Crui certifica il balzo degli Atenei del Belpaese nella “Top 200” mondiale
Qualità della didattica, valore della ricerca, alta formazione, innovazione, sostenibilità ambientale, rapporto docenti/studenti, finanziamento per docente, trasferimento tecnologico e rapporti con il territorio: migliora in tutti i settori la qualità delle Università italiane nel confronto internazionale. È proprio a questi miglioramenti che abbiamo voluto dedicare il 31esimo appuntamento con la Pagina Bellezza del Quotidiano di Sicilia.
Quello universitario è uno dei settori che ha sofferto maggiormente l’arrivo della pandemia. Ciononostante, il 2020 si è rivelato un anno di crescita e miglioramenti.
È quanto emerge dal report della Crui sui ranking internazionali, uno studio che racconta i 3 anni di attività del Gruppo di Lavoro a cui hanno partecipato 68 università e che aveva proprio come obiettivo aumentare il numero di atenei italiani presenti nelle classifiche internazionali e migliorare il posizionamento complessivo del sistema universitario nei ranking.
Nel 2020, rispetto al 2017, l’Italia piazza 85 università in più (da 173 a 258: +49%.) nel totale delle 6 classifiche considerate – Arwu, Quacquarelli Symonds (Qs), Qs – Employability, Times Higher Education (The), GreenMetric e U-Multirank – e 11 atenei in più tra le “Top 200” mondiali (da 23 a 34: +48%) riferite agli stessi ranking.
Le università italiane infatti risultavano nel 2017 sottorappresentate nelle principali classifiche internazionali. Nei ranking globali più diffusi a livello mediatico – Quacquarelli Symonds (Qs), Times Higher Education (The), Arwu e Us News & World Report – comparivano in media 33 università italiane, contro le 39 francesi, le 47 tedesche e le 70 università britanniche. Anche a livello di posizionamento, il quadro poteva apparire sfavorevole considerando che tra i Top 300 atenei al mondo rientravano soltanto 6 università italiane secondo il ranking QS (contro, ad esempio, le 12 francesi) e 5 per The (rispetto alle 9 d’oltralpe).
Nel 2020, invece, si assiste a una evoluzione positiva dei giudizi sulla qualità globale degli atenei italiani: “Promuovere la crescita delle università nel contesto internazionale è un fattore fondamentale non solo per aumentare la loro competitività, ma per accrescere l’attrattività del sistema educativo e di ricerca italiano nel suo complesso – ha spiegato il presidente della Crui Ferruccio Resta, commentando il nuovo report -. Prioritario migliorare la percezione e il posizionamento del Paese in modo unitario, ricomponendo un’immagine spesso tracciata in modo disarticolato. Non dimentichiamo che nell’affrontare la pandemia le università hanno mostrato un grande senso di coesione e di tenuta. È su questa immagine che l’Italia deve investire”.
“I ranking accademici – sottolinea il Gruppo di lavoro della Crui nel dossier – rappresentano ormai una componente strategica e altamente dibattuta sullo scenario globale dell’alta formazione e ricerca, una componente che nessun sistema universitario nazionale può permettersi di ignorare.
Partito nel 2017 e coordinato dalle Università di Bologna e Padova, il Gruppo ha lavorato anche per elaborare linee guida comuni per il conferimento dei dati alle principali agenzie, e per proporre integrazioni e modifiche metodologiche agli enti gestori. Nell’intervallo di tempo tra l’inizio delle attività del gruppo di lavoro Crui nel 2017 e la sua conclusione nel 2020, 52 atenei su 67 sono entrati per la prima volta in una classifica internazionale. Tra questi, l’Università di Udine, il Politecnico di Bari, l’Università de L’Aquila e l’Università di Parma, solo per citarne alcune.
Inoltre, il Report offre spunti di confronto fra i sistemi universitari di diversi Paesi europei in relazione ai ranking internazionali e ad altre dimensioni economico-sociali indagate attraverso i dati Ocse. Il volume contiene anche le indicazioni operative elaborate dal Gruppo per il conferimento dei dati a quattro tra le più importanti classifiche mondiali: Quacquarelli Symonds (Qs), Times Higher Education (The), GreenMetric e U-Multirank.
Un’attività che, unita alla condivisione di strategie, politiche e buone pratiche nella gestione dei ranking, ha permesso a molti atenei di entrare per la prima volta in classifica e, a quelli già presenti, di migliorare in larga parte il proprio posizionamento.
GAETANO MANFREDI, MINISTRO DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA
“L’Italia torna in alto: ora attirare talenti”
“Il sistema universitario italiano è in continuo miglioramento, di anno in anno. Siamo tra i primi paesi al mondo. Ora la sfida è tornare ad essere in grado di attrarre ‘cervelli’ dall’estero: bisogna rafforzare il tasso di internazionalizzazione dei nostri atenei, anche con il Recovery Fund. E puntare sulla Ricerca con investimenti importanti e regolari”. In un’intervista all’agenzia Askanews, il ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi ha commentato i risultati del dossier Crui che certifica i passi in avanti, in tutti i settori, delle università italiane rispetto ai competitor internazionali e delinea gli sviluppi del comparto.
Ministro Manfredi, negli ultimi anni la qualità degli atenei italiani si è avvicinata alle migliori esperienze mondiali?
“Il dossier fa emergere due aspetti fondamentali. Da un lato il sistema universitario italiano è in continuo miglioramento: il posizionamento internazionale nei ranking cresce di anno in anno e sicuramente è un segnale estremamente positivo. E poi emerge una caratteristica tipica del nostro Paese, proprio per la struttura del suo sistema universitario, che è caratterizzato da una qualità media elevata: il numero di università italiane presenti nelle top 200 a livello internazionale è un numero alto che ci fa essere tra i primi paesi al mondo. È un segnale molto positivo che testimonia una qualità diffusa, con eccellenze presenti in tutto il Paese che danno l’opportunità ai nostri giovani di avere una formazione di qualità”.
Il sistema accademico italiano può tornare ad attirare “cervelli” dall’estero, come dimostra il rientro del filosofo Luciano Floridi all’Alma Mater di Bologna?
“È questa la sfida che abbiamo davanti. Se disaggreghiamo i dati dei ranking, ci accorgiamo che dal punto di vista scientifico siamo estremamente competitivi. Abbiamo debolezze sul livello di internazionalizzazione del sistema universitario. Va fatto uno sforzo ulteriore, che è uno degli obiettivi delle politiche del Ministero e degli investimenti del Recovery Fund, per rafforzare il tasso di internazionalizzazione delle nostre università. Questo ci consentirà di essere ancora più attrattivi, richiamare talenti da tutto il mondo e anche creare le opportunità per cui gli italiani che sono andati fuori possano rientrare”.
Nei prossimi giorni sarà presentato il Programma nazionale per la ricerca: qual è lo stato di salute della ricerca italiana?
“Gli investimenti in ricerca sono molto importanti. Avere infrastrutture in ricerca competitive a livello internazionale e finanziamenti regolari nel tempo è l’obiettivo della nostra politica che abbiamo messo in campo e che vogliamo potenziare ulteriormente con gli investimenti previsti. Questo è lo strumento migliore per poter far cresce la qualità del nostro sistema. Il Pnr è uno strumento programmatorio fondamentale, la base dei programmi di investimento del Recovery Fund, perché dà un quadro preciso delle priorità strategiche del Paese per i prossimi 7 anni, anche in quadro europeo della Ricerca”.
FOCUS CATANIA
Unict, ottomila imprese dai laureati 2004-2018
Sono 8.360 – con oltre il 47% di quote rosa e per il 95,7% con sede al Sud – le imprese create dai laureati dell’Università di Catania tra il 2004 e il 2018. Il 66,4% è una ditta individuale, il 22,7% una società di capitale e il 10,9% una società di persone. I ‘fondatori di impresa’ sono 7.188, mentre i ‘joiner’, cioè coloro che hanno acquisito quote di capitale, sono 1.733.
Lo rende noto l’Ateneo di Catania citando i dati del Rapporto 2020 “Laurea e Imprenditorialità” pubblicato dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea. L’8,4% dei laureati dell’ateneo (7.188 su 85.285 tra il 2004 e il 2018) è fondatore di impresa.
Tra questi il 52,8% è rappresentato da uomini, mentre il 47,2% da donne. I gruppi disciplinari più rappresentati sono quelli economico-statistico (16,3%), politico-sociale (15,2%) e ingegneria (9,9%).
Bene anche il ‘gruppo’ di agraria con 7,8% e chimico (4,6%). Si tratta di imprese ‘made in Catania’ in tutti i sensi visto che il 95,8% ha sede proprio nell’isola, dato superiore rispetto a quello nazionale (75%).
L’85,3% dei fondatori ha avviato una sola attività imprenditoriale, mentre il 14,7% ha fondato più imprese. Tra i laureati joiner etnei gli uomini rappresentano il 52,3% (+1% sul dato nazionale), mentre le donne il 47,7% (flessione di un punto percentuale rispetto al dato nazionale).