Giuseppe Berretta: "Procedimenti giudiziari più snelli col decreto Fare" - QdS

Giuseppe Berretta: “Procedimenti giudiziari più snelli col decreto Fare”

Giuseppe Berretta: “Procedimenti giudiziari più snelli col decreto Fare”

sabato 28 Settembre 2013

Forum con Giuseppe Berretta, sottosegretario di Stato al ministero della Giustizia

Qual è l’intervento di maggiore urgenza su cui il ministero della Giustizia sta lavorando?
«La priorità per l’Italia su cui il governo deve intervenire con immediatezza e concretezza è il lavoro, tutti devono essere partecipi di questo sforzo perché il Paese possa intraprendere la via dello sviluppo e della coesione. La Giustizia è chiamata a dare un contributo di efficienza: migliorare i tempi della giustizia italiana è essenziale per attrarre investimenti. L’imprenditore, che deve ricorrere alla giustizia civile, come ogni cittadino avrà bisogno di una giustizia certa e veloce. Il sistema della giustizia civile è il “tallone d’Achille” del nostro sistema economico: siamo al 160° posto su 185 per “Risoluzione di dispute commerciali”.
Il “Decreto del Fare” ha introdotto una serie di misure per diminuire il numero dei procedimenti giudiziari in entrata, attraverso la mediazione obbligatoria per numerose tipologie di cause e l’istituzione di un contingente di 400 giudici onorari, per la definizione del contenzioso pendente presso le Corti di Appello. Nei prossimi 5 anni, le decisioni del Governo abbatteranno il contenzioso civile e porteranno a un impatto totale di maggiori processi definiti (più 950.000), minori sopravvenienze (100.000 in meno) e minori pendenze complessive (oltre 1.000.000 in meno).
Sono aperti numerosi altri fascicoli che arriveranno a conclusione entro i prossimi 12 mesi: la previsione di ulteriori limiti all’appello; il rafforzamento degli incentivi alla mediazione; la prosecuzione del percorso di telematizzazione della giustizia, rafforzando lo strumento del Processo civile telematico (Pct); il completamento delle banche dati sui singoli procedimenti presso ciascun ufficio giudiziario (ovvero i “data warehouses”), che consentirebbe una valutazione più rapida ed accurata delle misure già adottate e dei problemi già incontrati».
In queste settimane abbiamo assistito a numerose proteste, scatenate della riforma dei Tribunali. La ministra Cancellieri ha dichiarato che tale provvedimento porterà ad un risparmio di circa 80 milioni di euro. Pensa che la mappa sia stata tracciata in maniera equa e tale da assicurare una maggiore efficienza?
«Partiamo dai numeri confermando le stime del ministero di Giustizia che indicano in 80 milioni di euro il risparmio derivante dall’approvazione della riforma della geografia giudiziaria che ha ridisegnato una mappa vecchia di 150 anni. A poco più di una settimana dall’entrata in vigore della riforma i dati del ministero della Giustizia dicono che su 420 sedi toccate dalla riforma, solo 25 sedi, pari al 6 per cento del totale, stanno incontrando problemi di varia rilevanza.
In particolare 13 sedi accorpanti hanno problemi di spazio; 6 sedi accorpate hanno subito ritardi a causa delle manifestazioni di protesta e altre 6 hanno ricevuto azioni legali di opposizione al trasloco e al trasferimento del personale. Complessivamente, vista la vastità dell’operazione (soppressi 30 tribunali, 30 procure, 220 sezioni distaccate e 667 giudici di pace; recupero di 2.300 magistrati e oltre 7.000 amministrativi da impiegare in modo più efficiente) è stato un inizio più che incoraggiante. In base a queste prime cifre possiamo affermare che la riforma sta cominciando con il piede giusto: si tratta di una riforma epocale che non è stata facile da attuare, abbiamo ascoltato le ragioni di centinaia di amministratori, conosciamo ed abbiamo approfondito le problematiche legate ad ogni tribunale. Entro un anno avremo un quadro ancora più chiaro».
La riforma ha avuto ricadute locali, in particolare riguardo ai tribunali della nostra Isola.
«Da siciliano ho seguito con particolare attenzione le vicende dei Tribunali dell’Isola, perché la nostra è una regione in cui va mantenuta alta l’attenzione nella lotta alla criminalità ed ogni ufficio giudiziario rappresenta un imprescindibile presidio di legalità. Sulla vicenda di Nicosia ci sono dei segnali incoraggianti e di sicuro il caso sarà uno di quelli che saranno valutati dalla commissione per la valutazione della riforma istituita dal ministero della Giustizia. Ho seguito anche la vicenda del Tribunale di Ragusa, per cui è stato autorizzato, per un periodo di due anni, l’utilizzo dei locali ospitanti presso il tribunale di Modica per la trattazione degli affari civili ordinari pendenti e per la dislocazione del relativo archivio».
 
Per risolvere il sovraffollamento nelle carceri non servono solo nuovi istituti detentivi, ma anche, e soprattutto, le pene alternative al carcere. In primo luogo per quei reati che sono considerati minori.
«Siamo fortemente orientati a favorire il ricorso a pene sostitutive alla detenzione e una forte riduzione del ricorso al carcere in tutti quei casi in cui non è necessario. Per migliorare le condizioni dei detenuti siamo orientati a favorire l’inserimento lavorativo, inteso come strumento fondamentale di rieducazione e reinserimento sociale. Intendiamo assumere tutti i provvedimenti necessari per dare piena attuazione all’ordinamento penitenziario».

Cosa si intende fare per questo?

«Vanno introdotte nuove norme di depenalizzazione, e su questo il lavoro potrebbe presto giungere a buon fine, specie ricorrendo ancora di più alle misure alternative. Spesso nelle carceri si sono relegati i problemi che la società non riesce ad affrontare o preferisce rimuovere. L’immigrazione è uno di questi. Credo vada rivista la legge Bossi-Fini, che rappresenta uno di quei casi in cui si è cercato di governare con il carcere fenomeni più complessi. Sull’enorme numero di detenuti stranieri. Il Governo è fortemente impegnato perché sia possibile far scontare ai detenuti la pena nel proprio Paese d’origine, ma è una strada molto complessa poiché mancano gli accordi specifici con i singoli stati. Cominciamo dall’abrogazione della Bossi-Fini, per dimostrare che il carcere non può essere usato come strumento per governare l’immigrazione».
 


Diritti umani e referendum meglio leggi in Parlamento

I Radicali di Pannella stanno promuovendo 12 referendum che hanno come tema “i nuovi diritti umani e la giustizia giusta”: divorzio, immigrazione, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, libertà di scelta nella destinazione dell’8 per mille, tra gli altri. Qual è la sua opinione a riguardo?
«Secondo me vengono poste questioni serie che per anni sono state rinviate. Se il Parlamento intervenisse prima dei referendum, si risparmierebbero le risorse di una consultazione popolare e i parlamentari svolgerebbero il lavoro per il quale sono stati eletti. Meglio una legge che un referendum, sono necessari approfondimenti e competenze che non tutti i cittadini posseggono.
La Fini-Giovanardi, per esempio, è una di quelle norme approvate sull’onda emotiva di fenomeni percepiti come socialmente rilevanti ma che ha finito per provocare più problemi, a partire dal sovraffollamento carcerario, che soluzioni. Su questo e sulla Bossi-Fini il mio auspicio è che intervengano presto il Governo ed il Parlamento.
Penso che sulla custodia cautelare in carcere e sugli altri temi riguardanti la Giustizia  si debba intervenire e non per via referendaria. Serve una legge che riordini la materia della custodia cautelare e anche questa servirebbe a ridurre il sovraffollamento delle carceri. Così come penso sia necessario intervenire sulla responsabilità civile dei magistrati. E’ notizia di oggi (mercoledì 25 settembre, ndr) l’apertura, da parte della commissione europea, di una procedura d’infrazione contro l’Italia per i limiti posti alla responsabilità civile dei giudici nell’applicazione del diritto europeo.  Sono favorevole all’abolizione dell’ergastolo, il condannato deve avere la possibilità di redimersi.
Sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti sta lavorando il Parlamento. Si tratta di trovare un accordo sul tetto di donazione dei privati».
 


Il lavoro come strumento principale di rieducazione

Quali sono le azioni che potrebbero riequilibrare la condizione delle carceri nel Paese?
«Quella delle carceri è una situazione inammissibile, come ci ha più volte autorevolmente ricordato il Presidente Napolitano, è una questione di “prepotente urgenza costituzionale e civile”. Secondo l’ultimo rapporto del Consiglio d’Europa sulla popolazione carceraria, l’Italia è il Paese del Consiglio d’Europa con il maggior sovraffollamento nelle carceri: per ogni 100 posti ci sono 147 detenuti ed è terzo anche per numero assoluto di detenuti in attesa di giudizio.
Con il decreto sull’esecuzione della pena abbiamo dato una prima risposta ottenendo un alleggerimento del nostro sistema penitenziario, incidendo strutturalmente sui flussi carcerari in entrata, limitando gli ingressi in carcere e favorendo l’uscita dei detenuti non pericolosi.
Abbiamo cercato di raggiungere un punto di equilibrio tra le richieste di sicurezza dei cittadini e l’obiettivo del reinserimento sociale delle persone che hanno commesso reati. Il lavoro è stato individuato come lo strumento principale di rieducazione e molto significativo è l’ampliamento delle possibilità di utilizzare, a titolo volontario e gratuito, i detenuti in lavori di pubblica utilità.
Inoltre, sono stati aumentati gli sgravi contributivi ed il credito di imposta per chi assume i detenuti e gli ex detenuti».
Si prevede la costruzione di nuove carceri?
«Il ministero della Giustizia sta proseguendo il suo “piano carceri” che prevede la costruzione di nuove carceri e la ristrutturazione di quelle esistenti, per creare nuovi posti che abbiano i requisiti previsti. Entro la fine del corrente anno saranno disponibili 2.509 nuovi posti detentivi che diventeranno circa 10mila al completamento del piano».

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