Reati multiculturali, quando la tradizione diventa un crimine - QdS

Reati multiculturali, quando la tradizione diventa un crimine

Reati multiculturali, quando la tradizione diventa un crimine

venerdì 24 Giugno 2011

Risvolti problematici della multietnicità: infibulazione ed episodi di violenza in famiglia sono molto frequenti. Il sottile confine tra cultura d’accoglienza e tutela dei diritti della persona

PALERMO – Il fenomeno dell’immigrazione ha riproposto in Italia, quale paese di accoglienza, vicende simili a quelle verificatesi agli inizi del Novecento in America, quando i “nostri” ( italiani in generale, e siciliani in particolare) erano gli immigrati, e in quanto tali portatori di una cultura – intesa come maniera di vivere – diversa, non sempre in bene. Hanno fatto storia processi in cui era stata addotta come scusante di comportamenti violenti dei padri e dei mariti la concezione autoritaria della famiglia tipicamente meridionale.
 
E la storia si sa, a volte è un gioco di specchi. Oggi il dibattito sui reati multiculturali è più che mai aperto in Italia perché la presenza di diverse etnie pone problemi di integrazione anche con riferimento alla “percezione” di determinati comportamenti come reati, altrove considerati normali. Si va dai maltrattamenti in famiglia alle mutilazioni genitali femminili, a molto altro. I giudici italiani si trovano spesso sulla linea di confine che separa l’orientamento assimilazionista, sposato dalla Francia, secondo cui gli aspetti culturali non vanno tenuti in considerazione all’atto della valutazione di un illecito, dall’approccio multiculturale anglosassone, secondo cui la “cultura” del paese d’origine può avere un peso, a seconda dei casi, come causa di giustificazione, come attenuante, come elemento da tenere presente nella quantificazione della pena. Ferma restando la volontà dell’Italia di dimostrarsi di mente aperta, i principi fondamentali di libertà e di tutela della persona umana su cui si regge il nostro ordinamento non si toccano.
 
Con la legge 7 del 2006 sono state previste norme specifiche per punire le “mutilazioni genitali femminili”, le quali, secondo molti , costituiscono un chiaro esempio di “reato culturalmente motivato”. Sono pratiche senza finalità terapeutica che hanno gravissime conseguenze sul piano psico-fisico per bambine ed adolescenti, sia nell’immediato (con il rischio di emorragie a volte mortali, infezioni, shock), sia a lungo termine (difficoltà nei rapporti sessuali, cisti, rischio di morte nel parto sia per la madre che per il bambino).
Questi abusi sono un problema mondiale, praticati non solo in Africa e nel Medio Oriente, ma anche presso le comunità di immigrati in tutti i paesi del mondo. Ovunque ci sono donne e bambine che sono state sottoposte a mutilazioni ed altre che corrono il rischio di subirle. Ai sensi dell’articolo 4  della legge 7 del 2006, con decreto ministeriale del 17 dicembre 2007 sono state emanate linee guida destinate alle figure professionali, sanitarie e non, che operano con le comunità di immigrati provenienti dai paesi dove sono effettuate le pratiche di mutilazione genitale femminile, per realizzare una attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a tali pratiche. L’ Assessorato alla salute della Regione Sicilia  con le risorse destinate dall’articolo 4 della legge 7/06, ha affidato al Cefpas, la realizzazione del progetto formativo “La pratica delle modificazioni degli organi genitali femminili nei popoli migranti: interventi per la promozione della “competenza culturale” dei professionisti socio-sanitari”.
 

 
Storie di Sicilia. Violenza inflitta come “marchio d’infamia”
 
C’è stato un tempo in cui erano “i reati dei siciliani” ad essere definiti “culturalmente orientati”. Nella Relazione ministeriale sul progetto del codice penale  (Roma, 1930), il Ministro Guardasigilli afferma di aver voluto “perseguire, con il massimo rigore, le lesioni con sfregio, che costituiscono la manifestazione di una caratteristica forma di delinquenza, diffusa specialmente in talune regioni d’Italia”; nel commento di Manzini, Trattato di diritto penale  (Torino, 1987) si richiama la “cultura” diffusa in Sicilia e nella zona di Napoli “di sfregiare il volto di un uomo come atto esprimente massimo disprezzo, per imprimergli un marchio d’infamia; ovvero di sfregiare il volto di una donna per punirne l’infedeltà, vera o presunta, o per contrassegnarla come donna del proprio cuore, in modo da tenerle lontano qualsiasi potenziale corteggiatore”.
Agli inizi del Novecento  un padre siciliano immigrato in America convenuto  dinanzi alla Juvenile Court di Cook, nello Stato dell’Illinois – Usa, viene chiamato a rispondere dei delitti di maltrattamenti in famiglia e abusi sessuali nei confronti del figlio di otto anni e della figlia di dieci anni. Storie da brivido, d’oltreoceano, ma comunque di casa nostra.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta

Ediservice s.r.l. 95126 Catania - Via Principe Nicola, 22

P.IVA: 01153210875 - Cciaa Catania n. 01153210875


SERVIZIO ABBONAMENTI:
servizioabbonamenti@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/372217

DIREZIONE VENDITE - Pubblicità locale, regionale e nazionale:
direzionevendite@quotidianodisicilia.it
Tel. 095/388268-095/383691 - Fax 095/7221147

AMMINISTRAZIONE, CLIENTI E FORNITORI
amministrazione@quotidianodisicilia.it
PEC: ediservicesrl@legalmail.it
Tel. 095/7222550- Fax 095/7374001
Change privacy settings
Quotidiano di Sicilia usufruisce dei contributi di cui al D.lgs n. 70/2017