Ferrari, Tod’s, Prada ed altri aumentano sempre di più le esportazioni, soprattutto nei Paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), ma anche in altri emergenti come Messico e Nigeria.
Non secondarie sono le esportazioni di macchinari industriali e civili, rinomati nel mondo per la loro alta tecnologia e precisione, nonché apparecchi astronomici, aeronautici e militari.
Insomma, un pezzo importante dell’Italia che funziona bene e che sta trainando il Pil, anche se esso non progredisce, essendo anzi regredito in questi sei anni di crisi, di quasi il 10%.
C’è da chiedersi che cosa non funzioni: l’immensa risorsa di cinque milioni di piccole e medie imprese vessate e soffocate da un’imposizione insopportabile; e una burocrazia ottusa, che dice sempre di “no”, tanto gli stipendi dei pubblici dipendenti arrivano puntualmente ogni mese nei loro conti correnti. Se ne possono altamente fottere di imprenditori e cittadini ai quali negano i provvedimenti richiesti in tempi europei.
Ed è proprio la palla al piede della burocrazia, che comprende la giustizia (o meglio l’ingiustizia), la quale emette sentenze non in un anno, ma in dieci e forse più.
Enorme tassazione, giustizia lenta, costo dell’energia maggiore di un terzo rispetto alla media europea, burocrazia perniciosa e classe dirigente inadeguata ai propri compiti respingono gli investimenti stranieri che in queste condizioni sarebbero indispensabile leva per fare accelerare un poco la ruota economica.
E proprio per dare soluzioni a questi problemi che contiamo su Matteo Renzi, il quale dovrà svolgere un’azione rapida per fare le riforme in tempi brevissimi. Oppure diverrà anch’egli un dinosauro.
In Sicilia, vi è un concentrato di beni culturali e archeologici, ma anche il clima temperato e soleggiato del Mediterraneo, le proprie coste (quelle non deturpate), quattro parchi naturali, decine di riserve marine e terrestri, luoghi incantevoli e caraibici. Tutti potrebbero fare diventare la nostra Isola una delle prime regioni d’Europa.
Ma una classe politica di infimo ordine e una classe dirigente quasi disinteressata allo sviluppo l’hanno fatta regredire al 235° posto in Europa, un’autentica vergogna.
Invece, bisognerebbe apporre il marchio Sicilia su tutti i prodotti di qualità, non solo agricoli, e su tutti i servizi di qualità di ogni genere. Per fare questo, la Regione dovrebbe istituire l’ufficio del brand Made in Sicily.
Tale ufficio, condotto e gestito da dirigenti onesti e capaci (nella Regione ve ne sono decine), dovrebbe rilasciare il citato marchio dopo rigorose procedure di verifica corrispondenti a requisiti ineccepibili che dimostrino la qualità dei predetti prodotti e servizi.
Dopo di che, la Regione dovrebbe fare una massiccia campagna stampa a livello nazionale ed internazionale, con una road map per presentare il Brand Sicilia nelle maggiori capitali del Brics e delle prime venti nazioni per Pil nel mondo.
Il Brand Sicilia potrebbe essere rilasciato anche a congressi e convegni nazionali e internazionali che avessero le caratteristiche qualitative inserite in un apposito protocollo.
Ecco di cosa si dovrebbe occupare il presidente della Regione, cessando di parlare e straparlare, organizzando un percorso efficiente con l’obiettivo di far aumentare il Pil della Sicilia di almeno un punto all’anno e i pernottamenti di visitatori di almeno il 10 per cento all’anno, fino a un primo traguardo di trenta milioni.
Ma ognuno può dare quello che ha e se il presidente non ha capacità, nulla può fare. E si vede!