Garantire concorrenza, valorizzare i meritevoli - QdS

Garantire concorrenza, valorizzare i meritevoli

Garantire concorrenza, valorizzare i meritevoli

sabato 21 Luglio 2012

Forum con Ivan Malavasi, presidente nazionale della Cna

Il lavoro come si produce? Possiamo uscire dalla crisi rilanciando l’occupazione?
“Il lavoro è il frutto di un Paese che ha ritrovato la via dello sviluppo, che ha voglia di essere ancora competitivo. La strada per la crescita è composta da molteplici azioni, di natura politica, per stimolare l’occupazione e la creazione di nuovi posti di lavoro. Ci sono tante cose da fare per uscire dalla crisi, prima tra tutte ritornare ad avere una credibilità nei mercati internazionali. Questo Paese ha sprecato mille risorse in questi anni, pensando fossero illimitate. Per rigenerarle dobbiamo: abbassare il costo la spesa pubblica, rendere efficiente la pubblica amministrazione, abbassare le tasse e diminuire la burocrazia. Questi ultimi due elementi da anni limitano la forza del nostro Paese. Riuscire a competere nel mercato globale con una tassazione elevatissima e una burocrazia asfissiante è uno sforzo immane”.
Qual è l’ossatura economica dell’Italia?
“Sicuramente la rete dell’artigianato e delle piccole e medie imprese. Non esiste più un Paese fatto dalla grande industria. Oggi in Italia ci sono sei milioni di Pmi: il 98% di esse ha fino a cinquanta addetti, il 96% meno di dieci. Dati che confermano che proveniamo da una tradizione di capitalismo famigliare. Questo è il sistema Italia, una grande forza che può essere anche una grande debolezza. La politica, da vent’anni, continua a pensare a una economia nazionale contraddistinta dalla presenza di grandi imprese. Oggi non è questa la realtà italiana e bisogna tenerne conto. Abbiamo perso le grandi imprese a causa di politiche dissennate e forse anche per la scelta di alcuni imprenditori stanchi di rischiare senza supporti adeguati. Molti hanno preso ciò che di buono avevano costruito in Italia per trasferirsi in altri mercati. Bisogna tornare all’idea che l’impresa è un patrimonio: ogni azienda che chiude non è il fallimento del solo imprenditore, è un fallimento dell’intera società”.
Quali sono le nuove sfide per le imprese italiane?
“Adattarsi alle realtà del mercato: il modo di fare impresa è mutato e dobbiamo fare i conti con i bisogni e le esigenze di milioni di nuovi consumatori nel mondo. Formazione, competenza, ricerca e innovazione, sono questi gli elementi su cui un’impresa deve puntare. Purtroppo viviamo in un mercato troppo protetto, che limita la crescita interna e che ha un costo elevato di gestione dell’impresa, a fronte di modesti salari ai lavoratori. Se questi ultimi non arrivano alla fine del mese è normale che si abbassino i consumi e che stagni la domanda interna. Le classi dirigenti in questi anni hanno pensato a distribuire apparenti sostegni economici a piccole realtà produttive in scambio di ipotetici voti. Chiamiamo questo fenomeno con le parole giuste: clientelismo, favoritismo e politiche settoriali. Stiamo tornando indietro di quindici anni: le risorse diminuiscono e da troppo tempo continuano a passare solo messaggi negativi. Ciò aumenta la paura del futuro, cattiva consigliera per un Paese che deve crescere”.
Quali sono nello specifico le responsabilità della classe politica?
“Per puntare sullo sviluppo bisogna riottenere la fiducia dei cittadini. Sono molto preoccupato dall’ultimo turno di amministrative in cui hanno votato meno del 50% degli aventi diritto. Dobbiamo ridare dignità alla politica. Questa però deve restituire il ‘maltolto’, semplificando le normative, abbassando i costi della politica e riducendo i parlamentari. Non sono decisioni rinviabili. La macchina pubblica è troppo ingombrante, ed era evidente già negli anni novanta. Invece la politica ha fatto delle scelte non condivisibili, creando un sistema di società laterali, a partecipazione pubblica. Aziende che non stanno sul mercato, gestite politicamente con i trombati di turno, e in cui si fanno assunzioni senza controllo. Questo sistema rappresenta un freno allo sviluppo delle aziende. Dobbiamo invece garantire la concorrenza e affidare l’erogazione dei servizi alle migliori imprese sul mercato”.
 
Come giudica gli interventi del governo Monti?
“Sono d’accordo con il premier quando dice che l’Italia ce la farà sola. Bisogna però partire da un’analisi: le nostre imprese hanno le ali di piombo, dobbiamo tagliare il debito e alleggerire la gestione del patrimonio pubblico. Si parla in questi giorni di revisione della spesa. Se il governo si pone l’obiettivo di non aggravare la pressione fiscale con l’aumento dell’Iva allora coglie i bisogni del Paese. Altrimenti è un’altra occasione persa. Per quanto riguarda invece la Pubblica amministrazione, in Italia convivono livelli elevati di efficienza e livelli molto bassi. Per questo i tagli dovrebbero essere fatti in maniera chirurgica e meno trasversale. Rivolgo inoltre una critica attenta al Governo Monti. Mi piacerebbe che si smettesse di parlare di sacrifici e rigore, e si cominciasse a illustrare praticamente cosa bisogna fare per non aumentare di due punti l’Iva e avere un abbattimento di mezzo punto della tassazione. L’esecutivo indichi tempi certi e inizi a disegnare un futuro, cercando di rendere appetibili per i privati nuovi investimenti e grandi opere. Siamo alle porte di decreti che affrontano il problema della crescita. Monti usa una immagine forte quando dice: ‘Noi eravamo sul precipizio e ci siamo allontanati, ma il cratere si sta allargando e ci sta rincorrendo’. Questo paragone non coglie un aspetto: il cratere si sta ingrandendo anche per colpe di altri. Man mano però che il cratere si allarga, si sta riducendo la forza riformatrice dell’esecutivo. Ciò perché stanno iniziando di nuovo le trattative con i partiti in vista delle elezioni politiche. Il governo ha le competenze per stimolare lo sviluppo, e deve avere il coraggio di prendere delle decisioni importanti”.
Usciremo dalla crisi se ci sono delle proposte e il governo tecnico saprà fare delle scelte. Qual è la proposta della Cna?
“Abbiamo vissuto negli ultimi cinque anni una situazione di grave difficoltà politica e naturalmente di rappresentanza. Il nostro sistema associativo non era più una ‘cinghia di trasmissione’, non rappresentava più una cultura politica. E quindi perché le imprese sarebbero dovute venire da Cna? Abbiamo risposto nel miglior modo: l’organizzazione deve essere utile alle imprese. Noi siamo in grado oggi di trovare risposte, fornire competenze e garantire qualità e prezzi competitivi. Con i nostri soci scambiamo opportunità e prestazioni di servizi. Questa per noi è stata la nostra prima grande scelta. Siamo riusciti a fare una cosa in controtendenza all’azione politica votata più alla frammentazione e al federalismo. Puntiamo tutto sul fare massa critica, con l’idea centrale di crescita e sviluppo e la compattezza di una associazione che diventa davvero un interlocutore istituzionale.
 
“Abbiamo costruito un sistema societario nazionale che ha un livello di complessità straordinario, scegliendo delle partnership addirittura esterne all’associazione, una scelta culturalmente importante che non avremmo fatto fino a 3 anni fa. Oggi lavoriamo con grandi imprese nazionali, stando sul mercato dei servizi tradizionali e innovativi (contabilità, sicurezza, processi di internazionalizzazione, formazione, e in tanti altri settori). Tendiamo ad avere una visione che tutela il socio ma che aggredisce anche il mercato. Su un milione e mezzo di imprese artigiane, noi ne associamo ben 300 mila. L’unione di tutte le organizzazioni dell’artigianato ne associano meno del 50 per cento. Quindi abbiamo ragionato anche come una azienda di servizi: scambiamo con loro interessi e rappresentanze in cambio della prestazione di servizi. Una prima fase di innovazione che sta dando risultati significativi”.
 
Come nasce il progetto, a cui aderisce anche la Cna, di Rete Imprese Italia?
“Abbiamo ragionato nel 2006 all’idea di unificare la rappresentanza. Eravamo consapevoli di essere piccoli per incidere separatamente. Il nostro Paese può essere grande solo se fa ‘sistema’ e il mercato odierno non fa più differenza tra artigiani, contadini, imprenditori e commercianti. Che senso ha essere divisi se lavoriamo in maniera integrata? Dirlo era semplice, ma strappare dal cuore di ognuno di noi decenni di orgoglio, esperienza e partecipazione politica era molto più complicato.
 
“Abbiamo pensato di costituire un’associazione ombrello, a cui ogni impresa cedesse un pezzo di sovranità. Hanno aderito cinque organizzazioni imprenditoriali: Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti. Per la costituzione non siamo partiti dai problemi che uniscono le imprese, bensì dai valori su cui tutti potevano identificarsi. E da questa valutazione è nata un’esperienza straordinaria: Rete Imprese Italia, che lo scorso maggio ha compiuto due anni di vita.
 
“Un collegamento strutturato secondo modalità informali, che si traduce nella produzione di documenti condivisi e nella scelta di adottare portavoce unitari ai tavoli di concertazione istituzionale, governativa e parlamentare. Oggi palazzo Chigi dialoga con sette associazioni e non più con quarantaquattro. Essersi uniti è stato dirimente per noi, ma anche per gli altri.
 
“Questa esperienza ci fa rendere conto del peso che abbiamo avuto oggi sul mercato del lavoro, sul Salva-Italia e sul decreto in tema di bancabilità dei crediti della Pubblica amministrazione.
“Rete Imprese Italia non ha annullato la storia e l’identità delle singole organizzazioni, ma ha rilanciato il ruolo delle Pmi come asse portante del sistema produttivo del Paese”.
 

 
Ivan Malavasi, nato a Correggio (RE) nel 1948, è imprenditore nel settore della meccanica di precisione. Tra i vari incarichi ha svolto quello di consigliere di amministrazione della Cassa di Risparmio di Reggio Emilia. Dal luglio 1999 al novembre 2002 è stato presidente della Cna federazione regionale dell’Emilia Romagna. Il 20 luglio 2002 è stato nominato presidente nazionale della Cna, Confederazione nazionale dell’Artigianato e della Piccola e media impresa. Lo scorso anno, da luglio a dicembre, è stato presidente pro tempore di Rete Imprese Italia.

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