Una sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 14, co. 1, della legge n. 36/1994. Si devono restituire le tariffe pagate per la depurazione in assenza del servizio
PALERMO – Acqua non potabile, ma pagata per tale, per anni e anni. Eppure non doveva essere così, a dispetto delle confezioni di acqua minerale imbottigliata, che hanno pesato a lungo nella voce del bilancio familiare destinata al vitto di molte famiglie siciliane.
Se nel comune di residenza il depuratore dell’acqua fognaria non c’è, si può richiedere al Comune, o all’azienda concessionaria dell’acquedotto il rimborso della tariffa di depurazione delle bollette dell’acqua. Lo ha stabilito la sentenza della Corte Costituzionale 335/2008 che ha dichiarato illegittimo l’art. 14, comma 1, della legge n. 36/1994 (legge Galli) e il Codice ambientale (D.lgs n. 152/06).
Significativa in proposito la posizione del comitato regionale Sicilia dell’Unione consumatori, che come l’associazione nazionale ha da tempo sollecitato i cittadini ad essere consapevoli dei propri diritti: “Ora tutti i comuni privi di impianti e che riscuotono direttamente o tramite la società concessionaria del servizio idrico la tariffa per la depurazione, devono restituire le somme versate dai cittadini, costretti a pagare in assenza del servizio e con gravi danni all’ambiente”.
Ma non è tutto: “Ad essere coinvolte non sono soltanto le utenze domestiche, ma anche quelle dei condomini, quelle commerciali e, addirittura, quelle di fabbriche, scuole, ospedali, alberghi ed enti pubblici o privati” che hanno pagato milioni di euro per una depurazione delle acque reflue non effettuata. Conviene prima fare un’istanza amministrativa di rimborso al comune; se non si riceve risposta è possibile ricorrere al giudice per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate come canone di depurazione degli ultimi dieci anni. è importante prima verificare se nella bolletta per la fornitura di acqua potabile compare anche la dicitura “canone di depurazione”.
La Corte Costituzionale nella sentenza ha ritenuto che le norme dichiarate illegittime fossero in contrasto con il principio di eguaglianza sostanziale sancito nell’articolo 3 della nostra Costituzione, ritenendo assorbite nella pronuncia le altre richieste. Nello specifico il dubbio di legittimità costituzionale era stato avanzato dal giudice di pace di Gragnano che aveva sollevato il caso anche con riferimento all’articolo 2 della Costituzione in quanto le previsioni contestate “Importavano l’aggressione del diritto inviolabile alla qualificazione dell’individuo come soggetto di diritto”, e apparivano in contrasto con il diritto alla salute tutelato come fondamentale nell’articolo 32 della Costituzione in quanto avrebbero incoraggiato “il lassismo degli enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall’inquinamento che ne scaturisce”.
Inoltre, le stesse previsioni erano state censurate con riferimento all’articolo 41 della Costituzione, che tutela solo entro certi limiti la libera iniziativa economica: il privato cui è affidata la “gestione delle risorse idriche”, “imponendo il pagamento di una tariffa pur in assenza del servizio di depurazione, espleta una attività economica in contrasto con la dignità umana e l’utilità sociale” ed infine era stato sollevato il dubbio di costituzionalità con riferimento all’articolo 97 della Costituzione, in quanto le previsioni consentirebbero alla pubblica amministrazione “d’imporre ai cittadini una sorta di tassa senza titolo”.
Emergenza idrica in Sicilia una lunga storia senza soluzione
PALERMO – La questione “emergenza idrica” in Sicilia ha una storia lunga quasi quanto (o forse di più?) quella della questione meridionale. Sfogliando i quotidiani nazionali di alcuni anni fa (2001-2002) ricordiamo che sul piano nazionale, il presidente del Consiglio dei Ministri aveva dichiarato lo stato di emergenza per la crisi di approvvigionamento idropotabile nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Palermo, Trapani, Messina, Catania, Siracusa e Ragusa. Alla Camera veniva presentato il progetto di legge (N. 867 del 14 giugno 2001) per l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sull’emergenza idrica in Sicilia, con il compito di individuare i motivi “delle gravi inadempienze pubbliche perpetrate e ricercare le responsabilità del mancato utilizzo dei fondi e di conseguenza del mancato intervento, in tempi utili, per scongiurare le ripetute crisi idriche”. L’allora ministro degli affari regionali, La Loggia, aveva annunciato tra le misure per combattere la mancanza di acqua in Sicilia, anche il ricorso alle navi con dissalatori, per trasformare l’acqua salata in acqua potabile. Erano stati stanziati dal Governo 45 milioni di euro, in parte da versare ai contadini per risarcirli dei danni subiti, parte da utilizzare per la riparazione della rete idrica siciliana.