Sicilia, un giorno per celebrare l’Ambiente e 364 per cementificarlo - QdS

Sicilia, un giorno per celebrare l’Ambiente e 364 per cementificarlo

Sicilia, un giorno per celebrare l’Ambiente e 364 per cementificarlo

sabato 06 Giugno 2020

Ispra: nel biennio 2017-2018 consumati nell'Isola 28 ettari di suolo in aree vincolate. Litorale “privato”: cementificato il 29% della fascia costiera entro i 300 metri dal mare

PALERMO – Ieri si è celebrata la Giornata mondiale dell’ambiente, un evento istituito addirittura nel 1972 dalle Nazioni unite, ma da allora non si sono fatti grandi passi avanti per l’ecosistema, anzi si è continuato a cementificare, inquinare e devastare la biodiversità. Sul banco degli imputati c’è anche la Sicilia, dove il consumo di suolo non si è fermato nemmeno in anni recenti.

Qualche giorno fa è stato pubblicato l’ultimo rapporto dell’Ispra, il Centro studi del ministero dell’Ambiente e i dati per la nostra regione sono tutt’altro che confortanti: nel corso del 2018 la percentuale di territorio ricoperta dal cemento è cresciuta dello 0,16% rispetto all’anno precedente e, pur restando inferiore rispetto al dato nazionale (0,21%), preoccupano i dati relativi alle fasce costiere e alle aree vincolate che, invece, risultano più elevati della media italiana. Complessivamente, a livello nazionale, il consumo di suolo avanza a 2 metri quadrati al secondo, determinando la perdita irrimediabile di 23 mila kmq a livello nazionale.

AREE A VINCOLO E COSTA
Nel biennio 2017-2018, la Sicilia ha fatto registrare un incremento, nelle aree vincolate, di circa 28 ettari di consumo di suolo (+0,13%) per una percentuale di suolo consumato pari al 7,04% del suo territorio, un punto percentuale in più rispetto al dato nazionale. Numeri preoccupanti anche per il suolo consumato per classe di distanza dalla costa. Nella fascia entro i 300 metri registra una percentuale del 28,8% (la media nazionale si ferma a 23,4%), in quella tra 300 e i 1.000 è di 24,9% (19,7%), tra 1 km e 10 km a 10,7% (9,3%).

DEGRADO DEL SUOLO
La Sicilia risulta essere, assieme a Lazio, Puglia e Veneto, tra le regioni maggiormente coinvolte nei processi di degrado del suolo (fenomeno complesso causato da molteplici fattori che limitano o inibiscono le funzioni produttive, regolative e fruitive, nonché i servizi ecosistemici) considerando il periodo compreso tra il 2012 e il 2018. Il processo di degrado del suolo è degenerativo e irreversibile, e può essere causato dall’uomo o dalle sue attività. Esso può portare alla totale scomparsa o in una perdita della sua fertilità sotto l’aspetto fisico-meccanico, chimico e biologico.

L’APPROCCIO UNCCD
Secondo l’approccio Unccd, che prende in considerazione i vari sub-indicatori (cambiamento di copertura del suolo, perdita di produttività, perdita di carbonio organico, perdita di qualità degli habitat, aumento della frammentazione, aree di impatto potenziale, densità delle coperture artificiali, incremento degli spazi naturali di dimensioni inferiori a mille mq, superfici percorse dal fuoco), il peggioramento anche di uno solo di questi è “sufficiente – si legge sul rapporto – per evidenziare un sintomo di degrado”. In particolare, complice anche l’estesa artificializzazione, le regioni che registrano il maggiore peggioramento, tra il 2012 e il 2018, sono Sicilia, Lazio, Veneto e Puglia con “oltre il 30% di territorio in degrado”.

La stima della superficie “degradata a livello nazionale nello stesso intervallo di tempo per una o più cause: quasi 10.000 kmq (oltre il 3% del territorio nazionale) sono stati degradati da più di due fattori mentre quasi 800 kmq da almeno tre, ponendo questi territori tra le aree da tenere maggiormente sotto controllo”. Nel grafico relativo alla percentuale di superficie degradata per almeno un fattore, tra il 2012 e il 2018, la Sicilia risulta essere la prima d’Italia, quasi appaiata con la Campania, con un dato che supera il 35%.

Geologi: necessario tutelare le aree verdi

ROMA – L’isolamento cui siamo stati costretti durante la crisi sanitaria ci ha fatto riscoprire l’importanza degli spazi verdi e del verde pubblico urbano come parchi e giardini. Proprio le aree verdi, le foreste e gli ambienti naturali, fondamentali per il mantenimento e la vita delle biodiversità, sono messi a rischio dall’elevato consumo di suolo che, secondo l’Annuario dei dati ambientali 2019 dell’Ispra, è cresciuto in Italia al ritmo di 2 metri quadri al secondo fra il 2017 e il 2018, cementificando o asfaltando 23.000 km2. “L’azione dei geologi deve essere rivolta all’uso consapevole del suolo, alla cura del territorio e alla difesa e mitigazione dei rischi derivanti dal dissesto idrogeologico”, afferma Vincenzo Giovine, vice presidente del Consiglio nazionale dei geologi e coordinatore della Commissione “Ambiente” del Cng.
“Occorre – aggiunge – procedere nel difficile percorso di decarbonizzazione intervenendo con investimenti importanti stimati in 130 mila miliardi di dollari per avviare e diffondere l’uso delle energie rinnovabili: dal solare, all’eolico fino al geotermico per innescare un processo virtuoso che ci consenta entro il 2050, a livello globale, di tagliare il 70% delle emissioni di anidride carbonica”.

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