Da 15 anni il QdS chiede i termovalorizzatori, ma tutti i Presidenti (di sinistra e destra) sono rimasti sordi
PALERMO – Il 27 marzo scorso, sulle colonne del nostro quotidiano, avevamo iniziato il countdown per la chiusura della discarica di Lentini. Infatti, il 30 aprile il sito chiuderà i battenti per i circa 150 comuni che vi conferiscono. Un’ennesima emergenza rifiuti che poteva essere evitata investendo, a tempo debito (questo giornale lo scrive da almeno dieci anni), in termovalorizzatori e altri impianti di smaltimento. Invece, negli ultimi anni, si è sempre preferito spendere per aumentare il volume delle discariche (vedi l’ampliamento della sesta vasca e la realizzazione di una settima a Bellolampo) e trasportare rifiuti da una parte all’altra dell’Isola.
Addirittura, quando da un comune arrivava la proposta di costruire impianti di smaltimento, è capitato che la Regione si sia messa di traverso.
È il caso del Comune di Catania. “Già due anni fa – ha dichiarato l’assessore all’ambiente etneo Fabio Cantarella – abbiamo avviato l’iter per realizzare un impianto di digestione anaerobica per il trattamento dell’umido su Pantano D’Arci. Dopo due anni, aspettiamo di capire che cosa voglia fare la Regione”. Questo temporeggiamento ha portato non poche difficoltà al Comune. “Avere questo impianto – continua – sarebbe stato importante perché stiamo ampliando il porta a porta in città (recentemente il servizio è stato esteso alla Civita ed entro maggio arriverà anche a San Giovanni Galermo, nda) e la piattaforma della Raco ci ha rifiutato l’umido per un mese e mezzo costringendoci a portarlo in discarica”. Per questa vicenda l’assessore ha anche presentato una denuncia ai Carabinieri del Noe che adesso stanno indagando.
Adesso, per far fronte a un’emergenza che sembra dietro l’angolo, la Giunta Musumeci sembra non avere altre opzioni che portare la spazzatura fuori dai confini isolani. In barba al nuovo Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani (Prgu) che sottolinea come il rifiuto deve essere lavorato, riciclato o smaltito nella stessa provincia in cui è prodotto. “Cosa che non è mai accaduta” ci ha riferito l’assessore Cantarella. Se il trasporto extraregionale dei rifiuti si verificasse, oltre a provocare ulteriore inquinamento, renderebbe concreto il rischio di un innalzamento della Tari, che è già una delle più alte d’Italia: secondo Cittadinanzattiva, nel 2020, nella Sicilia orientale si è pagato, in media, 504 euro a famiglia. Mentre secondo uno studio più recente condotto dalla Uil, Trapani sarebbe la città con la Tassa sui rifiuti più cara d’Italia: 494 euro a famiglia. E non scherzano nemmeno Messina (450 € a famiglia), Catania (403) e Palermo (282).
Eppure, la Regione sapeva già da tempo del rischio di saturazione della discarica di Grotte San Giorgio e quindi che la Sicilia si sarebbe trovata in piena emergenza. Esattamente dall’11 maggio 2020, quando l’allora presidente della Sicula trasporti, Vito Branca, aveva inviato una lettera riservata a palazzo d’Orleans in cui annunciava l’imminente riempimento dell’ultima vasca autorizzata alla società. Nonostante i dieci mesi di preavviso, la Giunta Musumeci si è mossa solo nell’ultimo mese. E anche in modo confuso.
Il primo step è stato rendere operativo il nuovo Prgu, che però entrerà realmente in azione solo dopo il voto, a Sala d’Ercole, della riforma sui rifiuti (il cui testo finale potrebbe uscire domani dalla commissione Ambiente dell’Ars). Con questo nuovo piano alle Srr è stato affidato dalla Regione il compito di stimare e pianificare il fabbisogno impiantistico (senza però finanziarle adeguatamente). Il secondo step è rappresentato dalla delibera 138 del 31 marzo con la quale si dà mandato al dipartimento regionale della Programmazione di riprogrammare i fondi del Po Fesr, del Patto per la Sicilia e del Poc per destinare 45 milioni di euro per “fare fronte ai costi di un eventuale trasferimento extraregionale della quota dei rifiuti eccedente la capacità di smaltimento degli impianti regionali”. Il seguito di questa delibera è arrivato il 13 aprile dal dipartimento dell’Acqua e dei rifiuti, che ha pubblicato un avviso pubblico finalizzato all’acquisizione di manifestazioni di interesse per affidare il trasporto. Nell’avviso, inoltre, si fa riferimento anche al quantitativo di rifiuti che varcheranno i confini regionali: 75mila tonnellate al mese per 12 mesi.
“La Srr – chiosa Cantarella – ci ha prospettato che i costi saranno più che triplicati. Oggi paghiamo circa 105 euro a tonnellata. Portando i rifiuti ai termovalorizzatori emiliani, in Campania, o in altri stati europei, pagheremo 350-400 euro a tonnellata. I due milioni al mese che paghiamo per conferire in discarica, diventeranno 6,5 milioni al mese”.
Facendo un piccolo calcolo si può intuire quanto in realtà siano insufficienti 45 milioni. Considerando almeno 200 euro in più a tonnellata e moltiplicandolo per le 75 mila tonnellate indicate come fabbisogno dall’avviso di cui sopra, si arriva ad almeno 15 milioni di euro extra ogni mese, cioè 180 milioni in un anno di costi maggiorati per sostenere le spese di esportazione. Arricchendo così le già opulente amministrazioni del Nord e, paradosso nel paradosso, al contempo portando il “carburante” che in quelle regioni serve per alimentare i riscaldamenti di famiglie, imprese, strutture pubbliche.
“Questi 45 milioni – continua Cantarella – non sono la soluzione. Dobbiamo fare gli impianti”. In tal senso, il primo aprile, la Giunta Musumeci ha emanato la delibera 143. Delibera con la quale si commissariano le Srr in quanto “hanno mostrato una sistematica inerzia sul tema della programmazione degli impianti” e si chiede di destinare 264 milioni (sempre nell’ambito della riprogrammazione, che ancora non è avvenuta, della delibera 138 del 31 marzo) per la realizzazione di impianti di smaltimento rifiuti e di implementare di tre milioni il fondo di rotazione per la redazione di progetti di fattibilità tecnico-economica.
Finalmente un passo concreto verso la costruzione di impianti adeguati verrebbe da dire. Tra i 13 impianti da realizzare non vengono citati termovalorizzatori, ma salta all’occhio un “impianto per il recupero energetico di rifiuti non pericolosi (R1)” che dovrà essere costruito in un luogo non precisato della Sicilia. Per questo impianto sono stati stanziati 40 milioni di euro. Potrebbe trattarsi di un’apertura verso i termovalorizzatori, anche perché da ambienti dell’assessorato guidato da Daniela Baglieri si apprende che il parere su questi impianti è favorevole. Ma si tratta di un’apertura in chiaroscuro. Invece, nel testo della delibera è chiarissimo che sono previsti oltre 30 milioni di euro per costruire circa 1,8 milioni di metri cubi di nuove vasche dove ammassare rifiuti.
La denuncia del Procuratore etneo, Carmelo Zuccaro, audito dalla Commissione Ecomafie
CATANIA – Una delle problematiche connesse alla saturazione delle discariche siciliane è quella relativa allo smaltimento dei fanghi prodotti dal processo di depurazione delle acque reflue. Smaltimento che prevede tre possibilità: il riutilizzo in agricoltura, l’incenerimento e, come opzione residuale, il conferimento in discarica. Quest’ultima soluzione, che comporta un grave danno ambientale in quanto i percolati prodotti da questa tipologia di rifiuto sono maggiori in quantità e peggiori in qualità, è quella più usata in Sicilia.
Insieme all’esportazione in altre zone d’Italia, operazione che ha, ovviamente, dei costi elevatissimi. Tutto questo accade perché il riutilizzo in agricoltura dei fanghi è possibile solamente se si tratta di fanghi che derivano dai reflui urbani e, purtroppo, nei depuratori dell’Isola c’è una commistione di reflui urbani e industriali.
“La problematica del tutto scorretta di smaltimento dei fanghi – ha dichiarato il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, durante un’audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti – è in linea con la politica siciliana, tra le più inefficienti d’Italia, di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, di cui i fanghi rappresentano una categoria del tutto particolare. Il problema dello smaltimento dei rifiuti è uno dei problemi ambientali più gravi”. Secondo il procuratore etneo la situazione non è destinata a migliorare in quanto “non vi è dubbio che ci sono interessi privati che sono assolutamente convergenti nel rendere questa situazione critica una situazione da perpetuare nel tempo”.
Il prevalente conferimento in discarica dei fanghi, il fatto che si sia costretti (per insufficienza dei siti) ad effettuare trasporti fuori dalla Sicilia e a richiedere l’apertura di nuove discariche “attraverso una valorizzazione speculativa – dice Zuccaro – di terreni appartenenti a soggetti in grado di influire sulle scelte dell’Amministrazione nella localizzazione di nuovi siti”, sono situazioni nelle quali “l’attuale inerzia della Regione nell’adottare decisioni volte ad invertire questa situazione finisce per dare luogo a speculazioni private”.
Speculazioni che hanno portato a “grossissime coagulazioni di interessi di carattere illecito”. Insomma, la procura di Catania è convinta che nell’ambito della gestione dei rifiuti, in Sicilia, inefficienze amministrative e interessi speculativi di autotrasportatori e proprietari di terreni utilizzati per le discariche “vadano a braccetto”.
Il “guazzabuglio” della gestione siciliana
PALERMO – Le Srr (Società per la regolamentazione del servizio di gestione dei rifiuti) sono degli enti di governo istituiti dalla Regione siciliana a seguito della legge 9 dell’8 aprile 2010 sulla riforma delle Ato (Ambiti territoriali ottimali). L’articolo 6 di questa legge prevede, infatti, che per ogni “nuova” Ato (attualmente in totale sono 18) le province e i comuni che vi appartengono costituiscono una società consortile di capitali per l’esercizio di determinate funzioni: l’organizzazione territoriale, l’affidamento e la disciplina del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, l’espletamento delle procedure per l’individuazione del gestore di questo servizio e l’adozione del Piano d’ambito (il quale è il principale strumento attuativo del Piano regionale dei rifiuti).
Oltre a questi oneri, le 18 Srr hanno anche il compito di verificare il raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi determinati nei contratti di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti. Compito al quale è connesso l’accertamento della realizzazione degli investimenti e dell’utilizzo dell’impiantistica indicata nel Piano d’ambito. In pratica sono poche le cose che cambiano dalle ex Ato, infatti, nel 2016, l’Anac aveva già indicato come “le Srr sarebbero connotate dalle medesime criticità proprie delle ex società d’ambito” suggerendo “la loro trasformazione in enti di diritto pubblico” a discapito della forma attuale di società consortili di capitali.
Con l’ultimo Prgu reso operativo da Musumeci e Baglieri il 12 marzo scorso dopo il placet del Cga, le Srr hanno acquisito un ulteriore compito, quello di stimare e pianificare il fabbisogno impiantistico del territorio in cui si trovano. Inoltre, nella riforma che attualmente è in discussione all’Ars, gli Ato (e di conseguenza anche le Srr) potrebbero essere ridotti da 18 a 9. L’ultima novità normativa che riguarda le Srr è arrivata con la già citata delibera 143 del primo aprile 2021, che ha disposto il commissariamento delle Società.