"Ci sono grandi investimenti bloccati per ragioni legate a pareri, vincoli e quant’altro e stiamo cercando di porvi attenzione con l’appoggio del Governo regionale".
Gregory Bongiorno è il nuovo presidente di Sicindustria. 46 anni, di Castellammare del Golfo (Tp), laureato in Economia aziendale, è imprenditore nel settore dei servizi pubblici locali. Lo abbiamo intervistato.
Presidente, avete in programma
interventi per supportare le imprese siciliane in questa fase di rilancio?
“Noi come Confindustria nasciamo per fare questo da sempre e siamo costretti a farlo soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria ed economica caratterizzata da numeri impietosi e da quelli recenti del nostro Centro Studi emerge una situazione negativa che riguarda tutta Italia e soprattutto la Sicilia. Si prevede di chiudere il 2021 con 60 mila posti di lavoro in meno. A causa della proroga del blocco dei licenziamenti, per cui è nata una recente polemica, purtroppo molte aziende fanno contratti a tempo determinato o stagionali, altre aziende addirittura non riapriranno. Alcuni settori stanno sì ripartendo come la ristorazione, le fiere e tutto quello che riguarda il turismo, filiera che ha risentito delle restrizioni nei movimenti legati al covid, altri comparti invece non riapriranno più.
Un settore falcidiato è il commercio come si nota sia attraverso i dati degli istituti di ricerca ma anche dai tanti cartelli comparsi nelle città di esercizi commerciali in vendita o in affitto. Noi sosterremo come sempre le nostre aziende come sindacato delle imprese. Lo abbiamo fatto durante il lockdown con gli interventi sulla Cassa Integrazione, con interventi presso le Prefetture come le aperture possibili solo con autocertificazione; lo abbiamo fatto e continueremo a farlo soprattutto per rilanciarle.
Noi come Confindustria spesso siamo chiamati a fare anche delle osservazioni, delle proposte legislative e ad accendere i riflettori su molte questioni. Proprio in questi giorni abbiamo chiesto la possibilità di spalmare in più anni i debiti che le aziende hanno nei confronti delle banche, abbiamo chiesto di spostare più avanti l’entrata in vigore della norma sulla crisi d’impresa che prevede tutta una serie di “alert” in capo alle aziende ed è compresa nella più ampia norma sulla legge fallimentare che se dovesse entrare in vigore il 1 settembre come previsto, significherebbe che verrebbero segnalate dalle 6 mila alle 11 mila aziende che sarebbero quindi a rischio “default”. Questo abbiamo fatto e continuiamo a fare.
Ci sono grandi investimenti bloccati per ragioni legate a pareri, vincoli e quant’altro e stiamo cercando di porvi attenzione con l’appoggio del Governo regionale e appunto perché ci si è resi conto che il vero problema per lo sviluppo non sono tanto i finanziamenti o il credito bancario ma soprattutto le lentezze burocratiche, proprio ieri il Governo nazionale ha emanato un decreto-legge sulla fluidificazione amministrativa. Il vero rischio, infatti, è di non riuscire a spendere i 200 e rotti miliardi di euro provenienti dal Recovery Plan e quindi molte opere non si riuscirebbero a realizzare. Secondo un dato di Confindustria, per realizzare le opere pubbliche riferite ad appalti superiori a 100 milioni di euro, ci vogliono in media 15 anni e sette mesi dei quali, due terzi del tempo s’impiega nella fase della pre-gara tra ricorsi, pareri, ecc. Fatta la gara e aggiudicata, ci vogliono circa cinque anni per vedere l’opera realizzata e a volte, le opere che vengono realizzate diventano quasi anacronistiche e non più necessarie dal momento in cui sono state pensate e proposte”.
Quale altro sostegno vi aspettate dalle
istituzioni?
“Chiediamo
soprattutto riforme: sulla flessibilità del lavoro ma in special modo sullo
snellimento burocratico. Se l’imprenditore che vuole aprire un’azienda non ha
l’autorizzazione e gli viene reso difficile il procedimento amministrativo che
dovrebbe consentirgli di aprire la sua attività, in realtà non può esercitare e
non si pone nemmeno il problema dei finanziamenti. Questo la politica lo ha
capito ma occorre concretizzarlo e a questo punto nascono i problemi legati
alle interpretazioni delle norme da parte di chi deve metterle in atto. Abbiamo
tantissimo personale nelle pubbliche amministrazioni ma poco personale
realmente competente soprattutto in Sicilia”.
Andiamo alle Zone Economiche Speciali
che in Sicilia non sono di fatto ancora una realtà. State pensando a qualche
iniziativa per porle in essere?
“Noi abbiamo accolto l’istituzione delle Zes con vivo favore. È un’iniziativa utile messa il campo dal Governo nazionale e anche da quello regionale per rilanciare le zone industriali. Abbiamo aree, soprattutto quelle sotto l’egida dell’Asi, dell’Irsap e altre, spesso sotto desertificazione industriale per tante ragioni. L’istituzione delle Zes è utile per rilanciarle e attrarre anche lì nuovi investimenti, però come sappiamo, il ministro Carfagna, recentemente, ha accennato al fatto che mancano i commissari, l’istituzione dei quali sta ormai diventando l’unica soluzione per realizzare gli intendimenti dei governi, nazionale o regionale…. hanno poteri istitutivi e possono in qualche modo accelerare i procedimenti amministrativi. Il ministro ha parlato appunto della necessità di scegliere al più presto i commissari perché altrimenti anche le Zes rimarranno un’idea di sviluppo della Sicilia ma nei fatti non si potranno ancora realizzare. Auspico quindi che Governo nazionale e regionale provvedano congiuntamente quanto prima alle nomine”.
Quando, secondo lei, potrà cominciare un
vero e proprio cammino di ripresa per l’imprenditoria siciliana?
“È una domanda alla quale è molto difficile rispondere. Gli indicatori ci dicono che già dal 2022 in Europa e in Italia in generale ci sarà una ripresa in termini di pil e di ripartenza. Il problema è che ovviamente la Sicilia è tra le prime regioni, se non la prima, che presenta un gap, in termini di sviluppo economico rispetto ad altre zone del Paese, decisamente significativo, ma questo da sempre. In passato c’è stato un periodo di crisi congiunturale che ha riguardato i mutui subprime che ha colpito l’economia globale e anche il nostro Paese; in seguito è ripartita abbastanza rapidamente l’Italia del Centro-Nord mentre qua da noi la ripresa è stata molto lenta perché la crisi qua non è tanto congiunturale quanto soprattutto strutturale a causa della mancanza di opere pubbliche, di infrastrutture, mancanza di una burocrazia veloce e snella e di conseguenza il rischio vero è che, oltre ad essere già indietro, non si facciano in tempi veloci tutte quelle riforme e le opere pubbliche per fare recuperare terreno alla Sicilia e che ci sia in futuro una desertificazione, non solo industriale, ma anche di “cervelli”.
Non voglio chiudere quest’intervista in negativo ma purtroppo la realtà è questa. Noi sentiamo ogni giorno il punto di vista degli imprenditori che hanno tanta voglia di fare ma si trovano anche in gravi difficoltà, dunque probabilmente molti di loro s’impegneranno per tenere in vita le aziende, altri saranno costretti a ridimensionarsi, altri ancora non riapriranno”.
Roberto Pelos