Presso i tre istituti vi sono cospicui fondi regionali, non gestiti al meglio perché non hanno seguito un unico progetto di sostegno alle attività economiche. I tre istituti non avevano neanche la possibilità di accedere ai mercati finanziari per approvvigionarsi e, a valle, la sufficiente possibilità di sfruttare le sinergie dei diversi settori in modo da procedere ad un sistema integrato di sostegno all’economia.
Il nuovo Mediocredito siciliano, per essere un pilastro dell’economia siciliana, ha bisogno di un grande manager, non di un raccomandato, né di un fedelissimo. Un manager capace di fare sviluppare il business in Sicilia, creando reti di relazioni nazionali e internazionali, inserendo un settore per la formazione continuna dei manager da prestare alle imprese nelle quali si effettua un intervento finanziario.
Un manager capace di fare interventi nel capitale di rischio di piccole dimensioni (qualche milione di euro), insieme al supporto professionale a sostegno dei progetti delle imprese medesime. Il project leader deve avere la possibilità di scegliersi la sua squadra, cioè i componenti del consiglio di amministrazione, tutti professionisti di prim’ordine e non ex politici, trombati o altri minus habens messi su quelle poltrone per prendersi un emolumento.
Insomma, un’inversione a U rispetto al passato, per moltiplicare la potenzialità del nuovo Mediocredito siciliano che, ovviamente, si dovrebbe tenere alla larga dalle operazioni ordinarie. Il presidente dei siciliani, Raffaele Lombardo, deve dare un preciso obiettivo alla missione della nuova società.
In un progetto di questo tipo, troverebbero collocazione i giovani preparati e i talenti siciliani, che vi sono in grande quantità, costretti a emigrare perché qui non trova sfogo la loro preparazione.
Potenziare le attività produttive (agricole, industriali, artigianali, dei servizi e commerciali) significa anche aprire le porte ad una occupazione nuova. Naturalmente, la burocrazia regionale e locale non si deve mettere di traverso per impedire questo sviluppo, ma, ribaltando il suo funzionamento, dovrebbe cominciare a favorire chi investe o chi innova le proprie attività.
I due mercati africani di Tunisia e Marocco si sono aperti all’Europa. Le imprese siciliane dovrebbero essere aiutate a collegarsi con quelle istituzioni per trovare modo di investire in quei Paesi, anche insediando proprie succursali.
Guardare a Sud e guardare a Nord. Non solo al Nord Italia, ma a tutta l’Europa dei 27, cui si aggiungerà nei prossimi anni la Serbia, come primo Paese balcanico, che si svilupperà intorno a quella testa di ponte che è il Polo Fiat a Kragujevac.
Guardare fuori non significa non mettere a reddito i beni della Sicilia, di ogni genere e tipo, che dovrebbero diventare oggetto di desiderio da parte delle popolazioni di ogni parte del mondo. Il turismo: magica parola che non vuol dire niente se non è supportata da una vera e propria attività imprenditoriale organizzata ed efficace.
Sembra vi siano 200 dipendenti pubblici nel settore turistico che da anni non lavorano in attesa di sapere se siano regionali o provinciali. Ecco un esempio di malagestione che deve cessare al più presto. Se si continua con questa lentezza e con questa incapacità di far funzionare il sistema, chi ci segue piangerà a calde lacrime.