Si tratta di una piccola cosa, perché il divieto dovrebbe essere esteso anche a tutti coloro che hanno rubato alla Cosa pubblica, anche se condannati solo in primo grado. Ma da quest’orecchio i partiti non ci sentono, perché sono proprio questi malfattori i collettori di voti. Basti pensare che Fiorito è stato eletto con ben 26 mila preferenze, cioè ha turlupinato 26 mila suoi cittadini.
Se la corruzione non si colpisce in radice non è possibile estirparla. La radice della corruzione sta nel denaro: più ne circola, più potenziale corruzione esiste.
Chi agisce in questo versante? Partitocrati, burocrati, imprenditori, professionisti e altri, cioè tutta gente che maneggia denaro pubblico. Vi è anche la corruzione negli scambi fra privati, ma è meno numerosa e di minore quantità.
Non è possibile pensare che la corruzione possa essere combattuta solo dalla Magistratura, la quale interviene successivamente e in via repressiva. Bisogna, a monte, chiudere tutte le finestre e le fessure per impedire che i disonesti si approprino di denaro pubblico.
Vi sono stime secondo cui la corruzione costa al Paese fra i 60 e i 70 miliardi, che sommati al giro d’affari della malavita organizzata (150-160 miliardi) e all’enorme evasione fiscale (120 miliardi), formano una montagna di circa 350 miliardi.
Se si riuscisse a estirpare questi cancri, di botto la Legge di stabilità sarebbe quadrata e gli investimenti si moltiplicherebbero in maniera esponenziale, creando milioni di posti di lavoro.
È indispensabile che l’attuale governo, e quello che scaturirà dopo le elezioni di aprile 2013, perseguano un’azione anticorruzione in maniera ferma e determinata, senza tentennamenti e senza cedere alle pressioni delle categorie e delle lobby dei disonesti, o alle categorie dei privilegiati.
Perché questo accade? Perché i pochi hanno forti leve fra i partiti e nella burocrazia, mentre i tanti non hanno voce. Ecco a cosa dovrebbero servire quotidiani e televisioni: dare voce a chi non ce l’ha. Ma non sempre i media osservano questo loro preciso dovere deontologico. Spesso preferiscono fare come le tre scimmiette. Questo accade perché le proprietà, cioè gli editori, fanno altri mestieri e quindi asservono i loro mezzi di comunicazione agli interessi di quei mestieri.
Occorre, dunque, affamare la bestia-corruzione, dissanguandola, cioè togliendo il denaro che l’alimenta. Le istituzioni non devono maneggiare denaro, ma devono usarlo per far funzionare al meglio i servizi, tagliando contestualmente gli apparati. Le due cose sembrano contraddittorie ma in effetti, se ci pensate, vanno nella stessa direzione.
I ritardi nel rilascio di provvedimenti amministrativi a seguito di istanze formulate da imprese, cittadini ed Enti minori sono fonte di corruzione. Chi ritarda artatamente aspetta la telefonata di sollecito, di modo che possa chiedere, in contropartita, favore o denaro. In ambedue i casi si tratta di corruzione. Infatti la cultura del favore ne è una palese forma perché contrasta con la cultura del servizio, che dovrebbe essere l’unica vigente in tutte le istituzioni e nella Pubblica amministrazione.
Ecco che la legge anticorruzione dovrebbe prevedere altri casi di sanzione nei confronti di chi non fa il proprio dovere per ottenere vantaggi personali. Sembra eccessivo denominare l’inefficienza, oggettiva o voluta, come una forma di corruzione, ma lo è perché occorre che vi sia sempre un bilanciamento fra le prestazioni e l’emolumento che si percepisce in cambio.
Tagliare i canali finanziari è indispensabile. Altrettanto è, inoltre, fissare paletti a tutti coloro che, per un verso o per l’altro, usano il denaro pubblico costringendoli ad effettuare movimenti tracciati, cioè controllabili in qualunque momento.