“La permanenza del divario tra Nord e Sud è questione legata ad una molteplicità di fattori tra i quali il livello della spesa pubblica non gioca un ruolo preminente. Quello che innanzitutto deve cambiare è l’approccio alla questione. Se si pensa che il Mezzogiorno in questi decenni non sia cresciuto per mancanza di risorse e interventi statali, si compie un grosso errore e ci si allontana dal fulcro del problema, che è piuttosto quello della gestione delle risorse. Il ritardo nella spesa dei fondi comunitari, per esempio, ha determinato e rischia di determinare il disimpegno dei finanziamenti privando il Sud di risorse semplicemente per noncuranza. Recuperare il ritardo è possibile, certo, se si riconoscono gli errori fin qui compiuti e si agisce tutti quanti in maniera diversa. Quello che abbiamo cercato di fare, nell’ambito della politica di coesione e degli interventi previsti all’interno del Piano per il Sud, è stato innanzitutto quello di individuare le priorità per il Meridione, a partire dalle infrastrutture fino alla trasparenza ed efficienza nella Pubblica amministrazione passando attraverso la legalità e la sicurezza. Abbiamo inserito dei meccanismi sanzionatori per accelerare l’utilizzo delle risorse comunitarie, che rischiano di tornare a Bruxelles se non vengono spese entro il 31 dicembre. Per garantire poi tempi certi nella realizzazione delle opere previste dal Piano e individuare responsabilità chiare, abbiamo introdotto a valle, e quindi al momento dell’impegno delle risorse per un determinato intervento, la stipula dei Contratti istituzionali di sviluppo, strumenti negoziali per definire diritti e doveri dei contraenti prevedendo, in caso di inadempienza, l’attivazione del potere sostitutivo. Una via possibile di rilancio del Sud è stata tracciata. Si tratta adesso di continuare a perseguirla, tutti quanti insieme, con spirito di collaborazione”.
“Il tema della razionalizzazione dei costi di funzionamento delle istituzioni e della semplificazione del sistema istituzionale e amministrativo è tra le priorità dell’agenda politica del Governo e trova un corrispondente interesse anche da parte delle opposizioni. In questa direzione, su mia proposta e per recepire una richiesta avanzata da Regioni ed enti locali, il Consiglio dei ministri del 22 settembre ha deciso di istituire una Commissione paritetica mista Governo-Regioni-Enti locali, finalizzata ad affrontare questo tema con l’obiettivo di predisporre una riduzione degli organi e dei costi, di eliminare le duplicazioni e di semplificare i processi decisionali. Tornando alla sua domanda, il Governo da parte sua, ai primi di settembre, ha approvato un disegno di legge costituzionale che sopprime il livello provinciale nella sua attuale configurazione e che è ora all’esame della Conferenza Unificata per il necessario confronto con il sistema delle autonomie. Si tratta di un intervento federalista sotto il profilo ordinamentale che affida alle Regioni una nuova competenza legislativa residuale riguardante le modalità di esercizio delle funzioni di governo di area vasta, fermi restando alcuni paletti posti dallo Stato con lo stesso disegno di legge costituzionale. Le Regioni dovranno prevedere che tali funzioni siano svolte mediante forme associative, sulla base di parametri relativi al territorio o al numero di abitanti e con al vertice un Presidente eletto dai cittadini. Inoltre, dovranno essere assicurati la riduzione dei costi complessivi degli organi politici e amministrativi, un numero inferiore di enti locali rispetto all’attuale, soppressione (anche da parte dello Stato) di tutti gli altri enti intermedi che svolgono funzioni di area vasta, nonché l’alternatività con le città metropolitane. È un’impostazione che, in sostanza, vuole ridurre i costi degli apparati politici e amministrativi e, al contempo, concentrare le funzioni di governo di area vasta, nella prospettiva di ottenere maggiore efficienza e migliori servizi ai cittadini. Mi auguro che, su questi temi, da parte di tutti, ci sia la disponibilità alla più ampia apertura e condivisione in modo da perseguire più efficacemente e più tempestivamente possibile l’interesse generale”.
“Non possono essere accettate penalizzazioni per le aree meno sviluppate dei paesi più prosperi: tra i grandi contribuenti netti siamo l’unico paese che ha una condizione come quella del Mezzogiorno. Il dato positivo sono i 336 miliardi di euro disponibili. Stiamo ancora discutendo. C’è il punto dei conti, ma alleggerito rispetto alla preoccupante impostazione iniziale franco-tedesca e sulla quale ci sono le condizioni per poter lavorare. La condizionalità macro economica è condivisibile ma non può andare nella direzione opposta di una politica efficace di intervento”.
“I giudizi riguardano nodi non del Governo ma del sistema Paese. Sulle agenzie di rating non voglio fare polemiche, ma negli ultimi anni hanno fatto valutazioni di affidabilità su imprese e grandi banche alla vigilia del loro tracollo. Il dato oggettivo è che la Commissione europea ha ribadito la positività della manovra e dell’anticipo del pareggio di bilancio. Ora bisogna proseguire sulla strada della ripresa e della crescita”.
“Il Fondo per le aree sottoutilizzate è un utile strumento di politica regionale che affianca i fondi europei e, se usato bene, rappresenta una reale opportunità di crescita per il Mezzogiorno. Soprattutto in un periodo di incertezza economica come quello che stiamo vivendo il Fas può rappresentare una boccata d’ossigeno. Il Governo ha da tempo messo in campo meccanismi per l’accelerazione della spesa delle risorse comunitarie a rischio di disimpegno, un’attenta ricognizione sulle risorse residue della precedente programmazione Fas 2000-2006 e un nuovo approccio verso l’utilizzo delle risorse della programmazione in corso. Grazie al lavoro svolto negli ultimi mesi in questa direzione insieme alle Regioni meridionali, è stato possibile attuare i primi due capitoli del Piano nazionale per il Sud sbloccando le risorse Fas 2007-2013. La delibera Cipe del 3 agosto scorso, infatti, ha dato il via libera a un nutrito programma di infrastrutture regionali e interregionali, il primo capitolo del Piano, assegnando oltre 7 mld di euro. Alla sola Sicilia è stato assegnato quasi 1 miliardo e 200 milioni di euro. A seguire, la delibera del 30 settembre, ha sbloccato più di 1 miliardo di euro per il secondo capitolo, Università e Ricerca. Le risorse destinate alla Sicilia ammontano a 88 milioni che interessano l’Università di Palermo, l’Università di Messina e quella di Catania. Tutto ciò dimostra che se le risorse indirizzate al Sud hanno una destinazione d’uso strategica e mirata vengono sbloccate e possono assolvere pienamente alla loro funzione a favore della crescita e per colmare il divario con il Nord”.
“L’attuazione del federalismo non è in discussione né tanto meno i principi su cui si basa. L’obiettivo principale della riforma, l’efficienza della spesa, è anche il punto fermo delle manovre fin qui approvate. La situazione economica globale ci impone di fare delle scelte che possono risultare impopolari e quindi suscitare anche polemiche; ma proprio perché il momento che stiamo vivendo è ‘straordinario’, nel senso appunto di emergenza e di allerta massima sui conti, è necessario uno sforzo in più da parte di tutti i livelli istituzionali perché si vada nella direzione della collaborazione e non della contrapposizione. Con la Conferenza delle Regioni sono in corso dei tavoli tecnici tematici, primo fra tutti quello sul trasporto pubblico locale come richiesto dai presidenti di Regione, per identificare eventuali modifiche a saldi invariati. Il dialogo istituzionale con le Regioni e con tutto il sistema delle Autonomie non è mai venuto meno e continueremo a perseguirlo con tutti i buoni propositi”.
“Mi sembra un’ipotesi in controtendenza rispetto all’esigenza condivisa, da più parti, di ridurre i costi di quegli apparati pubblici, oggi esistenti, che svolgono funzioni assimilabili. Ritengo, inoltre, che la trasformazione in senso federalista delle nostre istituzioni debba porre la massima attenzione a sviluppare, più che a frammentare, le funzioni di quelle istituzioni repubblicane che svolgono funzioni di garanzia, funzioni che concorrono a mantenere saldi i vincoli di unità e indivisibilità del Paese”.