorno prende per mano queste donne per accompagnarle in un percorso verso la coscienza e la consapevolezza: non è mai troppo tardi per opporsi, per dire basta.
Abbiamo inoltre potuto contare sul contributo preziosissimo delle nostre due esperte, l’avvocato penalista Maria Teresa Cultrera, e la psicologa e psicoterapeuta Laura Monteleone, che hanno di volta analizzato temi, aspetti, criticità e persino sfumature legate alla violenza di genere.
Tutto ciò perché è questa la strada da intraprendere per contrastare ogni forma di violenza a danno delle donne: basta raccontare fatti di sangue che vedono coinvolte le donne, basta con la cronaca fine a sé stessa, basta con i dettagli più cruenti sui femminicidi che creano soltanto pericolosi fenomeni di emulazione.
Abbiamo scelto di invertire la rotta abbiamo deciso e di dedicare alle donne una serie di approfondimenti e interviste per spiegare loro che gli strumenti normativi di tutela e di sostegno da parte dello Stato per le vittime di violenza ci sono e che, pertanto, uscire dalla spirale della violenza di genere è possibile anche perché le donne possono trovare dentro di loro la forza di dire no.
A proposito di strumenti a disposizione delle donne, proprio qualche giorno fa è stato pubblicato on line il report contenente i dati, aggiornati al 23 marzo 2022 e forniti da Inps, sull’utilizzo delle risorse del Fondo denominato “Reddito di libertà”, il sussidio che dovrebbe consentire un piccolo aiuto alle donne vittime di violenza che vogliono voltare pagina e ripartire.
Uno strumento ancora poco conosciuto, evidentemente. Dai dati ripartiti per Regione e Province Autonome, infatti, si vede come le richieste giunte dalla Sicilia siano state ad oggi solo 199. Di queste, solo 56 quelle accolte.
Anna Agosta, consigliera nazionale per la regione Sicilia della rete D.I.Re, associazione nazionale antiviolenza gestita da organizzazioni di donne e presidente dell’associazione Thamaia a Catania, in un’intervista rilasciata al QdS aveva spiegato già tempo fa potenzialità ma anche criticità della misura messa a disposizione dallo Stato.
“Il Reddito di libertà è sicuramente una misura utile, in quanto consente alle aventi diritto un’erogazione una tantum di 4 mila euro – spiega Anna Agosta -. Non sono grandi cifre, ma possono essere d’aiuto in un momento di difficoltà. Tuttavia i tre milioni di euro stanziati allo scopo, tra l’altro recuperati dal piano antiviolenza degli anni precedenti, riuscirà a coprire il fabbisogno di sole 600 donne circa. Troppo poche, visto che l’Istat ci dice che, soltanto nei centro antiviolenza italiani, arrivano ogni anno circa 50 mila donne”.
“Per combattere davvero la violenza di genere – aveva rimarcato Agosta – occorre supportare centri antiviolenza e case rifugio. E poi formare correttamente gli operatori che entrano in contatto con le vittime: dal personale dei centri antiviolenza a quello dei tribunali, dal personale sanitario del pronto soccorso a quello delle forze dell’ordine”.