“Infatti, l’anno scorso le opere pubbliche sono diminuite del 50% e quest’anno sono state ulteriormente bloccate, ma il problema è che gli appalti non vengono realizzati, pur essendo regolarmente finanziati da fondi comunitari o regionali. L’assessorato, il cui piano di spese europeo è iniziato nel 2007 dovrebbe già averlo speso sotto forma di opere di fondi strutturali e di progetti, ma per quanto riguarda i fondi comunitari esistono delle discrasie tipicamente siciliane, delle problematiche nell’applicazione e nell’interpretazione dei fondi stessi. Questo è un problema tipicamente siciliano che si evidenzia sul punto di vista culturale. Di fatto la Regione siciliana ha pubblicato il bando del Por 2007-13 già due anni più tardi rispetto agli altri paesi europei, per non parlare delle regioni italiane, e ha impegnato una discreta cifra, intorno al 40%, ma che non è stata spesa né consegnata! Non c’è tanto un problema di ritardo tecnologico, quanto in una difficoltà di omogeneizzazione delle misure di trasferimento, processo che avviene in modo semplice negli altri Paesi europei. In Sicilia, esiste una postura giudicante dell’apparato di controllo che non riesce a relazionarsi con l’utente e ad articolare le misure in una metodologia accessibile a tutti. La Sicilia offre delle risorse umane ed intellettuali, e delle maestranze imprenditoriali e amministrative di primo ordine, ma il suo problema maggiore consiste nel collegamento tra le funzioni. Potrebbe essere l’economia dominante del Mediterraneo, anzi ha il compito storico di elaborare una sua idea di sviluppo, perché la Sicilia è l’unica, nella zona di libero scambio, ad avere la capacità culturale di mostrare la sua struttura economica e di accettare il ruolo di economia dominante, sia per consistenza etnografica e di popolazione, sia per ricchezza storica e di cultura; è un compito che le spetta, che la storia le ha consegnato e senza una vera cooperazione in seno alla sua struttura amministrativa non riuscirà a mantenerlo. La Sicilia ha la possibilità di armonizzare le misure di supporto e l’immissione di liquidità, di omogeneizzare i comportamenti. L’interpretazione e l’assunzione della logica comunitaria non vanno subita, ma essa va interpretata e trasferita al pubblico secondo criteri che ne diano l’accesso all’utenza.
“Dobbiamo assumere uno spirito di servizio; siamo noi al servizio dell’agricoltura e non siamo solo un ente giudicante, ma un organo che trasferisce e promuove. Credo che la vera rivoluzione siciliana passi per il collegamento di piccoli progetti. Infatti, sto insistendo su un progetto in cui la campagna pubblicitaria sarà molto dura e che vuole essere propedeutica alla rete dei supermercati siciliani. L’ Isola ha una ricchezza di microfiliere che non riesce a collegarsi con il mercato di prossimità. Tutta la filosofia della Regione, dal ‘70 ad oggi, si è concentrata sullo stimolo della domanda al di fuori della Sicilia, pensando che non fosse un problema di compattamento delle filiere e di investimento sul prodotto. Assioma fallimentare, perché la Regione ha speso milioni di euro nel sollecitare la domanda, soddisfatta poi dal mercato marocchino o francese a secondo degli articoli, pensando cioè che fosse un problema di trovare il mercato. Così facendo si è sguarnito il mercato siciliano. Risultato: la bilancia d’importazione dei prodotti agricoli, parlo di quella ufficiale al lordo del contrabbando, è drammatica”.
“Innanzitutto, fra venti giorni attraverso l’Istituto zooprofilattico, si inizierà ad istituire un controllo dei supermercati per quanto riguarda le mappature genetiche di origine; un controllo dunque sulla Gdo della mappa genetica, inteso come campagna di consumo di prodotti siciliani e patrocinata dal Conecom. La bilancia commerciale è negativa, non solo perché produciamo solo il 38% del consumo, ma perché il problema consiste nel fatto che questo 38% che riusciamo a fornire è viziato da fattori come il contrabbando. Esiste un atteggiamento positivo rispetto alla produzione siciliana e al comportamento che dobbiamo assumere nei confronti della concorrenza estera, ed un atteggiamento negativo: abbiamo una Gdo siciliana che vende il 38% di prodotti siciliani, merce che viene messa in libera pratica in tutta la comunità, sia d’importazione di paesi terzi, sia di produzione comunitaria. Nel passato si è implementata una filosofia che voleva isolare la Sicilia su due assiomi di principio: il primo che considerava la produzione siciliana buona e sana; il secondo che riteneva l’importazione ingiusta e che andava condannata di principio, poiché esisteva un differenziale economico tra la Sicilia e gli altri paesi; questo ha provocato una perdita del 100% dell’indotto sul 62% di produzione che arriva nei supermercati della Gdo siciliana. Questa discrasia tra compattamento delle microfiliere e importazione da regioni non compatibile con la distribuzione siciliana ha creato un effetto combinato di depressione, sia della produzione, sia dell’indotto, perché i porti e le strutture siciliane non funzionano e la rilavorazione non avviene in modo ottimale.
Nel caso delle merci d’oltremare, esiste un’incapacità di complementare l’offerta verso la Gdo che è sempre transnazionale; col fatto di non avere complementarità, il mercato siciliano si è sterilizzato in nome di una purezza, confondendo importazione con produzione; con questa struttura logica, la Sicilia si è preclusa sia il rifornimento alla Gdo locale, sia il passaggio dalla Gdo locale alla Gdo internazionale”.