Da quello che pareva il set di un "disaster movie" alle rassicurazioni dei vulcanologi: solo spettacolo. Il vulcano "tragidiaturi" e la "liscia" dei Catanesi, scivolosa come la sabbia lavica. GUARDA LE FOTO
Disaster movie, li chiamavano un tempo, e qualcuno aveva per protagonista un vulcano cattivo.
Non l’Etna, però, che, pur avendone combinate di cotte e di crude in passato, per fortuna sembra limitarsi, almeno di recente, a far spettacolo.
Un vulcano “tragidiaturi”, insomma. Termine che a Catania (a Palermo o nella sciasciana Racalmuto la parola ha significati diversi) serve a descrivere uno che la butta sì in tragedia, ma solo per far teatro.
Così, dopo l’hollywoodiana nube colorata di rosso dalla luce del tramonto (se il direttore della fotografia è la Natura, anche Vittorio Storaro può mettersi da parte) e quell’impressionante pennacchio di cenere, dopo la colata che scorreva come un fiume per chilometri lungo la Valle del bove e soprattutto dopo quelle affascinanti e terribili fontane di lava alte centinaia di metri… niente.
Sì, nulla. Ce lo ha detto Boris Behncke, vulcanologo dell’Ingv, ieri sera: “Non preoccupatevi, si è trattato soltanto di un episodio parossistico, un fenomeno tipico dell’attività eruttiva recente dell’Etna”.
E l’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Catania, con un comunicato, ha confermato, delineando un quadro storico del recente passato: “Dal 1977 sono avvenute centinaia di episodi simili a quello di ieri, tra cui l’eccezionale sequenza di 66 parossismi fra gennaio e agosto del 2000, e una cinquantina di parossismi fra il 2011 e il 2013”.
I vulcanologi hanno effettuato ieri sera un sopralluogo in alta quota “per prelevare campioni dei prodotti emessi durante il parossismo odierno”.
La colonna eruttiva determinata dal parossismo e carica di cenere e lapilli si è alzata di alcuni chilometri sopra la cima del vulcano e, spinta dal vento verso sud, ha causato ricadute del materiale piroclastico sui centri abitati fino a Catania e nel siracusano, a decine di chilometri di distanza dall’Etna. E qualche pericolo lo ha corso chi, a Nicolosi e Mascalucia, sulle pendici del vulcano, ha visto pioversi vicino lapilli lavici anche di qualche centimetro.
Della giornata ci restano alcune spettacolari immagini, come queste che pubblichiamo per gentile concessione di Orazio Valenti – autore del libro “Il mio Omaggio al Mongibello”, con oltre settecento foto dell’Etna – e del personale del Corpo Forestale di Linguaglossa.
Ma, nel complesso, dallo spettacolare martedì della paura siamo passati a un quaresimale mercoledì della cenere, quella lavica, sparata dal vulcano in alta quota causando la chiusura dello spazio aereo e, di conseguenza, dell’aeroporto etneo.
Ma lo scalo di Catania “torna operativo dalle nove di stamane, consentendo l’arrivo del volo EasyJet proveniente da Milano Malpensa”, come ha reso noto la Sac, che per tutta la notte ha utilizzato sei spazzatrici per pulire pista, via di rullaggio e piazzali.
Sì, perché la cenere lavica, fine come sabbia, rende le strade pericolose perché fa scivolare.
Per questo alcuni sindaci, a cominciare da quello di Catania, Salvo Pogliese, hanno emesso ordinanze per vietare la circolazione dei mezzi a due ruote, imponendo per le auto il limite massimo di velocità a trenta chilometri l’ora.
E qui ci sarebbe da dare un’altra spiegazione linguistica: il termine catanese “liscia” indica quel moto dello spirito che conduce a trovare anche nella più “tragica” delle situazioni, quella venatura d’ironia, quella comicità che sempre vi si insinua.
“Liscia” sta per lisciva, quello che un tempo era l’unico detersivo conosciuto (non credo che vogliate prepararla, ma se vi saltasse il ghiribizzo dovrete cuocere per circa tre ore un chilo di cenere di buon legname in cinque litri d’acqua). Una volta ultimati i lavaggi la “liscia” veniva sparsa sulla strada e, poiché era scivolosa, faceva perdere l’equilibrio a chi vi passava sopra con conseguenti capitomboli e ruzzoloni. E inevitabili risate.
Il meccanismo è il medesimo per l’altrettanto scivoloso “sivo” (grasso) palermitano.
Dunque, poteva mai non scatenarsi la “liscia” catanese, soprattutto come reazione alla paura di aver rischiato di trovarsi sul set del “disaster movie” di cui dicevamo?
E così è stato, sui social. Scrivendo sulla stessa cenere, questi “lisci” sono passati dalla sottile ironia dell'”Andrà tutto bene” (con un sottinteso “Supra ‘a ‘uallara ‘n craunchiu“, che magari vi spiego dopo), al molto più concreto e popolare “Non putevunu cascari soddi?“, fino al pecoreccio “Finalmente si scopa!“.
Ma invece di soldi o fortune amorose, la cenere, c’è toccata. E i lapilli.
Tanto che il segretario regionale del Pd, Anthony Barbagallo, etneo di Pedara, ha rivolto un appello al governo Musumeci perché “chieda lo stato di calamità per i paesi Etnei colpiti da cenere e lapilli, in seguito all’eruzione”.
Cenere che bisognerà smaltire e per questo, come prevede l’ordinanza di Pogliese, sarà consentito ai catanesi di depositare la sabbia vulcanica “in contenitori di piccole dimensioni, in prossimità dei cassonetti per il conferimento dei rifiuti”.
Certo, fossero piovuti soldi…