Mentre i rischi naturali continuano a devastare le città siciliane, i Piani regolatori restano nei cassetti dei sogni: a Catania l’ultimo strumento risale all’anno dell’allunaggio (1969). Ispra: negli ultimi cinque anni il consumo di suolo ha provocato danni economici stimati in 20-25 mln
PALERMO – A Catania l’ultimo Piano regolatore risale all’anno dello sbarco sulla luna (1969). Pertanto, accanto a quel “piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”, espressione indimenticabile di Neil Armstrong, primo uomo a mettere piede sulla superficie lunare, merita di stare anche il primo e unico passo dell’uomo verso la pianificazione urbanistica del comune etneo, se si esclude la variante generale approvata nel 2015. Eppure la redazione di strumenti urbanistici all’avanguardia è fondamentale, soprattutto nelle aree ad elevato rischio naturale e, in particolare, per quello sismico, come dicono tutti gli esperti, e non a caso, dopo l’annuncio di settembre che aveva fatto intendere la priorità nella redazione dell’aggiornamento dello strumento urbanistico da parte della giunta etnea, a metà dicembre il sindaco Pogliese ha presentato le linee guida della revisione del Piano regolatore generale che avrà, tra i capisaldi, la rigenerazione urbana e l’adeguamento sismico.
Il problema, tuttavia, non è solo catanese perché riguarda buona parte della Sicilia e del Sud e non è certamente aiutato dalla cementificazione selvaggia e abusiva che non si ferma nemmeno nelle aree ad elevato rischio naturale. E, intanto, i siciliani tremano.
IL QUADRO NAZIONALE
Il bilancio, soprattutto al Sud, non è eccezionale. In generale si lamenta una scarsità e un ritardo di programmazione che è confermato anche dall’Ispra all’interno dell’edizione 2018 del Rapporto Ispra-Snpa “Qualità dell’Ambiente Urbano” che è stato presentato a dicembre. “Purtroppo ci sono Regioni del sud/isole nelle quali lo sviluppo della pianificazione locale verso i nuovi indirizzi di carattere strategico-ambientale è in ritardo per la gran parte dei Comuni: Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata, Sicilia hanno Prg di vecchia generazione”.
NON SOLO CATANIA
Il centro etneo è il punto più basso della programmazione urbanistica isolana. Ma anche gli altri non è che stiano proprio in grande forma. A Trapani c’è un Prg del 2010, a Palermo, sebbene sia una priorità dell’amministrazione Orlando, c’è una variante generale al Prg approvata nel 2004, così pure a Messina, nel 2002 e nel 2003. Più recenti sono a Caltanissetta, con una variante del 2005, e poi Ragusa, che ha un Prg approvato con determina dirigenziale del 2006 e Siracusa che si spinge fino al 2007. Soltanto il Comune di Enna si colloca in tempi recenti, con un Prg approvato con delibera del Commissario ad acta n.108 del 2017.
E IL CEMENTO SBRANA IL SUOLO
Il rapporto “Territorio, processi e trasformazioni in Italia”, sempre targato Ispra, ha certificato che in Sicilia, tra il 2012 e il 2017, le superfici artificiali e le costruzioni sono cresciute dell’1,26%, un dato superiore al livello medio nazionale (1,09%) e nell’elenco delle prime sei regioni d’Italia per crescita. Resta impressionante l’impatto del suolo abusivo – l’indice di abusivismo edilizio (costruzioni abusive per 100 costruzioni a uso residenziale autorizzate dai Comuni) ha toccato nell’Isola il dato record di 57,7 – mentre è ancora minimo il rispetto delle ordinanze di demolizioni. Queste ultime sono state complessivamente 6.637, considerando il periodo che va dal 2004 al 2018, ma soltanto poco più di mille risultano eseguite (dati Legambiente).
CONSUMO SUOLO DELETERIO ANCHE PER L’ECONOMIA
L’Ispra spiega che i servizi ecosistemici (Se) vanno “intesi come i benefici che il capitale naturale offre all’uomo”. Si tratta, in altri termini, di valori concreti che agiscono direttamente sulla qualità dell’ambiente urbano, come la regolazione del microclima, lo stoccaggio del carbonio e negli aspetti della regolazione del regime idrologico. In Sicilia, tra il 2012 e il 2017, la perdita dei servizi ecosistemici nei nove comuni capoluogo ha comportato la perdita di una somma compresa tra 19 e 25 milioni di euro, cioè tra 3 e 4 milioni di euro all’anno.
Voragini urbane, anche Palermo tra le città italiane più “bucate”
PALERMO – Il record delle voragini urbane spetta di diritto a Roma, ben 136 negli ultimi 10 mesi del 2018. Si chiamano sinkholes e sono le voragini che coinvolgono piste, strade, edifici, parchi o giardini dando origine ad aperture che mettono in luce ampie cavità di diametro e profondità variabili. E può pure capitare che gli sprofondamenti che si originano al di sotto delle fondazioni di edifici non siano sempre immediatamente individuabili, agendo pertanto in silenzio fino a compromettere l’intera struttura o a determinare il crollo dell’edificio.
Tra le città più colpite, considerando il periodo che va dal 1960 all’agosto del 2018, c’è anche Palermo, con 72, ma spiccano le 562 di Napoli e le 150 di Cagliari. Non mancano le altre isolane. La seconda sul podio è Messina con 29, seguita da Siracusa e Agrigento a 13, poi Catania a 7 e quindi Caltanissetta a 5 e poi Enna e Trapani a 4.
Secondo quanto riportato dall’Ispra, questi fenomeni, che interessano principalmente le città del centro sud, derivano soprattutto dagli eventi piovosi intensi, mentre soltanto una scarsissima percentuale è stata registrata in occasione di terremoti.
A Catania “divorati” suolo e oltre 6 milioni di euro
PALERMO – A causa del consumo di suolo, il territorio del Comune di Catania, considerando il periodo che va dal 2012 al 2017, ha perso un valore compreso tra 5,2 e 6,6 milioni di euro, circa un milione di euro all’anno. I valori più elevati sono stati legati alla regolazione del regime idrologico, che, secondo le stime, toccherebbe fino a un massimo di 5,8 milioni di euro. A Ragusa, invece, ci sarebbero stati 1,3 milioni di euro persi nell’ottica della produzione agricola.
A livello nazionale, il comune più coinvolto nella perdita dei servizi ecosistemici è stato quello di Roma, con valori compresi tra 24,5 e 30,3 milioni di euro, con preponderanza, anche in questo caso, della regolazione del regime idrologico che varrebbe tra 23 e 27 milioni di euro. Valori assai più contenuti anche per una big nazionale come Milano, che ha limitato le sue perdite a un valore compreso tra 6,5 e 8 milioni di euro.
Il calcolo della perdita di servizi ecosistemici dell’Ispra prende in considerazione quanto il consumo di suolo brucia economicamente rispetto ai valori della produzione agricola, stoccaggio e sequestro del carbonio, produzione legnosa, qualità degli habitat, impollinazione, erosione, regolazione del microclima, regolazione del regime idrologico, infiltrazione dell’acqua, purificazione dell’acqua.