Il prof. Sciacca (Uni Ct): “Basta una sola fibra inalata e si rischia di ammalarsi di tumore”
PATERNÒ (CT) – L’allarme amianto nella zona pedemontana dell’Etna stavolta non viene da Biancavilla, ma da Paternò, per via dei tubi di una lunga condotta collegata alla rete idrica e ancora in Eternit.
Per anni questo materiale protetto da un brevetto internazionale – veniva prodotto anche in una fabbrica siciliana, poi chiusa, nella zona industriale di Siracusa – era stato impiegato per isolare, produrre tubi e tettoie ondulate, realizzare freni di automobile. Era, come suggeriva il nome, eterno. Ma causava dei problemi serissimi per la salute (vedi box), dall’asbestosi al cancro, per cui venne messo fuori legge nel 1992.
L’Eternit è tornato alla ribalta nel febbraio scorso con una sentenza considerata epocale: la condanna, a Torino, dei manager dell’azienda, un miliardario svizzero e un barone belga, a 16 anni di reclusione per disastro doloso e rimozione di misure antinfortunistiche nello stabilimento di Casale Monferrato.
Dopo la sentenza, si è registrata una nuova sensibilità degli italiani nei confronti delle malattie causate dall’amianto. E a Paternò, il 2 luglio scorso, è stata presentata all’Ama, l’Azienda acquedotto municipale, e per conoscenza al sindaco, una diffida. Firmata dai proprietari di un terreno attraversato da una tubazione che dal pozzo Ardizzone giunge fino ai confini con Belpasso. La condotta, in maggioranza fuori terra anche se occultata tra gli aranceti, è lunga parecchi chilometri e sfiora zone intensamente popolate, come il quartiere Ardizzone.
“Abbiamo presentato la diffida – afferma il dott. Salvo Salemi, medico – perché riteniamo che l’acqua potabile, quando passa attraverso questi tubi in Eternit, spesso danneggiati e vandalizzati, possa diventare rischiosa per la salute: attraverso la rete idrica, potrebbero diffondersi le microfibre del pericolosissimo amianto”.
D’altra parte già nel 2005 l’Ama, a quel tempo diretta da Giovanni Rao, aveva ordinato una perizia sull’acqua proveniente dal Pozzo Ardizzone.
“Bisogna sottolineare – spiega Rao, oggi consulente dell’azienda – che la condotta non è di proprietà dell’Ama, ma della Acque Nord, gestore di un pozzo che ci fornisce acqua potabile anche attraverso la condotta in cemento amianto, peraltro conforme alla legge e ai dettami dell’Organizzazione mondiale della sanità. Come ricordato, nel 2005, per un eccesso di cautela e zelo, commissionammo un’analisi all’acqua della condotta alla ricerca di particelle di amianto. Ma non ve ne era alcuna”.
Lo stesso prof. Salvatore Sciacca, ordinario di Igiene dell’Università di Catania e responsabile scientifico del Registro tumori, conferma che “solo raramente si ritrovano fibre di amianto disciolte in acqua, e queste, persino se vengono ingerite, si dileguano con il bolo alimentare”.
Completamente diversa la situazione se la fibra silicea di amianto, 1.300 volte più sottile di un capello umano, viene inalata.
“L’amianto o asbesto – spiega Sciacca – provoca in particolare il mesotelioma pleurico, un tumore che si sviluppa molto lentamente. Quando si inala una fibra di amianto, questa, essendo più lunga dei linfociti T4, le cellule che attaccano i corpi estranei, non può essere eliminata dal nostro sistema immunitario. L’absesto si insedia così nel tessuto e, come una bomba a orologeria, può indurre il cancro anche dopo molti anni”.
Il problema per la salute pubblica, a Paternò, dunque, risiede non nell’acqua ma nell’aria, perché in essa possono diffondersi le infinitesimali fibre-killer provenienti dai manufatti in Eternit danneggiati.
“Lungo il tragitto della condotta – racconta il dott. Salemi –, che attraversa una zona intensamente popolata come il quartiere Ardizzone, si trovano, abbandonati, vecchi tubi di cemento amianto, ormai frantumati. Sono pericolosissimi e, a norma di legge, andrebbero smaltiti da personale specializzato con complesse procedure. Due di questi grossi tubi si trovavano proprio sul nostro terreno e sono stati portati via circa un mese fa dagli operai del Pozzo Strano. Ecco, in una situazione del genere io credo che la popolazione debba essere avvertita dei rischi che corre”.
Tanto più che nel quartiere Ardizzone si trovano l’ospedale, scuole, la villa comunale. Urge, dunque, una bonifica. Perché, come sottolinea il prof. Sciacca, “vero è che nessuna legge impone di eliminare una tubatura in Eternit, ma è altrettanto vero che bisogna tenerla in sicurezza attraverso un costante trattamento esterno con apposite resine”.
“Inoltre – prosegue il docente – un tubo rotto o screpolato deve essere immediatamente cambiato. Insomma, occorre una costante sorveglianza, perché basta una sola fibra inalata, e, dopo venti, trenta, cinquant’anni, ci si potrebbe ritrovare affetti da un tumore mortale”.
Il neo sindaco di Paternò, Mauro Mangano, ha messo il problema della messa in sicurezza del territorio tra le sue priorità. E, sulla vicenda, sottolinea “la necessità di una collaborazione costante, non saltuaria, con l’Università e le istituzioni per passare dalla repressione alla prevenzione di questo tipo di fenomeni”.
“È fondamentale, poi – conclude – tenere un costante contatto con i cittadini, che sono i nostri occhi, e possono aiutarci a vigilare”.
La storia dell’Eternit-killer e della fluoroedenite etnea
CATANIA – Il marchio Eternit venne registrato dall’austriaco Ludwig Hatschek, che nel 1901 brevettò il cosiddetto fibrocemento, utilizzato inizialmente per l’edilizia, poi perfino per realizzare sedie da spiaggia. Nel 1928 si cominciarono a produrre con questo materiale tubi che fino al 1970 e oltre rappresenteranno lo standard nella costruzione di acquedotti. A individuare come assassine le fibre di amianto o asbesto (il nome deriva dal greco e significa inestinguibile, nel senso che non veniva consumato dal fuoco), fu uno studioso americano, Irving Selikoff. Quest’ultimo, pioniere del settore della Medicina del lavoro, negli anni Sessanta del secolo appena trascorso, dopo uno studio su quasi 20 mila lavoratori, confermò che l’esposizione all’absesto anche per un periodo brevissimo poteva provocare il cancro.
Le minime dimensioni delle fibre silicee di questo materiale gli consentono infatti di disperdersi nell’aria ed essere inalato dall’uomo, fissandosi nei polmoni dove provoca prima l’asbestosi, poi tumori come il mesotelioma pleurico e il carcinoma al polmone.
Secondo l’Oms già poche fibre di amianto per metro cubo d’aria possono provocare un caso di tumore alla pleura per 100 mila persone l’anno.
A pochi chilometri da Paternò, nel Comune di Biancavilla, ogni anno si registrano diversi morti per mesotelioma per via della fluoroedenite, sostanza simile all’asbesto contenuta nel materiale estratto dalle cave etnee di Monte Calvario con cui, fino al 1998, sono stati costruiti case e palazzi del paese.