“Partirei sicuramente dal tema degli investimenti. Il dato ormai cronicizzato è che negli ultimi 15-16 anni gli investimenti privati nel Paese sono in continua diminuzione. Contemporaneamente c’è stata una significativa diminuzione di quelli pubblici. Questa scelta, assieme a una politica costruita sostanzialmente sull’abbassamento dei costi, si è accompagnata a esternalizzazioni, appalti, catene di subappalti, ridimensionamento della dimensione d’impresa. Nel pubblico, la pratica delle gare di appalto al massimo ribasso e la diminuzione dei controlli sono diventati un pezzo del meccanismo che contribuisce ad alimentare la corruzione. Una seconda parte di quest’ingranaggio deriva dalla centralizzazione delle risorse. È stato parzialmente ridotto l’afflusso di finanziamenti alle Amministrazioni locali e di conseguenza gli investimenti del Paese che avvenivano prevalentemente nel territorio. In questo modo, le Amministrazioni per funzionare devono ricercare risorse attraverso forme spurie e creative rischiando così di alimentare la corruzione. Ad esempio la proliferazione della grande distribuzione organizzata e di centri commerciali a ogni angolo è spesso servita a sopperire alla carenza di fondi per la costruzione di opere pubbliche. È chiaro che forme di deroga alle normali procedure possono costituire un terreno fertile per fenomeni corruttivi”.
“È un nodo non affrontabile esclusivamente in una logica repressiva. È stata generata una catena e una proliferazione di forme più o meno spurie di aziende che nascono e muoiono su singoli appalti. In questi anni, in parallelo con il fenomeno di riduzione investimenti, sono aumentate le forme di contribuzione a pioggia che venivano distribuite al sistema delle imprese. Contribuzioni che non generano investimento o ricchezza, essendo spesso le imprese impegnate più sul versante finanziario-immobiliare che su quello produttivo. La conseguenza è che si è ulteriormente depauperato il sistema produttivo dalle risorse interne, in una logica secondo cui la finanza dà risultati in fretta, mentre l’investimento produttivo no. Il nostro sistema industriale ha perso molte delle imprese su cui, si può dire, si basi il Paese? I francesi hanno accuratamente difeso il loro siśtema produttivo, così come i tedeschi, gli stessi britannici l’hanno fatto di più. La Germania ha venduto a Psa la Opel, ma il Governo tedesco ha seguito la trattativa, garantendosi che fossero mantenuti gli stabilimenti, l’indotto, il pezzo di attività industriale. In Italia non esistono dati sull’andamento degli investimenti. È un tema che scompare. C’è una grande debolezza del sistema amministrativo perché senza risorse, del sistema pubblico perché costretto ai processi di appalto e di terziarizzazione. E diventa una debolezza di occupazione, di servizi, di qualità, ma anche rispetto alla tenuta della legalità”.
“Un sistema politico che decide la centralizzazione delle risorse rispetto alle Amministrazioni locali non è un sistema così debole. Era convinto di un’operazione, per me sbagliata. Il problema è che questa discussione non si fa e queste cose si continuano a protrarre nel tempo”.
“Se fai l’appalto al massimo ribasso o all’offerta economicamente più conveniente è chiaro che poi o si ‘risparmia’ sui lavoratori, o non ci sono le condizioni per rispettare quanto pattuito. Il difetto è all’origine: non si può fare un capitolato d’appalto dentro il quale non si prevedono degli elementi incomprimibili, come il costo del lavoro o quello del materiale. È un sistema che non ha scelto quali sono i parametri di riferimento e continua a liberalizzare il subappalto. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che ‘piccolo non è bello’, e avere delle imprese che siano in grado di ragionare sulla dimensione dell’appalto che prendono”.
“Ci sono due ordini di problemi. Il primo riguarda il meccanismo: i Fondi europei non sono a fondo perduto e devono avere la compartecipazione delle Amministrazione o dello Stato. La seconda questione è che le Amministrazioni che non hanno più bilancio usano i fondi d’investimento per la spesa corrente. Quando c’era da discutere dei fondi europei del nuovo quadriennio, in una riunione con tutti i governatori del Sud abbiamo proposto di creare un orizzonte comune per quelle risorse, sostanzialmente le uniche per lo sviluppo, e invece di fare ognuno il proprio progettino vedere quali erano i driver fondamentali per chiudere la distanza tra Nord e Sud. Un esempio banale: l’alta velocità come investimento prioritario per tutti, coinvolgendo così cinque delle fondamentali regioni del Mezzogiorno. Invece l’ex presidente del Consiglio è andato in ogni Regione a firmare 27 mila progettini noti da secoli”.
“Manca l’idea che quelle risorse non sono quelle che consentono di mantenere l’equilibrio esistente, ma quelle per dare sviluppo. Siamo il Paese che non discute di programmazione e la realtà diventa questa: tutti i progetti arrivati si ripropongono. In tanti casi sono gli stessi progetti di cui si parla da anni”.
“Il problema è che siamo un Paese con una produzione legislativa che nessun altro conosce. Eppure siamo in un’epoca in cui molte cose potrebbero essere semplificate. Neppure il sistema legislativo delle Regioni ha brillato per semplificazione. Dovrebbe essere obiettivo dei presidenti delle Regioni meridionali e del Governo provare a chiudere la forbice tra economia meridionale e settentrionale. Non basta una tornata di fondi strutturali per farlo. Se non si rimette in moto un meccanismo di possibilità d’investimento nei territori, si continuerà a far fatica e a caricare sui fondi strutturali”.
“C’è troppo divario tra la possibilità di trovare risorse e la capacità di utilizzo. Si comincia a pensare cosa fare dei fondi strutturali quando arriva l’annuncio delle quote, poi si dedicano due o tre anni alla progettazione”.
“Penso che di fronte a dei reati la magistratura faccia bene ad agire con le norme determinate dalle leggi. È utile, sicuramente, ma preferirei una Pubblica amministrazione che fosse in grado da sola di affrontare questi problemi”.
“Un esempio banale: se io entrassi la mattina qui e non ci fosse nessuno, domanderei il perché. C’è un malcostume che va stroncato, sicuramente, ma le direzioni dei luoghi di lavoro dove sono? Mi pongo proprio un problema di funzionamento della Pubblica amministrazione. C’è una gerarchia dei dirigenti, una responsabilità delle persone. E c’è l’idea che è stato sottratto alla Pubblica amministrazione il suo potere organizzativo, perché lo determina la politica deresponsabilizzando dirigenti e lavoratori”.
“Certo che c’è. È talmente forte quest’ingerenza che la discussione che stiamo facendo per poter fare il contratto dei pubblici è su come riuscire a cambiare la legge Brunetta (150/ 2011) e la 107, la Buona scuola del Governo Renzi. Leggi che dicono che il modello organizzativo di un servizio lo decide la legge, quindi la politica. Questo è il nodo che rende permeabile tutto. C’è un tema di terzietà della Pubblica amministrazione: se io a un dirigente dicessi che la responsabilità di come è organizzato il servizio è sua e l’Amministrazione fissasse gli obiettivi, forse cambierebbero tutti i rapporti”.
“Serve l’idea che il dipendente pubblico e il dirigente hanno un rapporto di lavoro. Si entra per concorso perché c’è una terzietà della Pubblica amministrazione e va garantita l’autonomia, ma va anche garantito che se un’amministrazione fa una cosa che non va bene, quella dirigenza possa farglielo notare”.
“Parliamo di sistemi di valutazione professionale, di costruzione di parte del salario rispetto agli obiettivi che ci si dà, che sono obiettivi di efficacia, che però hanno la possibilità di agire sulle leve organizzative”.
“Un adagio di questo Paese è che ci sono troppi controlli. È falso, sono pochissimi. Lo dico dal versante del lavoro: ogni volta si scopre che c’è un numero di ispettori nettamente inferiore al necessario. Quello che manca è uno strumento che molti Paesi utilizzano: la misura dell’efficacia delle normative che si producono. Si continua a deregolare il lavoro perché si continua a voler competere sui costi e non si agisce sul tema delle variabili strutturali degli investimenti, che è il vero problema”.