La legge introduce due istituti completamente diversi: da una parte le Unioni civili, con larga parte dei diritti e doveri previsti per il matrimonio, che possono essere contratte “solo” da persone dello stesso sesso; dall’altra, ci sono le convivenze di fatto, con minori tutele (manca la reversibilità della pensione, per dirne una).
Le Unioni civili, si legge nel testo definitivo, sono una “specifica formazione sociale”, costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso mediante “dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civili ed alla presenza di due testimoni”.
È nulla l’unione, qualora: sussista, per una delle parti, un vincolo matrimoniale o un’altra unione civile; una delle parti sia interdetta per infermità di mente; sussista tra le parti uno dei rapporti di parentela di cui all’art.87 c.c.; uno dei contraenti sia stato condannato in via definitiva per omicidio tentato o consumato contro il coniuge del partner.
Le parti possono scegliere un cognome comune, tra i loro cognomi. È inoltre possibile ricorrere al doppio cognome.
Le parti acquistano gli stessi diritti e gli stessi doveri. “Dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione”; entrambe, in base alle proprie sostanze e alla capacità, sono tenute a contribuire ai bisogni comuni. I contraenti, inoltre, concordano l’indirizzo della vita familiare la residenza comune. Il regime patrimoniale, in mancanza di diversa convenzione, è quello della comunione dei beni. Per la modifica e gli altri effetti giuridici si applica il codice civile.
In caso di morte del prestatore di lavoro, l’altra parte dell’unione ha diritto a ricevere l’indennità per il recesso del contratto, nonché il trattamento di fine rapporto. Viene introdotta, inoltre, la reversibilità della pensione. Questo in quanto è stabilito che al fine di “assicurare l’effettività della tutela dei diritti”, le disposizioni “che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’ o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti, nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano a ognuna delle parti dell’unione”.
Per gli abusi familiari, l’interdizione, la successione naturale e legittima, la divisione e gli altri effetti giuridici si applicano le norme del Codice civile. Per lo scioglimento si applicano, “in quanto compatibili”, le norme della legge sul divorzio (898/1970), ma non sarà obbligatorio come nel matrimonio il periodo di separazione.
Nel testo della legge, dopo aver precisato che all’unione si applicano le norme che si riferiscono al matrimonio, viene fatta salva espressamente la legge 184/1993 sul diritto del minore a una famiglia, che dunque non si applica per le coppie omosessuali. Subito dopo, però, il legislatore ha precisato che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Un piccolo varco già aperto dalla giurisprudenza più recente e che potrebbe incoraggiare i giudici, che hanno emesso negli ultimi mesi diverse sentenze favorevoli all’adozione del “figliastro”.
La legge introduce una serie di diritti anche per le coppie di fatto, intese come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. Per accertare la convivenza, basta la dichiarazione anagrafica. I conviventi hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario, possono assistere il compagno in caso di malattia o ricovero, nonché possono accedere alle informazioni personali. Possono designare il compagno come rappresentante, tutore, curatore o amministratore di sostegno; subentrare nel contratto di locazione; disciplinare i rapporti patrimoniali mediante un contratto di convivenza. Non hanno però diritto alla pensione di reversibilità.