Nel Congresso nazionale è stato approvato un Manifesto che sintetizza le azioni urgenti da mettere in campo
MESSINA – Il 2018 è un anno importante per gli Architetti italiani, che hanno con attenzione e determinazione preparato il Congresso nazionale che si è tenuto nell’Auditorium del Parco della Musica a Roma dal 5 al 7 Luglio.
Il lungo lavoro di preparazione si è articolato attraverso le assemblee territoriali, organizzate in tutte le regioni (in Sicilia si è tenuta a Palermo il 6 aprile) e programmate per raccogliere ciò che gli Architetti Paesaggisti Pianificatori e Conservatori ritengono si debba fare, dai differenti punti di vista delle varie realtà nazionali, per riportare l’architettura al centro dei programmi di trasformazione delle nostre città, nell’interesse prioritario dei cittadini che le abitano.
Perché l’architettura è cultura e la cultura genera economia, rispetto, tolleranza. Per questo il progetto di Architettura deve essere posto al centro della trasformazione dei nostri luoghi, ed è indispensabile che per la redazione dei progetti delle opere pubbliche venga scelto sempre e comunque il Progetto e non il progettista.
Ciò che è emerso è che le nostre città si devono attrezzare per offrire un’alta qualità di vita e di lavoro, così da essere competitive ed attrattive, e ciò può avvenire solo attraverso una visione strategica di ciò che le stesse dovranno diventare.
In chiusura del Congresso nazionale è stato approvato, dagli oltre tremila delegati presenti, e promulgato un Manifesto che sintetizza le azioni che noi architetti pianificatori paesaggisti e conservatori porremo in essere per il futuro delle nostre professioni ma ancor di più per il futuro del paese.
In sintesi, nel Manifesto si legge che l’Italia, con poche grandi città e moltissime città medie e piccole, ha bisogno di una lungimirante politica per superare l’inadeguatezza della strumentazione urbanistica vigente e delle leggi che ne regolano la redazione, il peso opprimente della rendita fondiaria nell’economia urbana e una perdurante crisi del mercato immobiliare.
Per questi motivi gli Architetti P.P.C. italiani:
• chiedono l’adozione di un programma nazionale di rigenerazione urbana da considerare come l’alternativa virtuosa alle espansioni incontrollate, al consumo di nuovo suolo inutile e dannoso;
• sottolineano con convinzione che nessuno sviluppo potrà essere democratico e sostenibile se non si fonda sulla Cultura, ed è per questo necessario un nuovo paradigma della qualità della vita urbana attraverso idee e progetti incentrati sulla costruzione di qualità, che poi è Architettura;
• ritengono necessaria la definizione di una Legge per l’Architettura, considerando essa e il paesaggio patrimonio comune, espressione della cultura, identità e storia collettiva;
• vogliono riaffermare la cultura del progetto riverberandolo in tutta la società per un benessere condiviso.
Al Congresso ci siamo occupati anche di infrastrutture, scheletro strutturale per la ripresa economica del paese, indispensabile per creare la ricchezza necessaria ad attivare i processi di trasformazione qualitativa delle città italiane, ed in qualità di presidente della Consulta degli architetti siciliani sono intervenuto su questi temi.
Dovendo ragionare sulle infrastrutture strategiche, ho analizzato il Documento di economia e finanza varato dal Governo nel 2018, ed ho evidenziato come, nella relazione generale del Def, il governo sembrava disegnare un paese che, attraverso una programmazione generale della rete infrastrutturale strategica, potesse recuperare margini importanti di competitività internazionale.
Poi però esaminando “l’allegato Infrastrutture”, dove vengono definiti progetti, priorità e dotazioni finanziarie, ho evidenziato come tutto si fermi al centro-nord, non essendo infatti previste somme adeguate per le infrastrutture nel mezzogiorno.
Per il Ponte sullo Stretto ad esempio si riparte da zero con un “progetto di fattibilità finalizzato a verificare le possibili opzioni di attraversamento sia stabili che non stabili”.
Se però consideriamo che il progetto definitivo del Ponte è approvato, è già stato anche individuato il contraente generale – che finirà con incassare le penali previste dal contratto in caso di mancata realizzazione dell’opera, circa 300 milioni di euro – tutto ciò unito alla straordinaria “visione” che il prof. Enzo Siviero ha offerto in occasione dell’assemblea territoriale degli Architetti siciliani del 6 Aprile a Palermo, di un Italia ponte ideale ma anche fisico di collegamento tra Europa ed Africa, non possiamo che stigmatizzare le decisioni assunte dal Governo nella programmazione approvata.
Analizzando i dati offerti dal Cresme ed illustrati da Lorenzo Bellicini, viene “disegnata” una realtà, quella del Mezzogiorno, in forte declino, che perde annualmente abitanti in misura di gran lunga superiore rispetto al resto della penisola, per lo più giovani che cercano fortuna altrove.
La crisi economica che ha caratterizzato il paese durante questi ultimi, difficilissimi, anni ha minato l’intero comparto dell’edilizia e pertanto anche il mondo delle professioni tecniche.
E se in Italia questa crisi epocale ha penalizzato il lavoro degli architetti in termini di forti riduzioni del fatturato annuale (superiori al 30%), in Sicilia ha portato al quasi azzeramento del fatturato dei liberi professionisti del settore tecnico.
Per far si che il Sud del paese possa riprendere a camminare verso la modernità, occorre superare il gap infrastrutturale che lo caratterizza e ciò può avvenire solo attraverso un impegno concreto del Governo, che fino ad oggi non c’è stato.
Ed allora un altro degli obiettivi degli Architetti italiani diventa quello di sollecitare il nuovo esecutivo a confrontarsi – attraverso l’istituzione di un tavolo di concertazione permanente – con le forze Professionali, imprenditoriali e sindacali, per programmare insieme ciò che serve per interrompere il declino che investe le aree meridionali e si riflette negativamente sulle potenzialità di crescita dell’intero paese.
Un grande programma condiviso per le infrastrutture del paese è ciò che serve, affinchè le nostre città possano diventare competitive, attrarre abitanti, conquistare nuove funzioni.
Un grande programma condiviso, cosicchè un governo che succede a un altro, non si diletti a cancellare quanto di buono fatto, ma si ponga in continuità per garantire la modernizzazione del Paese. Noi faremo la nostra parte.
Pino Falzea