Nonostante l’incremento del 75 per cento di questo tipo di opportunità lavorativa, la Sicilia resta fanalino di coda. Una tipologia contrattuale con tutte le garanzie di legge usata nei momenti di massima produttività
PALERMO – Secondo i dati Istat negli ultimi due anni si è registrato un incremento del 75% dei contratti di lavoro a chiamata. L’utilizzo del lavoro a chiamata da parte delle imprese italiane è stato introdotto in Italia nel 2003, con la riforma del mercato del lavoro prevista nelle legge 30, allo scopo di fornire una adeguata disciplina giuridica alle prestazioni di lavoro dipendente in maniera discontinua.
Il lavoro a chiamata è un contratto di lavoro con tutte le garanzie di legge e risulta importante per far fronte al mercato del lavoro nei momenti di massima produttività ed ha, in parte, favorito l’emersione del lavoro nero. In Sicilia, nell’anno 2007 le posizioni lavorative dei dipendenti a chiamata sono stati 764 (1,2%) e nel 2009 1.516 (1,4%). La regione in cui si concentra il maggior numero di contratti a chiamata è il Veneto (intorno al 20%) che contribuisce a fare del Nord-est la zona in cui il ricorso al job on call è più elevato (41%). Il Nord-ovest è caratterizzato da un’alta concentrazione di lavoratori a chiamata: in Lombardia (intorno al 17%), mentre il Centro presenta una maggiore dispersione tra le diverse regioni. Generalmente basso è il ricorso al lavoro a chiamata nel Sud e ancor di più nelle Isole (rispettivamente 9 e 2 per cento).
Relativamente agli aspetti retributivi, il trattamento economico del lavoratore intermittente deve essere proporzionale alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita, ma non deve mai essere complessivamente meno favorevole rispetto a quello dei lavoratori dello stesso livello, a parità di mansioni svolte.
Per la retribuzione oraria dei lavoratori a chiamata, i livelli più bassi si registrano nei settori delle attività immobiliari, altre attività professionali e imprenditoriali (9,34 euro) e degli alberghi e ristoranti (10,10 euro), mentre quello più elevato riguarda il comparto dei trasporti, magazzinaggio e comunicazioni (11,08 euro).
D’altra parte, per i dipendenti a chiamata l’input di lavoro misurato in base alle ore retribuite risulta particolarmente basso. Nel settore degli alberghi e ristoranti, infatti, la quantità di ore lavorate per posizione lavorativa, rappresenta meno dell’orario full time previsto dai contratti collettivi applicati in questo comparto.
Il lavoro a chiamata è un’opportunità di lavoro in più per il lavoratore che potrebbe trasformarsi in seguito in un contratto stabile. Il profilo professionale non è particolarmente elevato, ma va commisurato alle esigenze di settori, come l’alberghiero o la grande distribuzione, ma può essere ben accolto e dare possibilità agli studenti che hanno necessità di lavoro part-time.
Altra possibilità di lavoro viene offerta, grazie allo strumento dei voucher. Secondo i dati diffusi dall’Inps relativi alla fine del mese di luglio, ben il 34% dei voucher acquistati sono stati utilizzati in agricoltura. Anche in questo caso, la Sicilia si colloca al penultimo posto in classifica con 1,6 di indice per i voucher venduti ogni 1.000 abitanti contro una media nazionale di 10,1, mentre la regione che ha meglio usufruito del sistema è il Friuli Venezia Giulia (53,4) e ultima la Campania (1,4).
Poco successo anche per i buoni lavoro
Analizzando l’indice regionale dei voucher venduti ogni 1.000 abitanti residente al 1° novembre 2009 (dati Istat) e i voucher venduti dall’inizio della sperimentazione (agosto 2008) sino al mese di luglio 2010, possiamo notare che la Sicilia si colloca al 19° posto con 13,4, seguita da Campania e Calabria. Tale indice è indicativo della permeabilità del tessuto produttivo delle diverse regioni allo strumento del lavoro occasionale di tipo accessorio. In Sicilia, dal primo agosto del 2008 al 30 giugno scorso, sono stati venduti 100.378 voucher dal valore di 10 euro, su un totale nazionale pari a sei milioni. I dati illustrati dalla responsabile dell’ufficio legislativo dell’Inps, Francesca Esposito, “sono incoraggianti e rivelano una maggiore diffusione nel settore agricolo che da solo, in Italia, pesa per un 20%, seguito poi da quello sportivo e culturale. Altro dato interessante riguarda la vendita nelle tabaccherie. In Sicilia è pari a 1.200, contro i 28 mila in tutta Italia”. Per quanto positivi, i numeri mostrano un leggero ritardo se confrontati con il resto del Paese. Nonostante in Sicilia l’agricoltura è un settore strategico dal 2008 ne sono stati venduti solo 45mila. Un dato quasi nullo se confrontato con le altre regioni. il Veneto (712 mila), l’Emilia Romagna (417 mila), e le Marche (126 mila).