Contagi e sovraffollamento al 106%, il carcere alla prova della Fase due - QdS

Contagi e sovraffollamento al 106%, il carcere alla prova della Fase due

Contagi e sovraffollamento al 106%, il carcere alla prova della Fase due

martedì 11 Agosto 2020

Il report della Fondazione Antigone: registrati 287 casi di Covid negli istituti penitenziari. Ripresi i colloqui familiari e le attività all’aperto ma in tanti casi mancano persino i posti letto

ROMA – I casi totali di contagio da coronavirus nelle carceri italiane fino al 7 luglio (dato disponibile più recente) sono stati 287 con un picco massimo nella stessa giornata di 161. Un numero contenuto, ma da non sottovalutare: in rapporto al totale della popolazione detenuta è infatti superiore, sebbene di poco, al tasso di contagio nel resto del Paese. È quanto emerge dal rapporto di Antigone di metà anno “Il carcere alla prova della fase 2” (che ha monitorato 30 istituti: 6 in Lombardia, 5 in Sicilia, 5 in Lazio e 5 in Campania, 2 in Puglia, 2 in Toscana, 2 in Piemonte, 2 in Umbria ed 1 in Calabria). Focolai si sono riscontrati a Saluzzo, Torino, Lodi (poi trasferiti a Milano), Voghera, Piacenza, Bologna e Verona. Lunghi alcuni decorsi della malattia, che hanno raggiunto anche i tre mesi. Per il coronavirus hanno perso la vita in tutto 4 detenuti, 2 agenti di polizia e due medici penitenziari.

RIPRESI OVUNQUE I COLLOQUI FAMILIARI
“Nella misura minima di uno al mese, i colloqui in presenza con i familiari nei penitenziari italiani sono ripresi ovunque ed in effetti solo in sei tra gli istituti monitorati, per lo più in Lazio ed Umbria, ci si è limitati alla misura minima prevista dalla legge. Nel 60% la ripresa dei colloqui è stata più ampia, consentendo generalmente due colloqui al mese”. I colloqui vengono effettuati adottando diverse misure di prevenzione (separazioni in plexiglass, mascherine, controllo della temperatura, etc.) ma varia significativamente il numero delle persone ammesse a colloquio. Molto spesso è consentito l’accesso ad un solo familiare ma in alcuni istituti i familiari possono essere due, un adulto ed un minore (ad es. a Lecce, Caltagirone o Regina Coeli) o 3 come a Viterbo. Nonostante la ripresa dei colloqui in 19 istituti, il 63% del nostro campione, si continuano a concedere telefonate oltre i limiti in vigore prima della pandemia. Quanto alle videochiamate, sostanzialmente vengono effettuate ancora in tutti gli istituti oggetto del monitoraggio (86,7%). Nella maggior parte di questi però sono di fatto divenute alternative ai colloqui con i familiari, cumulabili con questi e conteggiati nel numero massimo di colloqui consentito. In pratica sta attualmente ai detenuti ed ai loro familiari decidere se preferiscono fare il colloquio in presenza o una videochiamata. “Sarebbe auspicabile – evidenzia Antigone – che, visto il buon esito della misura e gli scarsi problemi di sicurezza incontrati, le videochiamate si aggiungessero ai colloqui visivi e non fossero alternativi a questi”.

Nella maggior parte degli istituti monitorati sono riprese anche le attività che presuppongono l’ingresso di persone dall’esterno ma in 7 (il 23%) continua a non entrare nessuno da marzo o quando qualcuno entra, come a Prato, a Monza o a Siracusa per il rifornimento del magazzino vestiario per i detenuti indigenti, non ci sono comunque contatti con i detenuti. Dove i volontari entrano vengono comunque spesso (ma non sempre) contingentati i numeri e sono in ogni caso attuate tutte le misure necessarie per la prevenzione dei contagi.

Quanto ai permessi, “ci risulta – sottolinea Antigone – che i detenuti siano tornati ad uscire nel 60% degli istituti monitorati. Variano però molto le misure adottate al rientro in carcere. In molti istituti (ad es. Pavia, Velletri, Civitavecchia) al rientro vengono effettuati 14 giorni di quarantena, cosa che scoraggia molti detenuti ad usufruire dei permessi. In altri casi, come in Puglia, i detenuti una volta rientrati sono sottoposti a isolamento fiduciario di 72 ore. Vengono poi sottoposti al tampone il cui esito arriva nell’arco di qualche ora. E a questo punto, se negativi, rientrano in sezione”.

A FINE LUGLIO SOVRAFFOLLAMENTO AL 106%
Anche a fine luglio è rimasto sostanzialmente stabile il numero dei detenuti presenti nelle carceri italiane che sono 53.619 (a fine aprile erano 53.904). Nonostante l’emergenza coronavirus abbia portato ad una riduzione del numero delle madri detenute con i loro figli con meno di tre anni, si trovano ancora reclusi 33 bambini con le loro 31 madri (15 straniere e16 italiane). Otto bambini si trovano a Torino, 6 a Rebibbia femminile e 7 nell’Icam di Lauro, in Campania. Il tasso di affollamento ufficiale, spiega Antigone, si ferma per ora al 106,1% (era del 119,4% un anno fa) ma in ben 24 istituti supera ancora il 140% ed in 3 si supera il 170% (Taranto con il 177,8%, Larino con il 178,9%, Latina con il 197,4%). Il reale tasso di affollamento nazionale è inoltre superiore a quello ufficiale in quanto alcune migliaia di posti letto non sono attualmente disponibili a causa della chiusura dei relativi reparti. In un anno le presenze sono calate in media dell’11,7% ma il dato a livello regionale è molto disomogeneo: -19,8% in Emilia-Romagna, -15,2% in Campania, -13,9% in Lombardia, -11,0% in Piemonte, -7,4% in Sicilia, -7,3% in Veneto. Le Marche sono l’unica regione in Italia in cui la popolazione detenuta è nell’ultimo anno aumentata, con una crescita dell’1,1%. Le donne detenute sono oggi 2.248, il 4,2% dei presenti. Un anno fa erano il 4,4%: il calo di questi mesi ha inciso su di loro in misura superiore alla media dei detenuti. Il 75% è allocato in sezioni femminili all’interno di carceri maschili, ‘‘cosa che limita lo svolgimento di attività’’. Le straniere sono 793, il 35% del totale delle donne detenute.

Associazione di stampo mafioso: in carcere più di 7 mila detenuti
Sono aumentati i detenuti per i reati più gravi. I presenti in carcere con una condanna definitiva superiore ai 10 anni, ergastolani inclusi, erano a fine giugno 2019 il 26,8% del totale. A fine giugno 2020 erano il 29,8%. Al 30 giugno erano 7.262 i detenuti reclusi per associazione di stampo mafioso (416-bis): soltanto 128 erano donne e 176 stranieri. Al 6 novembre 2019, ultimo dato ufficiale disponibile, le persone al 41bis erano 747 (735 uomini e 12 donne), a cui devono aggiungersi 7 internati, per un totale di 754 persone distribuite in 11 istituti penitenziari della Penisola, con una sola sezione femminile e una casa di lavoro per persone in misura di sicurezza.

Il 19,1% dei detenuti ha un residuo pena inferiore ad un anno, il 52,6% deve ancora scontare meno di tre anni, spiega Antigone. Queste percentuali salgono molto per i detenuti stranieri, arrivando rispettivamente al 26,3% ed al 66,6%. Aumenta anche l’età media. I detenuti con più di 50 anni erano il 25,2% a fine giugno 2019 mentre un anno dopo erano il 25,9% dei presenti.

Un anno fa, a fine luglio 2019, i definitivi erano il 68,6% dei presenti (il 64,5% tra i soli stranieri). A fine aprile 2020, calate notevolmente le presenze in carcere, i definitivi erano il 68,8% dei presenti (il 66% dei soli stranieri). Nonostante le misure deflattive previste riguardassero solo i detenuti con una condanna definitiva, la percentuale di persone in custodia cautelare in questo intervallo era addirittura leggermente calata, ed il calo era più significativo tra gli stranieri. A fine luglio 2020 aveva una condanna definitiva il 66,8% dei presenti (il 64,8% tra i soli stranieri).

In pochi mesi dunque, nonostante la popolazione detenuta nel suo complesso sia sostanzialmente invariata, continuano a calare i definitivi ma aumentano le persone in custodia cautelare, segno che sono tornati ad aumentare gli ingressi in carcere – sottolinea Antigone – In particolare tra gli stranieri, come accaduto in passato ogni volta che tornava a crescere la popolazione detenuta, e probabilmente a breve i segni di questa crescita si faranno più evidenti”.

Stranieri in calo, solo il 32%. In Sicilia appena il 17,9%

Sono 17.510 gli stranieri in carcere al 30 giugno 2020, per una percentuale pari al 32,7% del totale della popolazione detenuta. Tale percentuale raggiungeva il 37% nel 2008, quando (al 31 dicembre) gli stranieri detenuti erano 21.562. La presenza è in forte calo negli ultimi 12 anni.
Al 30 giugno 2020 i 5 istituti penitenziari con il maggior numero di detenuti stranieri in termini assoluti erano: la Cc di Torino (629 detenuti stranieri, 47,7% sul totale), la CC di Milano San Vittore (514 detenuti stranieri, 59,2 % sul totale), la CC di Roma Regina Coeli (502 detenuti stranieri, 51% sul totale), la Cc Firenze Sollicciano (495 detenuti stranieri, 65,9% sul totale) e la Cc di Roma Rebibbia Nc (461 detenuti stranieri, 32,6% sul totale). Di questi 5 istituti solo Firenze Sollicciano rientra tra i primi dieci con la più alta concentrazione in percentuale di stranieri, attestandosi al settimo posto. I primi cinque istituti per percentuale di stranieri sono due case di reclusione sarde, Arbus Is Arenas dove l’81,9% dei detenuti è di nazionalità non italiana e Onanì dove gli stranieri rappresentano l’81,3% del totale dei reclusi. A seguire le case circondariali di Aosta (68,8%), Padova (67,4%) e Bolzano (67%).

Le cinque regioni con la più alta presenza in percentuale di stranieri detenuti negli istituti penitenziari sono la Valle d’Aosta (68,8%), il Trentino Alto Adige (63,6%), la Liguria (54%), il Veneto (53,2%) e la Toscana (49,7%). Sono comunque ben sopra la media nazionale (al 32,7% il 30 giugno 2020) l’Emilia-Romagna (49%), la Lombardia (43,4%), il Friuli Venezia Giulia (41,7%) ed il Piemonte (40,4%). Ben al di sotto della media nazionale la Calabria (19,2%), l’Abruzzo (18,4%), la Sicilia (17,9%), la Campania (14,1%), la Puglia (13,7%) e la Basilicata (11,7%). Per quanto riguarda le nazionalità più rappresentate all’interno dei nostri istituti di pena andiamo a distinguere tra popolazione reclusa maschile e femminile. Per quanto riguarda gli uomini, le cinque nazioni straniere più rappresentate sono (le percentuali sono da riferirsi sul totale dei detenuti non italiani): il Marocco (18,6%), la Romania (12%), 4 l’Albania (11,9%), la Tunisia (10%), la Nigeria (8,5%). Discorso diverso per le donne straniere che rappresentano il 35,5% delle donne recluse al 30 giugno 2020. Tra le straniere troviamo al primo posto la Romania con il 23% di recluse sul totale delle straniere, poi la Nigeria (19,4%), la Bosnia-Erzegovina (4,8%), il Marocco (4,6%) e il Brasile (4,3%).

Mediamente i detenuti stranieri sono più giovani degli italiani. Al 30 giugno 2020 avevano tra i 21 e i 44 anni il 79,2% dei detenuti stranieri, contro il 50,7% dei detenuti italiani. Gli stranieri tra i 18 e i 20 anni sono il 2% dei detenuti stranieri totali (gli italiani lo 0,8%). Per quanto riguarda la posizione giuridica dei detenuti stranieri, al 31 luglio 2020, gli stranieri in custodia cautelare sono il 34,7% degli stranieri presenti, a fronte del 31,5% degli italiani. Per gli stranieri il ricorso alla custodia cautelare è evidentemente più frequente. Gli stranieri commettono reati meno gravi che vengono puniti con pene mediamente più basse. Il 57,8% dei detenuti stranieri condannati ha una pena inflitta inferiore o uguale a 5 anni. Per gli italiani questa percentuale è del 35%.

Nel 2020 già 34 suicidi

In carcere nel 2019 ci si è tolti la vita 13,5 volte di più che all’esterno. Nel 2019 sono stati 53 in totale i suicidi negli istituti penitenziari italiani per un tasso di 8,7 su 10.000 detenuti mediamente presenti, a fronte di un tasso nel paese di 0,65 suicidi su 10.000 abitanti. Secondo il Garante nazionale sono 34 i suicidi (18 italiani e 12 stranieri, su quattro non ci sono dati) che hanno avuto luogo dall’inizio del 2020 fino al 1 agosto (l’anno scorso in questo periodo erano stati 26). Il 20% di loro (6) aveva fra i 20 e i 29 anni (i due più giovani ne avevano solo 23), il 43% (13) ne aveva fra i 30 e i 39, per entrambe le fasce d’età 40-49 e 50-59 troviamo il 17% (5 e 5) dei suicidi, il detenuto più anziano aveva 60 anni.Il 40% (12) dei suicidi è avvenuto in un istituto del Nord Italia, il 36% (11) al Sud e il 23% (7) al Centro. Il metodo prevalente per togliersi la vita è rimasto quello dell’impiccamento (26 persone).

“Ogni storia di suicidio è una storia di disperazione individuale. Ogni storia di suicidio non va risolta con il capro espiatorio, cioè prendersela con chi 10 minuti prima non ha fatto l’ultimo controllo: il poliziotto di sezione quasi sempre non ha nessuna responsabilità. Non ci dobbiamo accanire con chi non ha impedito il suicidio ma con chi non ha tolto la voglia di suicidarsi, che è ben altra cosa”, sottolinea Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, citando il caso di Jhonny Cirillo, il 25enne rapper di Scafati che si è suicidato nel carcere di Furoni a Salerno. Il ragazzo era stato arrestato dopo una rapina in una farmacia.

“Il giovane – aggiunge – non era un pericolo per la sicurezza, nel suo caso il carcere è stata la risposta burocratica al disagio. Il sistema si interroghi intorno alla sofferenza”.

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