“Attraversiamo un periodo di transizione che dura, purtroppo, da troppo tempo. Io vivo la realtà di un grande quotidiano, ma non posso non rendermi conto di ciò che c’è al di fuori. In altre parole, oggi l’informazione vive “in difesa”, ossia – volendo usare una metafora calcistica – gioca senza avere una strategia vincente di attacco. Gioca per non perdere, arroccata in difesa. Si punta a tagliare, ad eliminare i costi. I primi a pagare il conto di questa situazione sono i giornalisti, i poligrafici, gli amministrativi. Questo non può servire in un momento in cui l’informazione si sta trasformando a livello globale. I social network sono protagonisti dell’informazione. Le notizie, ormai, volano in tempo reale su Twitter, Facebook e blog, dove ognuno mette la sua. Questo impone un cambiamento di rotta, di rinnovamento, e dunque uno studio del fenomeno. Il volere inseguire a tutti i costi il web è una politica suicida, sia il giornale che il telegiornale non possono batterlo, perché la sfida si gioca contro “il tempo reale”. Indubbiamente bisogna, però, tener conto che il futuro potrebbe essere sulla rete se il New York Times ne progetta il passaggio o se altre riviste – come Life – lo hanno già fatto. E se la carta stampata ha le sue difficoltà, il discorso vale anche per il telegiornale. Da qui la riflessione che la via per l’informazione tradizionale resta l’approfondimento”.
“Bisogna puntare a una informazione che stimoli il lettore a non fermarsi al web, leggendo breve frasi e qualche titolo velocemente, privilegiando invece l’informazione interessante a approfondita, che spieghi. Obiettivo deve essere l’informazione di qualità. E si trova in giro: penso alle pubblicazioni che sono state fatte in occasione del ventennale delle stragi nel 2012. Ci sono stati lavori di ottima fattura giornalistica, come ad esempio il documentario corredato di interviste realizzato da Attilio Bolzoni. Si è voluto premiare con il “Premio Francese” la Rai per il lavoro svolto in questa occasione del ventennale, perché è venuto fuori un contributo che ha interessato la gente, senza retorica. Ci sono, poi, momenti come le elezioni regionali o nazionali, o fatti violenti di cronaca che fanno vendere i giornali e crescere gli ascolti del telegiornale, ma è augurabile che questi ultimi non ci siano. Bisogna interrogarsi sul perché, sulle strategie che portano, ad esempio, un solo giornale giapponese a vendere 16 milioni di copie. La cronaca non può essere in quel caso l’unica spiegazione al successo”.
“A seconda della vocazione del quotidiano, che sia nazionale o regionale, deve puntare molto su notizie che può avere in prima battuta. E’ chiaro che un quotidiano regionale se punta sulla cronaca nazionale o internazionale perderà perché deve sfruttare le agenzie, se punta invece sulla cronaca regionale avrà dei vantaggi. Per l’approfondimento la linea guida dovrebbe essere la seguente: se la notizia è sul web non si pubblica. Perché la gente già ne è a conoscenza, oppure se si decide di pubblicare si deve dare un taglio inedito, spiegando. E non ultimo curando la qualità della scrittura, a cui la gente non si è arresa. Ed ancora inserendo rubriche che non trovano spazio sul web, rendendo il lettore partecipe”.
“La legge sull’equo compenso, è operativa. E’ stata approvata in via definitiva dalla commissione Cultura della Camera e contiene norme per la remunerazione dei freelance. La Fieg ne ha mandato comunicazione e adesso si attende la formazione della Commissione paritetica per andare a determinare un “listino di remunerazione”. L’Ordine ha scritto ai direttori: “va applicata”. Nella lettera abbiamo articolato il discorso cercando di far capire quale è la nostra linea e che l’obiettivo è collaborare, dialogare con i nostri iscritti, direttori in prima battuta. Noi teniamo a far capire che chi aspira a diventare giornalista non deve essere “sbattuto” in prima linea senza una guida”.
“La Sicilia non sta malissimo, da questo punto di vista. Gode della professionalità di colleghi in grado di valutare le notizie e riportarle sui giornali con più o meno spazio, secondo le valutazioni dei giornali di riferimento. Ciò che dispiace è l’atteggiamento spesso aggressivo e prevaricatore della classe politica. Penso alla situazione che si è venuta a creare con l’ufficio stampa della Regione. E lo dico consapevole di rischiare di vedere ancora una volta attacchi contro l’Ordine e il sindacato. Un Presidente che vuol fare la rivoluzione e comincia col mandare via ventuno giornalisti, crea all’interno della categoria un vulnus. Si parlava di sostituirli con un regolare concorso. Ora il Presidente ha detto che selezionerà personalmente i candidati”.
“Non si può pensare che i giornalisti possano sottrarsi all’autocontrollo e all’autodisciplina, puntando ad un lavoro di qualità, altrimenti è la fine. Ci si avvia a festeggiare i cinquant’anni della legge istitutiva dell’Ordine. La riforma, di cui da tempo si parla, dovrebbe prevedere forme di accesso in senso restrittivo, perché non può andar bene che un pubblicista abbia gli stessi diritti di un professionista il quale si è sottoposto ad una verifica attraverso gli esami, e il cui lavoro e la sua preparazione sono stati vagliati. Questo genera confusione nei ruoli. La riforma prevederà che i pubblicisti siano laureati. Anche se questo non basta è certamente un elemento in più, ma non determinante se si pensa – ad esempio – che ci sono medici laureati in medicina che non esercitano la professione! Questo cammino di selezione il nostro ordine lo ha iniziato, organizzando corsi di preparazione per aspiranti pubblicisti. Non basta più essere autore di articoli e dimostrare l’avvenuta retribuzione”.
“Dalle risposte degli aspiranti pubblicisti, capiamo se mai hanno seguito traccia di una notizia o meno; approfondiamo, anche, i problemi che incontrano nell’esercizio della professione. L’Ordine ha deciso di premiare l’eccellenza, che pur – in mezzo a casi discutibili – si incontra in queste occasioni di confronto con gli aspiranti pubblicisti, con il premio intitolato a Norman Zarcone, il figlio di un collega che si è tolto la vita dopo aver conseguito il tesserino di pubblicista, schiacciato dalle logiche baronali dell’Università”.