In ballo anche il ruolo degli operatori pubblici e privati, questione connessa alla riforma del sistema provinciale e alla modifica dell’assetto costituzionale. Simoncini nell’audizione alla Camera: “Occorre superare eventuali inefficienze e l’eccessiva frammentazione nell’erogazione”
ROMA – La Conferenza delle Regioni nel corso dell’Audizione alla Camera di giorno 19 febbraio, ha messo in evidenza che le problematiche in merito alla gestione dei servizi per il mercato del lavoro, e dunque in merito alla questione del ruolo degli operatori pubblici e privati, sono direttamente collegate alla profonda riforma del sistema che si sta vivendo nell’immediato, attraverso sia il riordino del sistema provinciale che la modifica dell’assetto costituzionale.
Gianfranco Simoncini, coordinatore della materia lavoro per la Conferenza delle Regioni ha dichiarato: “Occorre superare le eventuali inefficienze e l’eccessiva frammentazione nell’erogazione delle politiche attive. Ma bisogna anche dire che i Centri per l’impiego hanno finora retto, garantendo servizi nonostante la scarsa dotazione di personale. Inoltre c’è anche il rischio che l’attuale personale ai servizi per il lavoro si riduca, facendo scelte verso la formazione, vista l’indeterminatezza dell’attuale riordino. Non condividiamo pertanto un riassetto costituzionale che espropria le politiche attive allontanando questi servizi dalle esigenze del territorio”.
Simoncini ha quindi evidenziato le disparità rispetto al resto d’Europa, facendo paragoni empirici tra le varie nazioni: “In Italia abbiamo un operatore ogni 250 utenti, mentre in Gran Bretagna un operatore su 19 disoccupati, un operatore su 54 utenti in Francia e uno su 28 utenti in Germania. La spesa pubblica per il sistema dei servizi per il lavoro in percentuale sul PIL è pari a 0,25% in Francia, a 0,35 % in Germania e 0,21 nel Regno Unito, mentre la percentuale dell’Italia è sullo 0,03% del Pil. Da qui l’esigenza di un forte investimento finanziario sui servizi per il lavoro che non può essere la soluzione tampone, per altro di difficile attuazione, prevista nella legge di stabilità che prevede di utilizzare l’Fse anche per il personale a tempo indeterminato”.
Continua Simoncini: “Le Regioni propongono un modello di sistema nazionale del lavoro, fondato su un’Agenzia nazionale per l’Occupazione e su una rete di agenzie regionali, deputate alla gestione sul territorio degli interventi di politica attiva e capaci di integrarsi con le strutture private, valorizzandone il contributo”.
Simoncini dunque non si mostra contrario a un organismo nazionale di coordinamento per verificare la qualità delle prestazioni regionali offerte sul territorio, ma bisogna pure salvaguardare e valorizzare i sistemi regionali che hanno costruito sistemi efficienti. E continua: “Ogni processo di riorganizzazione richiede comunque risorse umane preposte ai servizi per il lavoro e modelli territoriali per offrire un adeguato livello di servizi. Un patrimonio già presente e che non si può disperdere.
Ora lo spostamento costituzionali delle competenze sulle politiche attive per il lavoro a livello nazionale, senza alcun ruolo per le Regioni, non favorisce di certo un processo riorganizzativo sul territorio. Quando invece far rimanere la competenza regionale per le politiche attive del lavoro garantirebbe un miglior sostegno ai sistemi economici locali. La stessa formazione professionale è funzionale allo sviluppo economico locale. In tal senso l’attuale riscrittura della legge costituzionale appare incomprensibile. Lo stesso riordino del sistema provinciale non deve portare ad una nuova centralizzazione delle politiche attive sul territorio. Siamo pertanto contrari a questa nuova centralizzazione in atto”.
Si vuole dunque garantire coerenza all’ordinamento, mantenendo sul territorio le politiche del lavoro, non disgiunte dalle politiche formative e di sostegno ai sistemi economici locali. Pare dunque questo il sistema più efficace su cui lavorare per migliorare i servizi del mercato del lavoro e quelli alle imprese. Le Regioni intendono pertanto rilanciare la propria funzione sul tema dell’organizzazione dei servizi per il lavoro, a partire dalla condivisione con l’amministrazione centrale.
Dunque il modello di governance che propongono le Regioni è un Sistema nazionale del lavoro, basato sulla necessità di un quadro di riferimento comune a livello nazionale che può essere declinato a livello territoriale, nel rispetto dei Livelli Essenziali delle Prestazioni che devono valere, senza discriminazioni, su tutto il territorio nazionale.
Il modello dovrebbe prevedere la funzione di programmazione e gestione dei servizi in capo alle Regioni che sono responsabili dell’organizzazione degli interventi sul territorio, con il coinvolgimento degli operatori pubblici e privati accreditati.
In questo modello sono ben definite le competenze e i compiti integrati dello Stato e delle Regioni, a partire dall’attribuzione al livello centrale dei compiti relativi alla garanzia, verifica e controllo a livello centrale dei Lep e degli standard dei servizi, che siano comprensivi del personale preposto e delle risorse finanziarie necessarie alla sostenibilità del sistema, tenendo conto dei processi riorganizzativi in atto, e del mantenimento in capo alle Regioni delle politiche attive.