Abbiamo trascorso un anno (o quasi) dicendo che ce l’avremmo fatta e che sarebbe andato tutto bene
Abbiamo trascorso un anno (o quasi) dicendo e sentendoci dire che ce l’avremmo fatta e che sarebbe andato tutto bene.
Nel mentre abbiamo perduto amici, parenti, conoscenti e siamo stati così tanto tempo a casa che alcuni di noi hanno scoperto di averne una dove è possibile lavorare meglio che in ufficio.
All’inizio della pandemia scrissi che dopo la fase della crisi sarebbe seguita una repentina fase di crescita, disordinata e impetuosa: era una previsione dettata dall’intuito e dalle evidenze tratte da altre crisi precedenti.
Ma, dopo un’estate illusoria ed in fin dei conti utile per prendere coscienza che il virus non si debellava con le chiacchiere e i canti dal balcone, siamo arrivati a Natale con ospedali pieni e vaccini da iniettare.
Non è un caso che proprio questo verbo, iniettare, spesso si accompagni al termine fiducia, come se questa fosse una medicina da somministrare ad un organismo malato, debole, privo di speranza.
Abbiamo anche imparato che il virus non lo hanno portato i barconi dal Nord Africa e che nessun muro potrebbe fermare una pandemia che ha viaggiato in aereo, e probabilmente in business class.
In conclusione, abbiamo imparato che non potevamo fare nulla per impedire al Covid di entrare nelle nostre comunità ma, al tempo stesso, abbiamo capito che il contrasto si basa sulla conoscenza e la capacità di gestire le conseguenze di questo male in sé.
Qualcuno potrebbe obiettare: come possiamo decidere quali iniziative intraprendere se non conosciamo fino in fondo le caratteristiche di questo male? Come possiamo prendere delle decisioni se non conosciamo tutte le opzioni a nostra disposizione?
La risposta credo si possa trovare in un atteggiamento mentale che ho appreso in questi mesi sul lavoro.
A chi mi manifestava i suoi dubbi e le sue incertezze sul futuro e sui contenuti delle scelte da adottare, ho cominciato a rispondere che il nostro compito è quello di trovare le risposte alle domande che ancora non conosciamo.
Non è semplice, lo ammetto, e può anche sembrare una frase priva di senso, ma ditemi se quello che stiamo vivendo aveva un senso un anno fa?
La fiducia è quella medicina che ci deve aiutare a conservare la curiosità per quello che ancora non conosciamo, per andare alla ricerca non di ciò che confermi le nostre preoccupazioni ma di quello che serve per trovare persone, soluzioni, idee per noi al momento ignote e diverse.
Siamo bisognosi di una nuova espressione di ottimismo, che non sia fine a sé stesso, per guardare con occhi diversi la complessità dei tempi che ci attendono e tornare ad avere fiducia nella nostra capacità di coltivare il dubbio non come espressione di incertezza ma come leva per acquisire nuove conoscenze.