Botta e risposta tra il Rettore dell'Università di Palermo "offeso" dall'audizione di un imprenditore che esprimeva critiche su corsi dell'ateneo, e il Presidente della Commissione. Duro attacco di D'Agostino a Micari
La relazione sulla gestione dei beni confiscati presentata dall’Antimafia regionale ha scatenato una polemica a distanza a colpi di comunicati stampa.
A innescarla è stata il rettore di Palermo, Fabrizio Micari, a nome dell’Ateneo, alla quale è arrivata prima la risposta del presidente della commissione regionale Claudio Fava, poi un durissimo attacco da parte del deputato regionale di Iv Nicola D’Agostino.
Micari, con il professor Alessandro Bellavista, direttore del Dipartimento di scienze politiche e il professor Aldo Schiavello, direttore del Dipartimento di giurisprudenza, hanno criticato la relazione dell’Antimafia difrendendo i corsi di Alta formazione per amministratori giudiziari organizzati dall’Ateneo.
“Apprendiamo – scrivono – che, nella relazione conclusiva dell’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati in Sicilia, si trascrivono le dichiarazioni di un tal Cavallotti, qualificato come ‘imprenditore’, rese in audizione, secondo cui ‘si facevano corsi di alta formazione… si davano attestati alle persone che partecipavano, quindi, in due giorni si pensa di insegnare agli avvocati e ai commercialisti come si amministrano aziende… chi teneva questi corsi? I giudici, gli amministratori, i prefetti… ma che competenze manageriali possono avere questi soggetti?'”.
“Si tratta – si legge nella nota – di un’evidente allusione alla consolidata esperienza formativa condotta dall’Università di Palermo grazie all’impegno del Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali (Dems) e la collaborazione dei giuristi del Dipartimento di Giurisprudenza”.
Nella nota dell’Università si ricorda come vennero avviati nel 2010, per iniziativa dell’allora rettore Roberto Lagalla con l’apporto del procuratore nazionale antimafia dell’epoca, Pietro Grasso e proseguirono “con successo per sei edizioni fino al 2017”. Corsi che duravano “almeno 120 ore nell’arco di sei mesi, sempre organizzati in collaborazione con l’Agenzia nazionale e la Procura nazionale antimafia” e anche con l’Autorità anticorruzione (Anac) e il suo presidente Raffaele Cantone”.
Micari e gli altri firmatari della nota hanno dunque considerato “sorprendentemente ingiustificate” le dichiarazioni, sostenendo che, “vista la loro evidente gravità”, la Commissione “avrebbe dovuto preventivamente approfondire il tema, attraverso un’interlocuzione e il confronto” con l’Università di Palermo.
Secca la risposta di Fava: “Che l’Università di Palermo si riconosca in quell’incidentale e se ne senta offesa (pensando alle proprie esperienze formative) è cosa comprensibile. Che si senta offesa dalla relazione è cosa piuttosto stravagante”.
“In tre anni di attività – ha spiegato il presidente dell’Antimafia regionale – abbiamo audito, nel corso dei nostri lavori, oltre quattrocento persone e non sempre (anzi: raramente) abbiamo condiviso lo spirito o il merito delle loro affermazioni”.
“Censurare un audito – ha aggiunto – (temendo altri possano sentirsi offesi per associazione di idee) è un’idea alquanto originale del rigore e della limpidezza con cui una Commissione parlamentare d’inchiesta è tenuta a operare”.
La relazione della Commissione Antimafia dell’Ars sui beni sequestrati e confiscati in Sicilia è un documento di duecento pagine, con ottantuno audizioni, e realizzata in otto mesi di lavoro. E’ stata approvata la settimana scorsa all’unanimità dalla Commissione stessa.
“Leggiamo infine – ha concluso Fava – dalla penna del Magnifico Rettore, che l’Università di Palermo intende avviare un laboratorio con i nostri migliori ricercatori per sottoporre ad analisi critica il lavoro fin qui condotto dalla Commissione regionale. Che dire? Ne siamo onorati”.
D’Agostino, mi vergogno per il Rettore
Decisamente più dura la posizione di Nicola D’Agostino, capogruppo di Italia Viva all’Assemblea regionale siciliana: “Ascoltare dalla bocca di un rettore di Università pubblica parole di censura così altisonanti crea turbamento”.
“La chiamata alle armi, poi – ha aggiunto il deputato regionale, è una barzelletta, cui parteciperanno tutti i pavidi e primitivi che vorranno”.
“Ora capisco meglio – ha concluso – perché mi sono sentito a disagio durante le tragiche Regionali del 2017 quando fui costretto a sostenerlo. Si dovrebbe vergognare, ma neppure sa cosa significhi: mi vergogno io per lui”.