Il vulcanologo, pioniere degli studi sulla deformazione delle pareti del vulcano, ridimensiona le ipotesi allarmistiche su eventi di grandi dimensioni ma sottolinea l'importanza dello studio e mette in guardia da "eventi in scala decisamente più ridotta". La Protezione civile aveva aperto un tavolo tecnico
"Le probabilità che l’Etna collassi scivolando in mare e creando un gigantesco tsunami? Impossibili da calcolare, ma se vogliamo stare al gioco, direi che sono pari a quelle che io adesso venga colpito da un fulmine e incenerito".
Lo afferma il vulcanologo Marco Neri, che peraltro, nel 1991, fu tra i primi a pubblicare studi che dimostravano – e non c’erano allora satelliti e gps – la deformazione di 2-4 cm all’anno e il lento scivolamento, costante e continuo, delle parti orientale e meridionale del vulcano e le accelerazioni anche di diversi decimetri durante le fasi eruttive laterali.
Grazie ai satelliti, in quasi trent’anni si è giunti a calcolare con estrema precisione le deformazioni.
"Il problema – sottolinea Neri – non è lo studio pubblicato sulla rivista Science advances, ma le conclusioni alle quali si arriva nella diffusione mediatica".
Conclusioni che possono non soltanto allarmare chi abita all’ombra del vulcano, ma anche chi, per esempio, poteva pensare di programmare una vacanza in Sicilia orientale.
Un "effetto mafia" in versione geologica, insomma.
E tutto per una dichiarazione del professore Heidrun Klopp, coordinatore del team autore della ricerca, secondo il quale "È possibile che l’Etna collassi in maniera catastrofica fino a provocare uno tsunami che interesserebbe tutto il Mediterraneo".
Peraltro lo studioso, nella medesima dichiarazione, afferma che "fare previsioni in merito è impossibile".
"Appunto – spiega Neri -, il problema è che neanch’io mi sentirei di escludere che un fenomeno del genere possa verificarsi. Ma se mi chiedono quale sia la probabilità che si verifichi uno scenario apocalittico come quelli descritti, devo puntualizzare che, come minimo, è piuttosto remota".
Coloro quali, insomma, stava preparando le valige per abbandonare la Sicilia orientale, o quei turisti che stavano per cancellare i voli per Fontanarossa, si fermino un attimo.
Il problema, insomma, è sempre il medesimo: c’è chi, per finire sui giornali, le spara grosse, salvo poi dire: "leggete bene, dicevo possibile, non probabile".
Detto questo, però, secondo la Comunità scientifica, va fatta salva la validità della ricerca condotta tra il 2016 e il 2017 sul fianco sottomarino dell’Etna usando una nuova tecnologia di monitoraggio geodetico basata sul suono.
Il dato – stracontrollato e concreto – più eclatante che, nel maggio del 2017, in otto-dieci giorni, c’è stata una deformazione di circa quattro centimetri.
"Si tratta – ha sottolineato Neri – di uno studio rilevante perché fino a ora non avevamo dati riguardanti la parte sottomarina, ma soltanto quelli degli strumenti posti sopra il livello del mare. Sono state misurate per la prima volta, con una rete di strumenti che ha registrato dal giugno del 2016 al luglio del 2017, deformazioni su un’area di alcune centinaia di metri quadrati a 1.200 metri di profondità sul fondale marino davanti all’Etna. Un’area in cui, si sospettava l’esistenza di una faglia, una frattura della crosta terrestre. I dati hanno confermato l’esistenza della faglia".
"Certo – ha aggiunto Neri -, va ribadito che, per esempio, durante l’eruzione del 2002 registrammo nella zona di Piano Provenzana uno spostamento di circa due metri. E’ ormai una nozione acquisita quella che vulcani alti come l’Etna, possano franare, forse perché si accrescono troppo rapidamente e con pareti troppo ripide. Quindi collassano. Ma è piuttosto improbabile che crolli tutto e tutto in una volta. Potrebbero esserci però dei collassamenti circoscritti e di limitata estensione, che, nelle zone vicine costiere o sottomarine, potrebbero dar luogo a onde anomale, i cosiddetti tsunami".
Neri ricorda, per esempio, il piccolo tsunami generato nel 2002 a Stromboli dal crollo di circa venti milioni di metri cubi di roccia dalla cosiddetta Sciara del fuoco, che causò anche la rottura degli ormeggi di alcune navi.
"Nel maggio di quest’anno – rivela poi – si sono conclusi i lavori di tavolo tecnico istituito sollecitazione della Protezione civile nazionale, da loro istituito e al quale ho preso parte, per evidenziare quali vulcani italiani totalmente o parzialmente sottomarini, e tra questi l’Etna, potessero rivelarsi potenzialmente tsunamigenici. Le analisi della forma dei fondali marini davanti all’Etna evidenziò una situazione estremamente dinamica dal punto di vista morfostrutturale, con fratture molto estese e in movimento. Credo che la Protezione civile chiederà adesso alla Comunità scientifica di proseguire le indagini, di approfondire l’argomento anche inventando, se necessario, nuovi strumenti di misurazione. E anche, di passare dalla possibilità alla probabilità, ipotizzando con maggiore precisione cosa potrebbe avvenire realisticamente".
Secondo Neri, dunque, "In generale, più un’ipotesi è catastrofica e più è improbabile e se è vero che non è possibile escludere del tutto quella che crolli tutto l’apparato vulcanico, con miliardi di metri cubi di roccia che precipitano in mare provocando un gigantesco tsunami, è molto più facile che possano verificarsi eventi in scala decisamente più ridotta, come avvenuto a Stromboli".
"Il mio rischio di morire, in ogni caso – ha concluso – è molto più alto se mi avventuro ad attraversare la strada a Catania che non per l’eventualità di venir travolto dal collasso dell’Etna".