Serve il Ponte, chi vuole ancora i traghetti, inquina lo Stretto - QdS

Serve il Ponte, chi vuole ancora i traghetti, inquina lo Stretto

Serve il Ponte, chi vuole ancora i traghetti, inquina lo Stretto

venerdì 23 Aprile 2021

L’ingegnere Mollica: “Con il collegamento stabile verrebbero emesse ogni anno 140 mila tonnellate in meno di CO2”. L’ex dirigente regionale spiega: “Quelle navi come piccole centrali elettriche a olio combustibile in pieno centro urbano”

Ogni settimana, le venti navi addette al traghettamento sullo Stretto di Messina, compiono 1500 volte la spola tra Sicilia e Calabria. Ovvero percorrono 7,32 chilometri (il doppio della distanza tra l’Isola e l’Italia) 1500 volte, per un totale di 10.980 chilometri percorsi alla settimana. Numeri che incidono inevitabilmente sull’ambiente, considerando che questi mezzi tengono i motori accesi 24 ore su 24, anche quando sono fermi. Secondo uno studio condotto dall’ingegnere Giovanni Mollica, l’imponente presenza di navi sullo stretto è un’altissima fonte di emissioni, inquinanti per l’ambiente e velenose per l’uomo.

Da questo report risulta che ogni anno i traghetti dello Stretto producono 149.688 tonnellate di CO2, 327 tonnellate di ossido di carbonio, 748 tonnellate di ossido di azoto, 82 tonnellate di idrocarburi incombusti, 117 tonnellate di particolato e 4.916 tonnellate di altamente velenosi ossidi di zolfo. Numeri che da soli non bastano a rendere l’idea di quanto, in realtà, l’attuale sistema di attraversamento dello Stretto è poco ecosostenibile.

Non bastano perché a questi dati si devono aggiungere anche quelli relativi ai rifiuti solidi, ai liquami e alle acque reflue che le navi operanti nella tratta producono. Non può essere un caso che i fondali di quest’area sono i più inquinati al mondo, come mostrato da uno studio dell’università di Barcellona pubblicato sulla rivista scientifica Environmental a inizio del 2021. Studio che rivela come nei fondali dello Stretto è stata registrata la densità di rifiuti più elevata di tutti i mari del pianeta, con variazioni che vanno da 121.000 fino a 1,2 milioni di articoli per chilometro quadrato. A sostenere il danno ambientale causato dai mezzi di Caronte-Tourist, Bluferries/Rfi, Blu Jet e Meridiano (le compagnie che effettuano il servizio di traghettamento) è anche un ex dirigente regionale che per quarant’anni si è occupato di inquinamento ambientale, Ninni Cuspilici. “I traghetti – ha dichiarato al QdS – con i loro potentissimi motori scaricano grandi quantità di inquinanti, come se fossero delle piccole centrali elettriche ad olio combustibile in pieno centro urbano. Con la differenza che, nelle navi, lo scarico (che non ha sistemi di filtraggio) avviene a qualche metro da terra e quindi concentrato”.

Secondo Cuspilici “i diversi decenni di attività dei traghetti hanno esposto gli abitanti delle due sponde dello Stretto ad altissimi livelli di inquinamento, quindi è necessario provvedere con urgenza ad una Vis (Valutazione di impatto sanitario, nda) sulle popolazioni, per verificare l’eventuale rapporto tra inquinamento e stato di salute e se c’è presenza di patologie oncologiche, malformazioni, eccessi di mortalità”.

Eppure, a tutto questo una soluzione c’è. Una soluzione che viene discussa e accantonata dal 1866: la costruzione di un ponte tra Sicilia e Calabria. “Dallo studio condotto – ci spiega Giovanni Mollica – nonostante con un collegamento stabile il percorso si allungherebbe di 8,76 chilometri per le automobili e di 18,3 per i veicoli commerciali, risulta che il ponte contribuirebbe ad una notevole riduzione dell’inquinamento. Verrebbero emesse ogni anno circa 140 mila tonnellate in meno di CO2, 200 tonnellate in meno di ossido di carbonio, 1300 in meno di ossidi di azoto, 100 in meno di particolato, 200 in meno di idrocarburi incombusti e 100 in meno di ossidi di zolfo”.

A confermare i risultati del report ci sono anche altri studi. Come quello della Società elettrica italiana, ente che si occupa di progettare e installare impianti ad alta tecnologia per la produzione di energia elettrica e per l’ottimizzazione ambientale ed energetica dei materiali, condotto nell’ambito di una proposta per l’installazione di aereogeneratori sull’ipotetico ponte tra Sicilia e Calabria. Questa società ha valutato addirittura che con la costruzione del ponte le emissioni di CO2 verrebbero abbattute di 312.431 tonnellate all’anno, quelle di ossidi di azoto di 5.880 e quelle di SO2 di 4.545.

Fino ad oggi, uno dei motivi per cui quest’opera altamente strategica per la Sicilia non è stata realizzata è proprio quello legato al suo ipotetico impatto ambientale. Impatto che non è paragonabile a quello del sistema di attraversamento attuale. I dati dimostrano chiaramente che la costruzione del ponte è necessaria, oltre che per rilanciare l’economia, anche per tutelare la salute dell’ambiente e dei cittadini. Nonostante ciò, la commissione tecnica del Mims sul collegamento tra Sicilia e Calabria, istituita durante lo scorso esecutivo, ancora non ha dato il via libera alla cantierabilità dell’opera, che nel frattempo è stata estromessa sia dal Recovery Fund che dal piano da 83 miliardi per sbloccare le grandi opere pubbliche varato qualche settimana fa dal Governo Draghi.

E non si capisce il perché, in quanto, come più volte riportato sulle colonne di questo giornale, il progetto c’è ed è valido: quello di WeBuild, inspiegabilmente stoppato anni fa dal Governo Monti nonostante fossero già stati spesi 300 milioni di euro. Questo progetto prevede la costruzione di un ponte a campata unica tra Sicilia e Calabria con un investimento di circa 7,9 miliardi di euro, e garantirebbe la fine dei lavori in sei anni. Tra l’altro, il percorso procedurale per l’inizio del cantiere potrebbe essere riattivato in tempi celeri. Secondo i tecnici del gruppo di costruzioni in sette mesi al massimo potrebbero compiersi tutte le azioni necessarie per cantierare l’opera.

“Si tratta di un progetto – chiosa Mollica – approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, da ferrovie e dal Cipe con delle prescrizioni che sono state tutte rispettate. È stato verificato dai più grandi costruttori del mondo: Steinman (colui che ha inventato i ponti sospesi) e Parsons (colui che ha verificato tutti i grandi ponti esistenti) hanno detto chiaro e tondo che il ponte non solo era fattibile, ma che il progetto aveva delle caratteristiche uniche al mondo”.

Insomma, per la costruzione del ponte non manca nulla, tranne la volontà politica, che si dimostra totalmente distaccata da quella sociale siciliana e calabrese, tanto che a Palermo e Reggio Calabria i due governatori stanno pensando di realizzarsela da soli l’opera, unendo le forze direttamente con WeBuild. Anche perché, per dirla con le parole di Pino Pace, presidente di Unioncamere Sicilia, già “ci sono la capacità e le risorse per costruirlo, chi dice il contrario non ha a cuore le sorti della nostra Isola”. E neanche dell’ambiente.


“Ponte fuori dal Recovery fund? Gravissimo tradimento per l’Isola”

Sull’infrastruttura più discussa del Paese, interviene l’ex senatore Salvo Fleres

MESSINA – Il ponte sullo Stretto, oltre ad essere sostenibile ambientalmente, lo è anche economicamente. A spiegarlo è Salvo Fleres, ex senatore della Repubblica italiana, portavoce e segretario del movimento Unità siciliana – Le api.

Quali possono essere i fondi da cui attingere per realizzare il ponte?
“Il ponte in totale costa 7,9 miliardi. Ma questi 7,9 miliardi bisogna dividerli in modo da tenere conto delle opere infrastrutturali sulla terra ferma. Cioè le strade e ferrovie lato Calabria, che valgono 3,1 miliardi, e le strade e ferrovie lato Sicilia, che valgono 1,1 miliardi. La struttura sospesa in quanto tale costa 2,9 miliardi in base al progetto iniziale. Queste somme potrebbero essere coperte accedendo alle opportunità di defiscalizzazione (Ires, Irap e Iva) per un valore complessivo di 5,3 miliardi e a una serie di risorse che vanno dal fondo Ten-T europeo per il corridoio Mediterraneo-Scandinavo, al fondo per l’emergenza Covid-19 della Bce. Inoltre, il progetto può accedere ad altri fondi comunitari, come ad esempio quelli non spesi del fondo coesione e sviluppo 2014-2020 (circa 30 miliardi) o quelli dello stesso fondo relativi agli anni 2021-2027. A quanto pare non entrerà nel Recovery fund ed è un gravissimo errore. Un gravissimo tradimento che la Sicilia sta subendo”.

Quale sarebbe il ritorno economico di un collegamento stabile fra Sicilia e Calabria?
“Il ponte consentirebbe da un punto di vista legato al traffico veicolare e ferroviario una notevolissima riduzione dei tempi di percorrenza. Inoltre, attraverso il ponte, potremmo intercettare con i porti di Gela, di Palermo e di Sciacca, gran parte del traffico merci proveniente dal Canale di Suez, che attualmente è diretto verso lo stretto di Gibilterra e di lì verso i porti del Nord Europa. In questo modo la Sicilia diventerebbe una grande piattaforma logistica di carattere Euro-Mediterraneo. E diventerebbe anche un luogo di lavorazione delle merci che dalla Sicilia partirebbero per altre parti d’Europa. Il ritorno economico sarebbe enorme. C’è uno studio secondo il quale in circa 30 anni di gestione, si genererebbero circa 105 miliardi di entrate per lo Stato. Una cifra notevole che da sola rappresenta lo 0,3-0,4% del Pil italiano”.

Senza contare l’occupazione che garantirebbe…
“Certo. Non solo per la realizzazione dell’opera per cui si stima andranno a lavorare oltre 10 mila persone. Ma soprattutto per quello che significa per il sistema economico siciliano e meridionale. Non capire che il Ponte sia un’infrastruttura strategica e di fondamentale importanza significa non avere capito quale deve essere il destino del nostro Paese o comunque favorire certe lobby o interessi economici. Tra l’altro ormai è chiaro anche il fatto che il ponte è tutt’altro che contrario agli interessi della tutela ambientale”.

Allora perché continua ad esserci tanta reticenza sulla costruzione del ponte?
“La mia opinione è che contro il ponte ci sia la lobby dei traghetti, che si intesta ad ambienti noti alle cronache giudiziarie degli ultimi vent’anni. È evidente che il ponte cambia la fisionomia economica della zona, ma soprattutto ribalta l’ordine di ingresso, e dunque di lavorazione, delle merci. Il ponte non serve solo alla Sicilia o alla Calabria. Serve a consentire a tutto il Mezzogiorno ad essere meglio collegato e a sentirsi parte del nostro Paese e dell’Europa. Questo è il motivo per il quale costruire il ponte è importante. Ma questo stesso motivo è quello che determina, all’interno di alcune posizioni di natura economica contraria, il rischio di perdere un’opportunità importantissima”.

Secondo lei ci potrebbe essere un’apertura da parte della politica nei confronti di questa infrastruttura entro la fine della legislatura?
“Io me lo auguro. Se la politica continuerà ad essere nelle mani di un manipolo di inetti o di persone vendute a logiche non certo di sviluppo mi pare difficile. Ma bisogna insistere e, soprattutto, deve essere il popolo siciliano che si deve mobilitare. Perché il paradosso è che mentre al Nord esiste un movimento No Tav (uguale e contrario a quello che potrebbe esserci al Sud) da noi non esiste un movimento Si Ponte. I siciliani sono meno abituati a combattere per ottenere le cose che servono al loro sviluppo”.

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Un commento

  1. rosario ha detto:

    Naturalmente le migliaia di macchine ed autocarri che transiteranno sul ponte non in quineranno, ma per favore

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