Caso Palamara e situazione della giustizia in Italia: la parola a Giuseppe Santalucia, presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati. "L’Anm prenda atto della situazione".
Il dottor Giuseppe Santalucia, siciliano di Messina,
è entrato in magistratura nel 1989. Ha svolto funzioni di p.m. in Sicilia, a Patti
e a Messina, e di g.i.p. a Reggio Calabria. Magistrato dell’Ufficio Studi del
CSM, quindi addetto al Massimario della Corte di Cassazione, ha svolto, per
poco più di un triennio le funzioni di coordinatore del settore penale. Dal
2012 è consigliere della Corte di Cassazione, è stato vice capo prima e poi,
senza soluzione di continuità, capo dell’Ufficio legislativo del Ministero
della Giustizia, dall’agosto 2013 al febbraio 2018.
Nel mese di dicembre dello scorso anno è stato eletto presidente
nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati con
30 voti su 36 votanti. L’abbiamo raggiunto telefonicamente per parlare del
“caso Palamara” e più in generale della situazione attuale della Giustizia in
Italia.
Lei è stato eletto lo
scorso mese di dicembre ed è stato evidente da subito che la sua presidenza
sarebbe stata caratterizzata da due dei momenti più bui che riguardano la
storia della magistratura. Il primo è quello che riguarda la pandemia dovuta al
Covid-19, che ha rallentato la macchina della giustizia mentre il secondo è
quella dell’esplosione mediatica più alta che ha avuto il c.d. “caso Palamara”.
Come pensa di poter reggere sulle sue spalle entrambe queste responsabilità?
“Non so riuscirò a reggere (ride, nda). A parte la doverosa
battuta, è evidente che il momento è difficile e non sottovaluto in nessun modo
sia la pandemia sia gli effetti del “caso Palamara”. Confido sul senso di
responsabilità di tutte le componenti dell’Associazione Nazionale Magistrati e
sul fatto che, al di là dei problemi che certamente ci sono e non minimizzo,
penso che sia necessario conservare una cornice comune entro la quale risolvere
i problemi e non fare in modo che questi ci travolgano. L’Anm ha un senso
importantissimo all’interno della vita democratica del paese perché è il
momento in cui la magistratura può parlare, attraverso una voce unitaria alla
collettività e inserirsi in un dibattito pubblico portando un contributo di
esperienza e di tecnica professionale. Privare di quest’apporto il dibattito
pubblico e la vita democratica del paese non sarebbe un buon risultato. I
problemi ci sono, riguardano l’associazionismo, il Consiglio Superiore e tutte
le strutture che si muovono attorno alla magistratura che sono ispirate
all’autogoverno e all’associazionismo.
C’è un problema più grande: salvare la struttura, ovviamente anche modificandola e accertando tutte le responsabilità individuali. Non si deve mettere nessun velo su tutto quanto è stato rivelato ma ricordiamo che tutto dovrà essere accertato perché è importante non confondere quello che viene rivelato con ciò che è, anche perché quello che ci racconta di Luca Palamara è un punto di vista, una prospettiva soggettiva, un vissuto personale e tutto questo va ovviamente verificato visto che ci sono diverse persone chiamate in causa e che dovranno dire la loro. Resta un problema di contesto e quello è innegabile. Vorrei che l’associazione, questa nuova composizione, prendesse atto della situazione al di là della stigmatizzazione del comportamento dei singoli che deve essere fatto nelle sedi opportune, per un recupero di responsabilità collettiva. Hanno sbagliato i singoli ma quello che si evidenzia è un problema della magistratura intera”.
Il caso Palamara
La “versione di
Palamara”, le sue verità raccontate nel libro “Il Sistema” che modello di
reazione hanno generato? Ci saremmo aspettati un fioccare di denunce e invece?
“Le posso dire che, senza parlare dei singoli casi, alcuni dei soggetti chiamati in causa hanno già proposto querela ma è evidente che non l’hanno fatto con lo stesso clamore mediatico con cui è stato presentato il libro. Palamara definisce tutto ciò un “sistema”. Ho letto il libro e ritengo che ci siano fatti ma anche molta suggestione. Non credo che quelle esperienze, senza volerle assolutamente minimizzare, quella descrizione di un sistema unico che in qualche modo condiziona l’intera magistratura nella stessa espressione della giurisdizione ossia di una magistratura che è orientata politicamente a secondo dei bisogni di interessi corporativi o di parte, non credo, dicevo, che questa possa essere una chiave per leggere la magistratura di questi anni. Penso che, anzi, questo sia un modo di leggere la nostra storia più recente in maniera distorta”.
Magistratura e politica
Ma non le sembra che
i magistrati, in generale, strizzino un po’ troppo l’occhio alla politica?
“No. Non penso che in Italia esista una magistratura politicizzata. Non credo che si possa parlare una magistratura che sia espressione di un interesse di parte. È evidente che i singoli casi, le singole vicende, vanno analizzate e meritano una riflessione approfondita ma ritengo che la generalizzazione sia pericolosissima e destabilizzante. Pensare che in Italia ci sia una magistratura che si presta a interessi partitici è un’affermazione gravissima che mina e tradisce la fiducia nell’organo di garanzia quale la magistratura è”.
Magistratura e… l’onda mediatica
Alcuni suoi colleghi
stanno cavalcando, forse fin troppo, un’onda mediatica che li porta a godere di
grandissima visibilità. Rimpiango il riserbo istituzionale di un giudice come
il dottor Rosario Livatino. Cosa pensa a questo proposito?
“Questo è un dato che anch’io guardo con preoccupazione. La proiezione mediatica di tutte le funzioni pubbliche, per sua natura, può avere un effetto distorsivo. I processi si fanno nelle aule e pensare di raccontarli mediaticamente può essere pericoloso. Quello che avveniva negli anni ’80 e ’90 non è paragonabile a ciò che avviene oggi. Dobbiamo prendere atto che questo è la cifra dei nostri tempi e non dobbiamo demonizzare l’apparizione mediatica o l’eccessivo contatto con la stampa. Dobbiamo però ricordare che si tratta di uno strumento pericoloso che rischia di confondere i piani, quello giudiziario e quello della sua rappresentazione mediatica. Penso anche che la cautela di chi usa lo strumento comunicativo, che in alcuni casi può essere utilissimo perché è necessario anche parlare alla collettività per spiegare e non solo esprimersi con le sentenze, sia importante e debba essere utilizzato con il fine precipuo di dissipare la confusione, un dubbio o nel caso in cui sia generato un disorientamento e non quello di aumentarla. Se invece l’intervento mediatico finisce per creare più confusione di quella che c’era prima, penso che abbiamo fallito”.
Processi “storici” in Sicilia
Si aperto da poco
l’anno giudiziario. La magistratura sembra essere in questo momento nel “centro
del mirino” soprattutto per una serie di processi che si stanno svolgendo in
Sicilia ma che riguardano tutta la Repubblica e parlo di quelli relativi alla
strage di via d’Amelio. Quanto è doloroso ristabilire, almeno, una verità
giudiziaria su quei fatti?
“Più che doloroso, oggi, penso che sia un percorso faticoso ma quest’opera va perseguita fino in fondo. Ritengo che quei processi servano, al di là delle responsabilità e delle punizioni dei singoli, a restituire alla collettività una verità storica. Si tratta di processi che durano da anni con mille difficoltà. Sostengo idealmente l’impegno di tutti coloro i quali sono coinvolti in questa ricerca della verità. Ci sono eventi della Repubblica che devono essere non solo oggetto di analisi, quando sarà, da parte degli storici ma essere oggetto dell’accertamento giudiziario perché l’accertamento della verità è un contributo alla vita democratica”.
Una Giustizia più vicina ai cittadini
Negli scorsi anni,
parlo di quelli pre-pandemia ovviamente, avevamo assistito a una grande
apertura del “Palazzo” nei confronti dei cittadini attraverso iniziative
pubbliche. Cosa farà durante questo suo mandato?
“Ogni canale possibile di vicinanza della gente comune con la macchina della giustizia è importante e fondamentale. La magistratura, oggi più che mai, ha bisogna di aprirsi. Il “Palazzo” non deve risultare chiuso in se stesso, autoreferenziale e prigioniero delle sue logiche ma avvicinare la gente all’amministrazione della giustizia, farla entrare per far vedere come funziona al suo interno perché nulla è peggio di farla apparire lontana e prigioniera di logiche di potere tutte interne al corpo professionale. Proprio per questo, le posso anticipare, abbiamo istituito una commissione di studio per i rapporti con la società e, soprattutto, con le scuole con l’obiettivo di essere noi ad avvicinarci alla gente comune e agli studenti per far vedere cosa è l’amministrazione giudiziaria, per renderla più comprensibile nei suoi meccanismi, per creare un momento di educazione e di recupero di fiducia”.
La riforma della Giustizia
Una considerazione
finale. Abbiamo bisogno di una riforma della giustizia?
“Assolutamente sì. Abbiamo bisogno di una riforma della giustizia che deve essere più rapida, più capace di reagire con tempestività e con un innalzamento della qualità delle decisioni sia nella giustizia civile sia in quella penale. I processi lunghi sono una “pena” e rischiano di essere fattore d’iniquità. Vanno trovate le soluzioni migliori e spero che l’attuale crisi ci dia lo sprone e le ragioni per una ripresa forte. Nel nostro piccolo vogliamo essere anche noi dei “costruttori”, per citare il Presidente Mattarella, e siamo aperti a discutere le riforme che mirino a migliorare il servizio perché vogliamo essere al passo con i tempi e ci auguriamo che le colpe dei singoli non ricadano su una categoria che ha ancora molto da dare e da dire per il bene del Paese. La giustizia deve funzionare meglio perché anche questo è un fattore di crescita”.
Roberto Greco