L’AUTONOMIA IMPOSITIVA
Per prima cosa è stato esaminato il Grado di autonomia impositiva delle Amministrazioni comunali, ottenuto come incidenza delle entrate tributarie sull’insieme di quelle correnti. In questo ambito gli Enti dell’Isola si mantengono sotto la media nazionale del 63,3%, pur essendo passati dal 30,8% del 2010 al 62,8% del 2015. Ben più distanti, invece, gli esempi più virtuosi rappresentanti dai Comuni di regioni quali Puglia 76% e Umbria (72,5%).
L’AUTONOMIA FINANZIARIA
Altro indicatore preso in esame è quello dell’autonomia finanziaria, che include tra le risorse utilizzabili dalle Amministrazioni anche le entrate extra-tributarie. “Attraverso l’analisi dei dati ottenuti dai Bilanci consuntivi degli Enti locali – ha scritto Alleva nella sua relazione – si osserva che nel 2015 il grado di autonomia finanziaria è pari a circa l’85 per cento (85,3%) a livello nazionale, con un aumento di oltre 26 punti rispetto al 2010”. La quasi totalità dell’incremento nel grado di autonomia finanziaria è riconducibile a una maggiore autonomia impositiva dei Comuni e in questo contesto la realtà isolana ha cominciato a ingranare, pur restando ancora una volta distante dalla media nazionale. L’Isola ha raggiunto nel 2015 il 75,1% di autonomia finanziaria, dunque oltre dieci punti sotto la media italiana e ben distante dalla realtà nazionale più virtuosa, il Piemonte (92,9%).
LA DIPENDENZA ERARIALE
I parametri appena descritti, come evidenziato dallo stesso Alleva, sono abbinati “a una riduzione della dipendenza erariale, in linea con i principi del Federalismo fiscale”. Stando ai dati Istat, infatti, nel 2015 questo indicatore, che racconta l’incidenza dei contributi e trasferimenti statali correnti sulle entrate correnti, risulta di poco inferiore al 5 per cento (4,7%) in media nazionale e, rispetto al 2010, ha subito una diminuzione di quasi 23 punti percentuali”. Ma se “tutti i Comuni del Centro-Nord (con la sola eccezione del Lazio) presentano un grado di dipendenza erariale inferiore alla media nazionale”, in Sicilia i valori si attestano ancora al 7,5% (nonostante un evidente ridimensionamento rispetto al 33,1% del 2010).
Dunque, ricapitolando, i Comuni Siciliani hanno ridotto la propria dipendenza dai trasferimenti, incrementando la capacità di incassare risorse proprie per poter camminare sulle proprie gambe. Un processo certamente virtuoso, ma ancora incompleto, se è vero che media nazionale ed Enti delle regioni più virtuose presentano dati nettamente migliori.
LE SPESE PER IL PERSONALE
Quella che probabilmente è la nota più dolente, però, è sempre la stessa, ovvero l’incidenza delle spese per il personale sulle entrate correnti dei Comuni siciliani: una zavorra che ingessa i bilanci e non permette di liberare risorse destinate a finanziare gli investimenti, indispensabili per favorire lo sviluppo e l’occupazione, anche a livello locale. Analizzando i dati Istat, infatti, risulta evidente come lo sforzo fatto per contenere i costi dei dipendenti siano ancora insufficienti. Sebbene infatti si sia passati dal 37% del 2010 al 30,8% del 2015, in nessuna regione del nostro Paese ci sono Comuni che mostrano valori peggiori di quelli isolani. E così ci sono ben 12 punti percentuali distanza con la media italiana, ferma al 22,8%.
Tornando a quanto accennato in precedenza, quindi, “Si può fare di più”, lo impongono le regole della buona amministrazione e le nuove esigenze dei cittadini. Quella che pagava stipendi improduttivi, infatti, è una politica che non paga più. Al contrario, è necessaria una gestione virtuosa delle risorse disponibili, che investendo sul territorio possa dare alla Sicilia quella spinta necessaria a colmare il gap accumulato con le migliori regioni d’Italia e con il resto d’Europa. La strada è tracciata, adesso spetta ai nostri sindaci percorrerla nel più breve tempo possibile.