“Raccontare Confcooperative significa ripercorrere una storia, lunga ormai quasi cento anni, che, almeno per quanto riguarda il contesto italiano, ha segnato tappe importanti della storia dell’intera cooperazione, storia di cui costituisce, nel nostro Paese, una parte essenziale. Confcooperative è un soggetto, da sempre protagonista, che, attraverso le alterne vicende del tempo, ha interpretato con serietà e coerenza la propria missione di rappresentanza, assistenza e tutela della cooperazione, portando avanti battaglie ed ottenendo risultati che, spesso, hanno prodotto risultati ed effetti favorevoli per l’intero movimento cooperativo italiano. Nasce nel 1919, il primo congresso è stato svolto due anni dopo. Come ogni altra organizzazione è stata sciolta dal fascismo nel 1927 e ricostituita nel 1945. Nelle due costituzioni è stata molto importante la forza cooperativa espressa dalla Sicilia: una forza che però è andata diminuendo in questi decenni. Sono lontani purtroppo il numero e la forza strutturale delle cooperative ai tempi di Sturzo e Scelba. Da sottolineare che l’articolo 1 dello Statuto riconosce che l’azione di Confcooperative si ricollega ai principi ed alla tradizione della dottrina sociale della Chiesa”.
“Le centrali cooperative sono come in campo industriale e artigianale come la confindustria e la confartigianato. Ma non sono delle holding. Il nostro rapporto con i soci è principalmente di servizio. Ogni cooperativa è autonoma nelle linee economiche e gestionali. Cosa c’è di diverso rispetto alle altre? Siamo da un verso giuridicamente riconosciuti dallo Stato, perché è stata data a noi una legittimazione pubblica. Svolgiamo la vigilanza sulle cooperative associate. Nessun’altra organizzazione svolge questa operazione per conto dello Stato. Aggiungo che non siamo solo un sindacato di imprese. Siamo anche e soprattutto portatori di principi: come la solidarietà, la mutualità e la democrazia economica. Valori dell’Ottocento ma attualissimi per superare la crisi”.
“Confcooperative rappresenta 20.500 cooperative, 3.166.000 soci, 544.400 persone occupate e 61,3 miliardi di euro di fatturato aggregato. Pur soffrendo i morsi della crisi, le cooperative negli ultimi quattro anni hanno accresciuto l’occupazione dell’8%. Le nostre imprese hanno messo a segno un +13,4%, dando vita a 64.000 nuovi posti di lavoro per un totale di 550.000 persone, di cui il 62,7% è donna e il 22% è straniero”.
“Stiamo pagando il prezzo di aver vissuto una vita al di sopra delle nostre possibilità. Aver tollerato troppo assistenzialismo, troppe inefficienze, troppe arretratezze. Nella globalizzazione queste sono colpe che si pagano duramente. Purtroppo tutti i nodi sono venuti al pettine insieme al grande fardello del debito pubblico. In futuro penso che dobbiamo perseguire e proseguire la disciplina di bilancio, continuando l’opera che sta facendo il governo Monti. Nel presente dobbiamo stare attenti: la difficoltà di bilancio e il debito pubblico eccessivo nel breve e medio periodo sono pagate dalla povera gente e dalle piccole imprese. Dobbiamo cercare di rientrare quanto prima nei parametri dell’Ue, a nostro avviso fin troppo tolleranti. Difficile trovare altre nazioni europee che vivono con un debito pubblico di 2mila miliardi di euro. In questo contesto gli spazi di manovra per lo Stato sono estremamente ridotti. In Sicilia come in Lombardia dobbiamo ragionare su un altro binario, con un’altra mentalità molto diversa rispetto al passato. La crescita e lo sviluppo del Paese non si può più realizzare con il bancomat della spesa pubblica. Ridurla è oggettivamente estremamente difficoltoso: come si possono tagliare i posti di lavoro dei dipendenti pubblici? Ci sono delle spese che non sono comprimibili e possono farsi solo in un medio periodo”.
“Le cooperative non possono utilizzare, come le altre forme d’impresa di stampo capitalistico, gli strumenti destinati alla capitalizzazione. L’unica capacità di patrimonializzare è quella che gli utili vadano inviati a riserva indivisibile”.
“Ho partecipato come presidente dell’Alleanza delle cooperative alla trattativa. Il mio giudizio è questo: abbiamo fatto un accordo che allo stato delle cose può definirsi soddisfacente. Però in primo luogo l’accordo è stato realizzato sacrificando degli obiettivi secondari e ridimensionando l’obiettivo primario. Nonostante ciò non abbiamo avuto il consenso di tutti i sindacati. Penso rappresenti un piccolo passo. Però non possiamo recuperare a piccoli passi: dobbiamo correre, non c’è più tempo”.
“È una dottrina che si sta facendo strada in Europa, che presenta nuovi rischi. Ad esempio che le cooperative siano spiazzate rispetto alle nuove imprese sociali: bisogna spiegare che quello delle cooperative è un altruismo inclusivo, che mira a fare dei propri soci dei protagonisti. Altrimenti una cooperativa sociale di lavoro tra disabili può essere considerata meno virtuosa di una società ordinaria che offre servizi sociali. Tali imprese potrebbero diventare un cavallo di troia per attaccare anche settori che attualmente sono presidiati dalla cooperazione”.
“L’Alleanza delle Cooperative Italiane, il coordinamento nazionale tra Legacoop, AGCI e Confcooperative, è nata per dare più forza alle imprese cooperative. Un unico organismo che ha la funzione di coordinare l’azione di rappresentanza nei confronti del Governo, del Parlamento, delle istituzioni europee e delle parti sociali: sindacati dei lavoratori e associazioni datoriali. Le tre organizzazioni cooperative rappresentano, insieme, un universo di 43.000 imprese centrate sulle persone e fortemente integrate nel territorio, con oltre 1 milione e duecentomila occupati, 12 milioni di soci, un fatturato complessivo di 130 miliardi”.
“L’Alleanza delle Cooperative Italiane, un coordinamento stabile e definitivo tra le Associazioni, è un grande passo per la cooperazione italiana. La missione del nuovo Coordinamento è quella di dare fiducia e servizi alle famiglie, creare occupazione, specie giovanile, all’interno delle imprese cooperative e con la costituzione di nuove e moderne imprese, creare produttività e competitività, offrire iniziative sussidiarie, tecnologie sociali, infrastrutture di solidarietà ed una società che deve auto organizzare larghe quote di welfare. Le cooperative non pretendono – da noi dirigenti della loro Associazione – che facciamo miracoli, piuttosto si attendono che non ci arrendiamo mai nelle battaglie che contano. E non resteremo sulla difensiva, né ci lasceremo chiudere in un angolo. La nostra forza è nel confronto a viso aperto, cercando il nuovo e il meglio, con una forte determinazione propositiva”.
“Bisogna puntare, con le poche risorse rimaste, in alcune direzioni che possono rendere più competitivo il nostro sistema. In primo luogo la capitalizzazione delle imprese (tante imprese italiane sono sottocapitalizzate, soprattutto al Sud): il credit crunch non è sopportabile se non sei una impresa ben capitalizzata. Poi investire sulla dimensione delle nostre imprese: startup, piccole e medie imprese sono un valore, ma allo stesso modo sono un disvalore non vederle crescere. Se un’impresa in crescita supera i quindici dipendenti si comincia ad entrare in un vorticoso e condizionante giro di sindacati, impegni, contratti che frenano lo sviluppo dell’azienda. Per questo motivo molte imprese invece di arrivare a diciotto unità preferiscono creare azienda da nove dipendenti. Quando l’impresa cresce ordinatamente dà più lavoro stabile, meno precariato e migliori risultati sotto il profilo della autenticità cooperativa. Un’impresa davvero collettiva. Speriamo che questo Stato destini le poche risorse rimaste alla capitalizzazione delle imprese, alla ricerca e innovazione, e alla internazionalizzazione”.
“Purtroppo no. È un problema anche delle imprese del Mezzogiorno. Un fatto allarmante come la questione della legalità nel Sud e in tutta Italia. Si potrebbe e si dovrebbe fare di più per creare cooperazione tra le imprese. Pensate che alcune cooperative preferiscono morire piuttosto che unirsi in un unico progetto d’impresa. Al Nord come al Sud ciò rappresenta una gabbia che frena lo sviluppo e la crescita”.