Desireè Mariottini, due ergastoli e due condanne per l'omicidio - QdS

Desireè Mariottini, due ergastoli e due condanne per l’omicidio

Desireè Mariottini, due ergastoli e due condanne per l’omicidio

domenica 20 Giugno 2021

Ma uno dei quattro africani torna libero per scadenza dei termini della custodia cautelare in carcere. L'ira della madre della sedicenne violentata e uccisa a Roma, "non ho avuto giustizia"

Due ergastoli e due pesanti condanne: è la sentenza per l’omicidio di Desireè Mariottini, la sedicenne di Cisterna di Latina uccisa il 19 ottobre del 2018 a Roma in uno stabile abbandonato nel quartiere San Lorenzo.

Ieri sera, dopo aver ascoltato le repliche delle parti e dopo oltre nove ore di camera di consiglio, i giudici della III Corte d’Assise hanno emesso il loro verdetto: Mamadou Gara e Yussef Salia sono stati condannati al carcere a vita; 27 anni di reclusione sono stati inflitti ad Alinno China e 24 anni e sei mesi a Brian Minthe, il quale però torna libero per scadenza dei termini di custodia cautelare.

Nei confronti dei quattro cittadini africani le accuse vanno, a seconda delle posizioni, dall’omicidio volontario alla violenza sessuale aggravata, alla cessione di stupefacenti a minori.

I pm Maria Monteleone e Stefano Pizza avevano sollecitato il carcere a vita con l’isolamento diurno per tutti mentre avevano chiesto l’assoluzione per Gara solo dalle accuse di cessione di stupefacenti e induzione alla prostituzione.

“Mi attendevo quattro ergastoli, non sono soddisfatta di questa sentenza soprattutto perché uno degli imputati torna libero e questo non doveva succedere.

Non ho avuto giustizia”, dice Barbara Mariottini, madre di Desireè dopo la sentenza. Ancora più arrabbiata una donna la cui voce si alza dal pubblico: “Maledetti possiate bruciare all’inferno”, ha urlato.

Dalle carte dell’indagine è emerso che gli imputati avevano assicurato alla ragazza, che si trovava in crisi di astinenza, che quel mix di sostanze composto anche di tranquillanti e pasticche non fosse altro che metadone.

Ma la miscela, “rivelatasi mortale” era composta da psicotropi che hanno determinato la perdita “della sua capacità di reazione” consentendo agli indagati di poter mettere in atto lo stupro in uno stabile fatiscente nel cuore dello storico quartiere romano.

Nell’ordinanza con cui il gip dispose il carcere si affermava che il gruppo ha agito “con pervicacia, crudeltà e disinvoltura” mostrando una “elevatissima pericolosità e non avendo avuto alcuna remora” nel portare a termine lo stupro e l’azione omicidiaria. Nel provvedimento sono citate anche alcune testimonianze.

“Meglio che muore lei che noi in galera”: è la frase choc che secondo alcuni testi avrebbero pronunciato tre dei quattro accusati.

Gli indagati inoltre “impedirono di chiamare i soccorsi per aiutare” Desireè.

Gli esami disposti dalla Procura hanno confermato che sotto le unghie e sugli abiti di Desireè è stato trovato il Dna del branco.

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