Il presidente nazionale dei giovani imprenditori Riccardo Di Stefano: “Bonus e task force non ci servono. Meglio rinunciare al Recovery fund che sprecarlo. Meglio lasciarlo a disposizione di quei cittadini europei veramente capaci di dare futuro a questo Continente”
ROMA – Le lancette economiche dell’Italia “sono tornate indietro di 23 anni, lo abbiamo detto. Ora bisogna riscrivere questa storia, senza lasciare indietro nessuno”. Ad affermarlo è il presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, Riccardo Di Stefano, in occasione del tradizionale convegno d’autunno degli industriali under 40.
Convegno che, per via della pandemia da Covid-19, è stato spostato dalla tradizionale cornice di Capri all’Auditorium della Tecnica di Roma.
Con un calo del Pil del 10% quest’anno e un recupero parziale del 4,8% l’anno prossimo, “non facciamoci illusioni: torniamo indietro di 23 anni. Perderemo 410mila occupati nel 2020 e 230 mila nel 2021. Sono numeri preoccupanti, che chiedono al Governo di lavorare con le imprese per garantire una ripresa rapida e facilitare le nuove assunzioni”.
I Giovani Imprenditori hanno scelto di aderire “al Patto per l’Italia lanciato dal Presidente Bonomi. Lo facciamo perché sappiamo che gli imprenditori del futuro non ci perdonerebbero di aver rinunciato a salvare il nostro e il loro Paese”. Tuttavia, “quello che vediamo è il racconto di un Paese che vorrebbe correre, ma rimane ancora impantanato col bonus bici. Una storia che scriveranno i nostri connazionali, quando riusciremo a farli tornare qui a fare impresa e carriera. E con loro i talenti del mondo, che sceglieranno l’Italia come paese adottivo”, ha aggiunto Di Stefano.
Sul Recovery Fund il presidente Di Stefano non usa mezzi termini: “Meglio rinunciare al Recovery fund che sprecarlo. Meglio lasciarlo a disposizione di quei cittadini europei veramente capaci di dare futuro a questo Continente, piuttosto che tramutarlo nell’ennesima spesa improduttiva”.
Per Di Stefano, occorre superare l’italica passione per task force e super esperti. Ogni roboante annuncio sul taglio della spesa pubblica porta con sé una task force o un supercommissario. Basta, insomma, con la ‘taskforsite’: “servono strutture e responsabilità chiare. Non discutiamo le buone intenzioni, ma non vorremmo che il proliferare di comitato tecnici rallentasse le procedure. Il Paese non ha più tempo. Nelle nostre aziende, quando si scelgono i progetti si discute e poi si realizzano”.
Bisogna partire “dai settori del Made in Italy che stanno pagando il prezzo più alto della crisi. Tra questi, turismo, moda, cultura. Consentitemelo: il bonus vacanze è uno degli esempi di dadaismo economico di questo Governo; 2,4 miliardi allocati ma utilizzati in minima parte. Il turismo vale il 13% del Pil ed è stato gravemente colpito. I bonus non bastano, perché ci aspettano ulteriori cali del 50% del fatturato”.
Un Governo “attento dovrebbe ora investire per trasformare il turismo estivo sulle coste italiane in un dato strutturale. Altro capitolo è la crisi del tessile, che durerà purtroppo ancora a lungo e di certo il prossimo bonus, magari per lo shopping tricolore, non sarà sufficiente a contrastare la flessione del 20% dell’export”, ha spiegato.
Infine, le “industrie culturali e creative, più del 6% del Pil e 1 milione e mezzo di occupati. Durante il lockdown i musei hanno perso circa 80 milioni di euro; il cinema quasi 120, gli spettacoli musicali 350. Sono settori, questi, che da sempre animano il sogno della Dolce Vita e il brand Made in Italy, e per questo devono essere sostenuti. La politica dei bonus non è quello che serve al Paese!”, ha concluso.
Gli industriali under 40 hanno poi lanciato la loro proposta di riforma delle pensioni: step contribuitivi crescenti che “restino a zero per un biennio, e che poi aumentino gradualmente, con sgravi assicurati per almeno un quinquennio. “le riforme delle pensioni non si devono più fare pensando a chi esce dal mercato del lavoro, ma a chi ci entra. Basta con le riforme, le finestre, gli scaloni per andare in pensione prima. Proponiamo una modifica del sistema di contribuzione Inps a scaloni, questa volta non per uscire dal mercato del lavoro, ma per entrarci”.
Insomma, “se quota deve essere, almeno che sia quota giovani”, ha concluso Di Stefano.