Rapporto di Green Impact, l’Umbria è la regione più virtuosa mentre l’Isola è fanalino di coda insieme a Liguria e Basilicata
Sembra impossibile, ma legare un cane ad una catena, magari per tutta la durata della sua vita, oggi è ancora legale in gran parte d’Italia. Lo rivela il Rapporto “Verso il divieto di tenere i cani legati alla catena” realizzato da Green Impact, startup non lucrativa che promuove pratiche trasformative ecologiche ed economiche, in collaborazione con Save the Dogs and Other Animals, associazione italiana impegnata nella lotta al randagismo e nella tutela degli animali.
Il Rapporto, il primo di questo genere, passa in rassegna le normative regionali Italiane e quelle di numerosi Stati dell’Unione Europea ed extra-UE, individuando carenze legislative e modelli positivi. Un documento realizzato grazie ai preziosi contributi di esperti nel campo del diritto, dell’etologia e della veterinaria quali il Enrico Alleva, (etologo italiano), Ádám Miklósi (etologo ungherese), Regina Binder (Università di Medicina Veterinaria, Austria), Alexandre Barchiesi (Consiglio Svedese dell’Agricoltura, Dipartimento per la Salute e il Benessere degli Animali) e la Heather Rally (medico veterinario Usa).
“Per la prima volta viene analizzata dal punto di vista etologico, veterinario e legale una pratica di cui non si parla mai abbastanza – spiega la Presidente di Green Impact Gaia Angelini – e che è ancora largamente diffusa, in Italia e nel mondo, per mancanza di informazione ma anche di normative chiare ed efficaci”.
Da quanto emerge nel Rapporto in Italia ci sono regioni che sulla carta appaiono “virtuose”, come l’Umbria e la Campania, e che vietano chiaramente la detenzione dei cani a catena, ma quando si approfondisce si scopre, ad esempio, che la Regione Campania non ha previsto sanzioni, rendendo la norma sostanzialmente non attuabile. Fanno abbastanza bene anche Abruzzo, Emilia-Romagna (che è stata la prima regione italiana nel 2013 ad aver vietato l’utilizzo della catena per i cani), Lombardia, Veneto e Puglia mentre fanalino di coda sono Liguria, Basilicata e Sicilia, regioni che non hanno regolamentato la materia, lasciando un vero e proprio vuoto normativo.
“Risulta evidente la necessità e l’urgenza di rivedere nella maggior parte delle regioni italiane le leggi che regolamentano la detenzione a catena – commenta la Presidente di Save the Dogs, Sara Turetta – perché risultano poco chiare, incapaci di tutelare davvero gli animali o piene di deroghe che lasciano spazio a troppe scappatoie. Ci auguriamo che il divieto di detenzione a catena diventi parte integrante di una legge nazionale sul maltrattamento e che, in caso contrario, Governatori prendano provvedimenti affinché la normativa sia coerente con la rinnovata sensibilità degli italiani su questi temi”, conclude Sara Turetta.
Le ricerche effettuate dimostrano che è doveroso vietare la detenzione dei cani a catena perché si tratta di una condizione incompatibile con il loro benessere. Benché, infatti, le normative spesso distinguano tra un cane detenuto a catena e un cane a catena in condizione di maltrattamento, gli scienziati e i ricercatori che hanno contribuito al Rapporto concordano che la vita di un cane costretto alla catena è, in sé e per sé, una forma di maltrattamento, con conseguenze oggettive sullo stato psicologico, emotivo e fisico dell’animale.