“L’organizzazione dell’Ordine è su base regionale. Fin dalla sua istituzione, con la legge 69 del 3 febbraio 1963, siamo stati antesignani del federalismo. Quindi territorialmente è come se avessimo venti “repubbliche autonome”, che comprendono anche degli ordini più piccoli (ad esempio in Val d’Aosta per essere eletti consiglieri bisogna avere 25 voti, mentre nel Lazio non meno di 700). Ogni consiglio regionale tiene l’albo professionale di categoria, in diversi elenchi: giornalisti professionisti, che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione, e giornalisti pubblicisti, che svolgono attività non occasionale e retribuita anche se hanno un altro lavoro principale”.
“L’Ordine deve garantire la pubblica opinione e i destinatari dell’informazione, ovvero i lettori. Io sono un presidente atipico perché vado in giro per l’Italia parlando male del modo in cui si fa giornalismo in questi anni. Ribadendo una cosa importante: parliamo spesso di diritti, rivendicandoli ed evocando a sproposito la Costituzione (l’articolo 21, non sancisce diritti per i giornalisti, ma delinea la libertà di espressione e di stampa, garanzia costituzionale a tutela dell’informazione ai cittadini). In questo senso l’informazione deve essere veritiera, pacata e responsabile. Valori persi di vista, talvolta, dalla nostra categoria. Scopro spesso che alla gente fa piacere l’assunzione di responsabilità da parte del presidente dell’Ordine dei giornalisti. L’informazione, per vari motivi, è diventata morbosa, passando sopra diritti fondamentali, calpestando alle volte la privacy e il rispetto per le persone. Dobbiamo tenere sempre presente la terzietà che bisogna assumere quando si scrive un articolo. Molti giornalisti invece si sono trasformati in militanti, non di forze politiche, ma delle idee che ciascuno possiede. Il nostro non è un mestiere soggettivo, e alcuni casi di cronaca ci devono far riflettere. Bisogna comprendere che con le parole, e senza osservare la deontologia professionale, possiamo fare malissimo”.
“L’Ordine dei Giornalisti organizza a Fiuggi un corso di preparazione agli esami per entrare nell’elenco dei professionisti. Quando sono stato eletto ho apportato diverse modifiche a tale percorso di formazione. Per capire quali aggiustamenti fare, dopo la mia elezione a presidente, mi sono trasferito lì per sette giorni, per parlare con i praticanti in procinto di fare gli esami e capire le loro esigenze. Ho avvertito che una lezione su come si conduce una inchiesta giornalistica mancava, per questo ho deciso di inserirla nel corso. Durante gli anni in cui facevo il cronista mi sono occupato di giudiziaria e di terrorismo negli anni forse più bui di questo Paese. E per questa sensibilità mi rendo conto di quante insidie ci possano essere dietro le “soffiate” o le fonti d’informazione. A difesa dei giornalisti dico però che ciò che viene fuori dai quotidiani e dalle riviste non è sempre frutto del lavoro delle redazioni. Sono spesso scelte dettate, per motivi che non condivido, dai vertici del giornale. La morbosità nell’affrontare continuamente alcuni temi, come taluni casi di cronaca nera, non la determinano i redattori semplici ma c’è qualcuno dal vertice che indirizza e decide. Le 5W (chi, cosa, dove, quando e perché) a garanzia di una informazione oggettiva non esistono più. Sono state sostituite con le le 5S (sangue, sesso, soldi, sport e spettacolo). Basta prendere un giornale qualsiasi per rendersene conto. Un metodo che era usato dai vecchi giornali popolari ormai si può trovare quotidianamente in tutti i giornali in edicola, anche tra i più autorevoli”.
“A inizio 2012 il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha approvato le linee guida per la riforma dell’ordinamento giornalistico, alla luce delle novità introdotte dalle legge 148/2011 e successive modifiche. Queste linee guida devono considerarsi il punto di arrivo di un percorso pluridecennale di autoriforma. Il 29 febbraio abbiamo fatto l’ultimo incontro con il ministero dello Sviluppo economico. In quella occasione è stata scelta la linea del tavolo tecnico separato, ordine per ordine. Perché le norme previste dall’ex ministro Giulio Tremonti, poi confluite nel SalvaItalia, mal si adattavano alla realtà dell’Ordine dei giornalisti. In parole povere noi non c’entriamo nulla con le società di capitali, con il tirocinio con rimborsi spese, con le assicurazioni per i collaboratori che escludono i reati dolosi (mentre invece la diffamazione è un reato doloso da tenere in considerazione nello svolgimento della professione). Pare che a maggio prossimo il Governo ci sottoporrà un testo definito di riforma, che sarà passato al vaglio di un confronto politico con ogni singolo ordine. Da almeno trent’anni cerchiamo di far riformare la legge del 1963, con delle regole stabilite in un’epoca in cui non esistevano i computer e il web”.
“In particolare stiamo chiedendo di fare un numero fisso di consiglieri. La legge impone la rappresentanza proporzionale ai consigli regionali. Abbiamo chiesto un numero fisso di 90, una rappresentanza sufficiente che permetta di non cambiare l’organizzazione attuale. Per ogni consiglio regionale servono un giornalista professionista e uno pubblicista. E con questa semplice somma siamo già a 40 consiglieri. Bisogna pensare che le realtà delle regioni come il Lazio e la Lombardia non possano essere confrontabili con le esigenze delle altre regioni. Per questo la scelta dell’accorpamento è dura e non condivisibile”.
“Ci sarà l’obbligo del possesso della laurea per entrare a far parte dell’Ordine dei giornalisti. Se nel 1963 era richiesta la maturità, nel 2012 dovrà servire qualcosa in più. Il 60% dei bocciati agli esami ha fatto gravi errori grammaticali nell’articolo. I principali strafalcioni riguardano l’uso delle doppie e degli accenti. La laurea non risolverà i problemi, però è un passaggio importante. Una cosa molto positiva è che avremo l’obbligo di formazione continua. Per evitare che chi passi l’esame non apra più un libro per aggiornarsi e studiare le novità della professione. Abbiamo previsto inoltre che anche i giornalisti pubblicisti debbano fare un esame, che risponda a caratteristiche precise, per verificare la loro preparazione. Un’altra novità riguarda il potere disciplinare dell’Ordine, che sarà affidato a collegi esterni, terzi rispetto al consiglio regionale o nazionale”.
«Senza dubbio la precarizzazione della professione. Ricevo centinaia di lettere da collaboratori che mi raccontano di essere pagati 2/3 euro ad articolo. Questa fragilità economica crea solo giornalisti condizionabili sotto tutti i punti di vista, soprattutto da quello della correttezza dell’informazione. Ho cominciato a parlarne nel 2010, quando descrivevo che alcuni giornali pagavano 50 centesimi ad articolo su internet. Non è demagogia, la lotta al precariato in questa professione è centrale per una buona informazione. Invece non se ne occupa nessuno”.
“Con la carta deontologica di Firenze abbiamo cercato di dare forza alle persone perbene, anche a quei direttori che, per non essere sanzionati dall’Ordine, possono andare dall’editore e dire di non poter accettare che i collaboratori siano pagati 2 euro a pezzo. Atti come questi possono solamente dare forza ai colleghi e alla categoria. La professione oggi è significativamente cambiata. I giornalisti pubblicisti fanno quasi interamente i giornali. A parte i grandi quotidiani, in quasi tutti i giornali ci sono almeno l’80% dei collaboratori pubblicisti, talvolta senza garanzie. Quando feci l’esame da professionista guadagnavo 198 mila lire al mese e ne pagavo 115 di affitto. Ero già sposato e mi stava per arrivare un figlio. Il salto tra il praticante e il professionista avrebbe portato il mio stipendio a 300 mila lire nette. Ciò significava che superare l’esame e percepire l’indennità redazionale rappresentava una vera e propria boccata d’ossigeno. Altri tempi e altre garanzie. Oggi è importante rendere meno condizionabili i giornalisti, anche con dei giusti strumenti economici”.