Avemu bannèra innu e dialettu - QdS

Avemu bannèra innu e dialettu

Carlo Alberto Tregua

Avemu bannèra innu e dialettu

mercoledì 26 Agosto 2009

I piemontesi hanno annesso il Sud

Il sole d’agosto ha fatto emergere la crassa ignoranza delle realtà regionali da parte di un ceto politico che promuove la lettura (Leggere è il cibo della mente, presidenza del Consiglio), ma che legge poco o niente. Se i parlamentari e i componenti del Governo ed opposizione leggessero adeguatamente, a cominciare dalle favole di Esopo (620 a.C.-560 a.C.), sarebbero in condizione di non dare fiato alla bocca, ma di occuparsi di progetti cantierabili.
Ci riferiamo alle tre questioni diffuse con enfasi, sol perché le ha dette Bossi, un politico intuitivo, ma di modeste conoscenze. Ci riferiamo alla bandiera, all’inno e al dialetto.
Per la nostra Isola, le tre parole rientrano nell’ordinaria amministrazione in quanto noi già avemu bannèra, innu e dialettu. Non per questo, però, l’autonomia della Regione è stata rispettata dai governi nazionali in questi sessant’anni e, peggio, dal ceto politico siciliano, che si è insediato a Roma, partecipando a privilegi, banchetti, festini e quant’altro, senza esigere rigore e rispetto del nostro Statuto autonomista, che è legge costituzionale.
 
La bannèra rosso gialla con in mezzo la Trinacria è stata istituita con legge regionale n. 1 del 2000. Quindi fa parte legalmente dell’ordinamento giuridico siciliano. Come al pari il drappo verde, bianco e rosso è stato inserito all’articolo 12 della Costituzione.
L’innu è stato composto dal maestro Vincenzo Spampinato su richiesta dell’allora presidente della Regione, Salvatore Cuffaro. S’ intitola “Madreterra” ed è stato inserito nell’ordinamento siciliano con Legge regionale n. 21 del 2001. Non si può dire la stessa cosa dell’inno di Mameli, perché non si trova traccia nell’ordinamento giuridico italiano. Ma peggio ancora, Goffredo Mameli, celebrato quanto fantomatico patriota, non ne è l’autore. Infatti, le parole sono di Michele Novaro e la musica è stata rubata al frate ligure Anastasio Cannata. Quindi, Fratelli d’Italia, non è l’inno nazionale e neanche l’inno di Mameli. Non si capisce che cosa sia e perché tanta gente ignorante continui a girarci intorno come se fosse quella musica a riunire gli italiani.
 
U’ dialettu siciliano era ed è una lingua con la sua struttura, con i suoi vocaboli e con i suoi significati. Naturalmente, la lingua siciliana non è uguale in tutta l’Isola perché ha risentito, nel corso di ventiquattro secoli, delle invasioni di quasi tutti i popoli europei, dai greci ai britannici. Esso dovrebbe essere insegnato nelle scuole, infatti la Regione prevede dei finanziamenti a quelle scuole che istituiscono i corsi. Mancano, però, i professori di siciliano, anche perché l’Università non li forma.
Bossi, quindi, è arrivato con l’iammuru virdi, cioè ha copiato pari pari quello che in Sicilia esiste da sempre. Non sappiamo se le altre diciannove regioni possiedano bandiera ed inno, ma certamente parlano tutti il loro dialetto, molto più di quanto accada in Sicilia.

Non si capisce perché molte fiction in onda sulla Rai hanno protagonisti che parlano con inflessione romanesca e perché vediamo con simpatia attori che parlano con inflessione toscana ed emiliana e, difficilmente, abbiamo l’orgoglio di sentir parlare attori con inflessione siciliana, salvo il caso Montalbano.
L’avvicinarsi del 2011, anno in cui si dovrebbero celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, per noi del Sud dovrebbe essere la celebrazione di un funerale, perché non si è trattato di un’unificazione, bensì di una pura e semplice annessione.
Il referendum che si svolse a Napoli (1860) fu una burletta perché le schede erano prestampate, ma dovevano essere richieste al seggio (il Si o il No). E poi, le rapine che fecero i piemontesi dei tesori del Banco di Sicilia e di moltissime opere d’arte sparse nell’Isola, nonché il tradimento delle promesse del mercenario Garibaldi, il quale quando si accorse che le terre ai contadini siciliani non venivano date protestò vibratamente nel parlamento piemontese senza nulla ottenere.
Lo Statuto autonomista, inserito pari pari nella Costituzione senza mutare nulla, dimostra l’ansia dei padri costituenti di sedare lo spirito indipendentista dei siciliani. Successivamente, però, i bravi democristiani del Nord con la connivenza di quelli siciliani ne hanno narcotizzato i suoi effetti.
Un’autentica vergogna che tutti i presidenti della Regione di questi sessant’anni devono segnare a loro disdoro.

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