Prof 2010. Impietoso confronto con la Regione Lombardia.
Gigantismo. Mille e 400 enti di formazione regolarmente accreditati dalla Regione siciliana (contro i 564 della Regione Lombardia) e un corpo di dipendenti di oltre 9.000 unità.
Fuori mercato. In Sicilia si sono spesi più soldi che in ogni altra parte d’Italia in questo settore con risultati disastrosi. I corsi realizzati sono infatti per la maggior parte fuori mercato
Quasi il triplo dei dipendenti, costi che lievitano anche sino a oltre 100 volte di più. Numeri impietosi che mettono ancora una volta in evidenza le distorsioni del sistema formativo siciliano messo a confronto con quello della Regione Lombardia.
Solo un numero messo a confronto basterebbe a far capire la distanza anni luce tra la formazione professionale lombarda e quella siciliana: da queste parti un corso di formazione costa in media 108 mila euro contro gli appena 9 mila e 430 euro invece spesi dalla regione del Nord. Ancor più eloquente il dato riguardante il personale impiegato all’interno degli enti formativi: qui è facile notare proprio il nocciolo della distorsione del sistema.
In Sicilia troviamo una galassia di mille e 400 enti di formazione regolarmente accreditati dalla Regione, strutture cioè che sono state riconosciute come idonee, in base a determinati parametri, a svolgere attività nel settore. Una cifra mastodontica che ovviamente produce un altrettanto mastodontico numero di impiegati: ben 9 mila e 200 secondo l’ultimo censimento fatto dal Dipartimento regionale della Formazione professionale.
Tanto per rendere l’idea, in proporzione la Lombardia (che ha il doppio delle imprese operanti rispetto alla Sicilia e quasi il doppio degli abitanti, nda) dovrebbe contare su un sistema formativo molto più massiccio. Ed invece si scopre tutt’altro, come viene riferito dall’ufficio stampa dell’assessorato regionale alla Formazione professionale: “Ad oggi sono 564 gli enti della formazione accreditati dalla nostra Regione che contano su 779 sedi operative. I dipendenti sono 3 mila e 700”.
Ma come è possibile che un territorio a forte vocazione imprenditoriale come quello della Lombardia, che dovrebbe quindi contare sicuramente su un più massiccio apparato formativo per la continua riqualificazione del personale, possa invece reggersi in piedi su questi numeri? Forse la domanda va posta al contrario: il problema infatti non è come possa fare la Lombardia ma quale “mostro” abbia costruito la Regione Siciliana nell’ultimo ventennio. Anche perché i riscontri sono sotto gli occhi di tutti: la Corte dei Conti ha appurato infatti che il sistema è sovradimensionato all’inverosimile: “L’effettivo avviamento al lavoro di un giovane siciliano – ha riferito nella sua ultima relazione il procuratore generale d’appello della magistratura contabile, Giovanni Coppola – pesa sui contribuenti 72 mila euro, non so davvero se ne valga la pena”. Un calcolo fatto tra i costi sostenuti per finanziare i percorsi formativi ed il numero dei corsisti che poi si sono collocati nel mondo del lavoro, obiettivo finale della formazione professionale. In Sicilia si sono spesi più soldi che in ogni altra parte d’Italia in questo settore con risultati disastrosi. Sono stati sfornati dalla formazione centinaia di parrucchieri e “shampisti”, erogati piccoli sussidi agli allievi, stipendi ai tutor e soprattutto ai formatori, oltre che naturalmente fonte notevole di fatturato per i corsi. Corsi che hanno organizzato tutti, nessuno escluso, dai sindacati ad organismi vicini alla politica.
Non solo: mentre la Corte dei Conti mediamente ha contato la creazione di 5 mila corsi all’anno in Sicilia, in Lombardia invece solo quest’anno sono stati creati 38 mila percorsi. I costi? Inevitabile palare di “emorragia” finanziaria nell’Isola. Nel bilancio, alla voce spesa, la Regione ha iscritto 242 milioni di euro in uscita. Ma considerando gli altri fondi (soprattutto provenienti dall’Ue) per il settore, si arriva alla cifra di 340 mln di euro. La Regione Lombardia ne spende 357 milioni di euro ma realizzando 7 volte e mezzo di più dei corsi formativi. “Questo è il frutto – commenta l’assessore regionale alla Formazione professionale Mario Centorrino – di una formazione che non si occupa della ricognizione dei bisogni formativi e che non si proietta nel futuro cercando di individuare i futuri bisogni formativi”.